breve di cronaca
Un test per il preside
La voce.info - 19-09-2006
Il nodo che frena l'efficienza della pubblica amministrazione è insito nell'organizzazione del lavoro che caratterizza il settore pubblico, diversa da quella del settore privato.

Dirigenti pubblici e privati

Dopo la riforma Bassanini, il contratto di lavoro dei dirigenti pubblici è tipo privatistico. Tuttavia, è tale solo in maniera formale, in quanto non prevede né gli incentivi né gli strumenti propri del settore privato. In altre parole, se gli stipendi sono spesso paragonabili a quelli del settore privato, i dirigenti pubblici non hanno le stesse responsabilità. Non per loro colpa. La ragione è semplicemente che in primo luogo il settore pubblico non è esposto alla legge della concorrenza, un formidabile incentivo all'impegno individuale. Secondariamente, non vigono le stesse discipline di assunzione e licenziamento e le politiche di premi salariali del settore privato, entrambi straordinari strumenti di direzione e di motivazione del personale.
Il risultato è che i dirigenti pubblici spesso non possono organizzare liberamente i dipartimenti. In particolare, non possono assumere chi vogliono e non possono licenziare i dipendenti che non ritengono adatti alle loro mansioni. Ma anche se fosse data loro maggiore facoltà di disporre delle risorse umane, i dirigenti non avrebbero gli incentivi "giusti" a organizzarle efficientemente: non sono soggetti infatti ai vincoli di rendimento come nel settore privato. D'altra parte, non è possibile affidare ai dirigenti pubblici maggiori poteri, se non rispondono del loro operato in termini verificabili.

Da Pisa all'Invalsi

Prendiamo il mondo della scuola. L'intento è di suggerire un modo in cui, in un settore che produce un bene prettamente pubblico come l'istruzione, si può tuttavia creare un sistema di incentivi e strumenti per i dirigenti pubblici che porti a un miglioramento dei risultati.
Gli alunni della scuola italiana ottengono punteggi molto bassi nelle indagini comparative internazionali Pisa (Programme for International Student Assessment). L'Italia figura regolarmente vicino a Turchia, Grecia e Messico. Il risultato non è dovuto a una spesa per studente inferiore rispetto ad altri paesi, né al fatto che maestri e professori sono pagati meno dei colleghi di altre nazioni bensì a una scarsa qualità della "produzione" scolastica. Intendiamoci subito, non è colpa degli insegnanti, i quali spesso sono molto dediti al loro lavoro. Il numero di docenti per studente è più alto in Italia che negli altri paesi d'Europa ed esistono certamente insegnanti che non fanno il loro lavoro rovinando così intere classi di studenti, tuttavia i nullafacenti si trovano in ogni professione. Credo quindi che sia l'organizzazione del lavoro che non dà gli incentivi giusti e gli strumenti necessari ai dirigenti scolastici affinché possano migliorare i risultati della scuola.
L'Invalsi, l'Istituto di valutazione nazionale scolastica, in questi anni ha condotto test in tutti gli istituti scolastici d'Italia (elementari, medie e superiori), somministrando a un campione casuale di studenti un questionario a domande a risposta multipla. È così possibile assegnare a tutte le scuole un punteggio che, per quanto imperfetto, può essere preso come base di riferimento dei risultati raggiunti. Una caratteristica importante del test è che contiene informazioni sulla capacità di lettura dei testi e sulle conoscenze base di matematica degli studenti e non misura soltanto le percentuali di promossi. Un dato, quest'ultimo, che non necessariamente indica la qualità dell'insegnamento, quanto piuttosto la volontà di promuovere degli insegnanti e dei presidi.

