L'operazione si chiama
Wyconda pincer, è stata annunciata l'altra sera, il suo scopo è di "
opporsi a forze talebane impegnate in attività criminali". Il comunicato ufficiale dell'Isaf - la forza Nato che presidia l'Afghanistan - dice testualmente che "
truppe americane, spagnole e italiane hanno unito le forze per operazioni di sicurezza". Insomma, siamo in modalità "
combat".
E' una guerra senza trincee, senza fronte, in crescita esponenziale, che qualcuno ha sottovalutato e che qualcun altro pagherà. Ma soprattutto, è una guerra nostra. Con una letale strategia di piccoli passi, quella in Afghanistan è diventata una guerra italiana.
La missione militare a Kabul ha cambiato corpo, struttura e mezzi nel corso degli anni. L'Italia ci è entrata per pattugliare le strade della capitale afgana e ora "unisce le forze" con afghani, americani e spagnoli per combatterla sul serio. Come è ci è capitato?
E' successo un po' alla volta. All'inizio in Afghanistan ci siamo andati con l'Onu. Osama bin laden era lì, ospitato dal regime dei taleban. Un fantasmagorico patto di sindacato tra guerrieri chiamato "
Alleanza del nord" scende dai monti assieme alle truppe americane, scaccia i teleban e prende Kabul. Il consiglio di sicurezza dell'Onu appoggia il cambio di regime. E' il novembre del 2001, le torri gemelle ancora fumano. Un mese dopo, l'Onu autorizza la missione Isaf e gli italiani prendono posto in Afghanistan con il compito di "
mantenere la pace a Kabul".
Nell'agosto 2003 la prima modifica: la Nato assume il comando dell'Isaf, con un colpetto di mano atlantico la missione Onu diventa una missione Nato, che il consiglio di sicurezza riconosce a giochi fatti. Nel dicembre del 2005 altra modifica: la Nato annuncia che si passa alla "
fase tre", le truppe atlantiche passano a 15mila unità e andranno anche nel sud del paese. Il governo italiano traballa ma cede e nel rifinanziare la missione si impegna a non cambiare niente più. Il mandato votato dal parlamento è di "
assistere il governo afgano nel realizzare e mantenere un ambiente sicuro in Kabul e più in generale in tutto l'Afghanistan", i principali compiti delle truppe italiane sono di "
sostenere le campagne di informazione dei media, supportare i progetti di costruzione comprese infrastrutture sanitari, sostenere operazioni di assistenza umanitaria, fornire assistenza alla riorganizzazione delle strutture di sicurezza dell'amministrazione afgane, formare e addestrare l'esercito e le forze di polizia locali". Niente combat nel mandato.
Non doveva cambiare niente e invece cambia tutto: i taleban si riorganizzano, la guerra torna a infuriare come una guerra vera., nell'estate di questo 2006 la Nato ci informa che forse dovremo combattere direttamente e chiede altre truppe.
Ieri il portavoce delle truppe italiane ha smentito con vigore che gli italiano sono "
combat", ma è una questione di dettagli verbali che si giocano nella paludosa zona grigia di una guerra senza fronti. Pattugliare le strade di Farah per evitare che i taleban sfuggano a un'offensiva lo è eccome.
L'Italia di centrodestra e filo-Bush ha messo il dito (con voto bipartisan, per la verità) in Afghanistan. L'Italia di centrosinistra e filo-Onu ci si ritrova con tutto il braccio. Saperlo è utile. Ma ancora più utile è togliere il braccio.
Roberto Zanini
da Peacereporter - 21-09-2006
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Italiani in guerra
Nuova offensiva anti-talebana nell'ovest. Coinvolte forze del contingente italiano
I soldati italiani sono impiegati in un’operazione militare, avviata ieri nella provincia occidentale di Farah “in risposta al crescente numero di attacchi terroristici” verificatisi nella zona: la stessa dove l’8 settembre quattro incursori della Marina Italiana (Comsubin) sono stati feriti in un’imboscata dei talebani.
La notizia è stata data oggi dal comandante Usa Michael Horan, capo delle operazioni di Isaf nella provincia occidentale di Farah.
L’operazione, nome in codice “Wyconda Pincer” (Tenaglia Wyconda – località del Missouri), interessa i distretti di Bala Baluk e Pusht-e Rod, e coinvolge truppe italiane, statunitensi, spagnole e afgane in un numero che non è stato reso noto.
“Lo scopo di questa operazione – ha spiegato Horan – è coinvolgere i leader tribali locali allo scopo di migliorare la sicurezza nella provincia e opporsi alle forze talebane qui coinvolte in attività criminali e in attività di reclutamento”.
Ma sarà proprio così?
Un coinvolgimento limitato. Il capitano Giancarlo Ciaburro, addetto stampa del contingente italiano ad Herat, non nasconde un certo imbarazzo. “La diffusione di questa notizia da parte di Isaf è stata un grave errore perché dà luogo ad equivoci. Questa operazione di guerra contro i talebani e i narcotrafficanti locali è condotta esclusivamente dalle forze di polizia e dell’esercito afgano. Le forze Isaf si limitano ad attività di controllo e sorveglianza del territorio e di contatto con i leader delle comunità locali”.
Sulla zona delle operazioni, Ciaburro rivela che essa “si svolge a cavallo tra la zona di competenza del Comando Regionale Ovest, a guida italiana, e quella che ricade sotto il Comando Regionale Sud, a guida britannica. In pratica – spiega l’ufficiale – a cavallo delle province di Farah ed Helmand”. Quest’ultima è da quattro mesi zona di guerra tra talebani e forze Nato britanniche.
Sul numero dei militari italiani coinvolti nell’operazione, Ciaburro si limita a parlare delle “solite pattuglie che, come avviene da quando Isaf ha peso il comando delle operazioni nel sud, svolgono missioni di perlustrazioni a lungo raggio per garantire la sicurezza dei principali assi di comunicazione, in particolare della strada Kandahar-Herat”.
Tagliare le vie di fuga ai talebani. Il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo, rincara la dose. “Questa operazione non è una novità. Non si differenzia dalle operazioni che i militari italiani stanno svolgendo a Farah già da diverso tempo, ovvero da quando è iniziata l’offensiva anti-talebana nelle vicine province di Helmand e Kandahar. Si tratta di operazioni di interdizione, ovvero di pattugliamento del territorio allo scopo di impedire ai talebani, in fuga dai bombardamenti, di scappare verso il confine iraniano. Cosa pensate che stessero facendo l’8 settembre, proprio nel distretto di Bala Baluk, i nostri incursori di Marina?”.
Enrico Piovesana
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