Una valutazione da difendere

Gli operatori della scuola parlano spesso molto male della prova dell'Invalsi perché non sarebbe stata somministrata con le dovute attenzioni. Certamente, è possibile migliorare il test e la struttura stessa dell'Invalsi. Tuttavia, a mio parere, il principio di un esercizio di valutazione per ogni scuola deve essere difeso strenuamente. E i risultati raggiunti dai singoli istituti potrebbero essere utilizzati per valutare l'operato dei presidi.
Oggi i presidi, diecimila in tutta Italia, sono dirigenti pubblici pagati circa il doppio dei docenti e privi di incarichi di insegnamento. Sono manager con molti poteri amministrativi e di organizzazione didattica. Ma non hanno né gli incentivi né gli strumenti per migliorare i risultati degli istituti che dirigono. Non hanno strumenti perché anche di fronte a insegnanti palesemente incapaci non possono prendere provvedimenti immediati. Non hanno incentivi perché la loro carriera e il loro stipendio non sono affatto legati ai risultati della loro scuola. Per i dirigenti scolastici, i quali rimangono spesso esposti al controllo politico, non esiste oggi alcun criterio di valutazione. Trovarne di oggettivi, come il test di valutazione sui risultati didattici, sarebbe nell'interesse di tutti, inclusi i presidi stessi.
I dirigenti scolastici, infatti, avranno l'incentivo a migliorare i risultati nelle loro scuole se sanno che il test sarà ripetuto ogni tre anni e che se l'istituto ottiene un punteggio inferiore alla prova precedente, sarà il preside a risponderne, perfino con il trasferimento ad altro incarico.
Naturalmente, vi devono essere delle garanzie della correttezza della valutazione. Per prima cosa, la somministrazione e la valutazione dei test sarà affidata a una commissione esterna alla scuola in modo che preside e insegnanti non possano influenzarne l'esito. Si dovrà inoltre tenere conto che i risultati riflettono anche fattori esterni, quali il contesto socio-economico di riferimento degli studenti iscritti. Dovranno essere introdotti correttivi per impedire che vengano attribuiti al dirigente e ai docenti risultati in realtà dovuti a fattori al di fuori del loro controllo. Potremmo anche prevedere che il nuovo test si tenga su due anni consecutivi per evitare che i risultati siano frutto esclusivamente di un caso sfortunato.
Il punto cruciale è che il risultato del test si confronta con quello della precedente prova nella stessa scuola. In altre parole, è sufficiente che si migliori rispetto a sé stessi piuttosto che relativamente ad altre scuole. Infatti, esistono differenze molto grandi e preoccupanti tra diverse regioni d'Italia e tra scuole simili all'interno della stessa regione ed è impensabile che si riducano rapidamente. Le distanze tra i risultati dei diversi istituti si ridurranno se l'incentivo a fare meglio vale fintanto che la scuola non è tra le migliori del suo tipo in Italia.
A fronte di questa responsabilità sui risultati, dobbiamo dare ai presidi maggiori strumenti di controllo. Ad esempio maggiori poteri di decisione sui fondi di incentivo per gli insegnanti e sulle assunzioni del personale di ruolo e supplente, oltre a maggiori poteri di valutazione degli insegnanti.
Senza cambiamenti sostanziali dell'organizzazione del lavoro, qualunque discorso sulla necessità di pagare meglio gli insegnanti o aumentare gli investimenti in strutture e tecnologie rischia di rivelarsi uno spreco di risorse.
La necessità di sottoporre anche gli impiegati pubblici a criteri di valutazione stringenti è una battaglia culturale e politica di prima grandezza e di massima urgenza. Migliorare il rendimento dell'istruzione pubblica è l'unico modo per poterla difendere.
Trovo sorprendente che il ministro Fioroni, cui va dato merito di aver reintrodotto la commissione esterna nell'esame di maturità, abbia cancellato per i prossimi anni i test nelle scuole italiane e li abbia sostituiti con prove a campione al fine di "valutare il sistema scolastico nel suo complesso". Gli incentivi a migliorare i propri risultati esistono in quanto la valutazione si applica singolarmente a ogni scuola. Scompaiono se la valutazione avviene genericamente per il sistema scolastico nazionale.

Marco Leonardi


  discussione chiusa  condividi pdf

 marilena cioffi    - 22-10-2006
in merito all'articolo di Marco Lonardi ritengo che solo en passant si parla della possibilità di valutare anche i dirigenti scolastici con la relativa possibilità di sottoporli a mobilità ...
In realtà, dalla mia esperienza ormai ventennale, mi risulta che i numerosi presidi che sono passati nella mia scuola , un ITC, non solo si sono avvalsi del loro potere manageriale per fare i l bello ed cattivo tempo nelle scelte delle risorse umane e dei relativi loro curricola infischiandosene allegramente ma, proprio perchè di fatto non esiste nei loro confronti alcun tipo di valutazione, hanno finito per trasformare la scuola in un loro feudo, quando addirittura non l'hanno affossata per loro cronica mancanza di spirito di aggiornamento manageriale e culturale. Che fare?