breve di cronaca
Sul biennio prossimo venturo
Pino Patroncini - 17-09-2006
L'idea che si debba portare l'obbligo scolastico a 16 anni sembra essere parte del programma del governo di centro-sinistra. La cosa naturalmente non soddisfa tutti. Per alcuni l'obbligo scolastico a 14 anni bastava e avanzava. Lo si è visto col precedente governo, il cui primo atto era stato la ritirata dal "piccolo avanzamento" di Berlinguer, che l'aveva portato a 15 anni. Lo si è visto con l'impapocchiamento del "diritto-dovere", che obbligo non era ma che mistificava la cosa. Tuttavia di gente che la pensi così a sinistra, per fortuna, ce ne è poca.
Piuttosto saranno invece delusi quanti si aspettavano un innalzamento a 18 anni, ma anche in questo caso il fronte dei "diciottisti" si divide: una parte infatti pensa che l'innalzamento a 16 sia solo la prima tappa di un successivo innalzamento a 18.

Ma c'è anche chi, invece, l'innalzamento a 18 proprio non lo prevede e parla per il periodo 16-18 di obbligo solamente formativo, laddove formativo sta a significare la formazione professionale o l'avviamento al lavoro.
Merita attenzione questa faccenda dell'obbligo formativo. Naturalmente si può sempre pensare che è meglio di niente, ma c'è da chiedersi se il senso di un percorso di studi obbligatorio debba essere questo. C'è all'origine del concetto di obbligo scolastico una valenza civile e collettiva che va ben oltre valenza utilitaristica individuale, contenuta nell'apprendimento di una professione. Non a caso il rivoluzionario repubblicano francese Hyppolite Carnot nel 1848 diceva "Poiché la Repubblica si distingue dalla monarchia perché è il popolo che comanda, è interesse della Repubblica che il popolo sia istruito" e persino nell'Italia post-unitaria, che pure repubblicana non era, si parlava di "coscrizione scolastica", quasi si trattasse di un dovere patriottico. Viene dunque spontaneo domandarsi che c'entri con tutto ciò l'obbligo formativo.

Ma, tornando all'obbligo a 16 anni, anche questa scelta, che pure può parere riduttiva, non va sottovalutata. Essa è infatti meno scontata di quanto si pensi, anche se si tratta di un obiettivo che ci si pone da tempo (almeno dalla metà degli anni settanta) e di una misura in vigore nella maggior parte dei paesi economicamente avanzati. Tanto per stare nella vecchia Europa è bene che si sappia che l'Italia è l'unico paese in cui l'obbligo è a 14 anni: in Portogallo, Irlanda, Grecia, Lussemburgo e Austria è a 15 anni mentre in tutti gli altri paesi, Est europeo compreso, è almeno a 16 anni e in Germania Danimarca Olanda e Belgio è già a 18.
Ma è anche bene che si sappia che in tutti questi paesi l'innalzamento dell'obbligo è avvenuto negli anni sessanta o settanta, in un momento, cioè, in cui era predominante nella società una cultura integrazionista. Era, cioè, il tempo in cui i governi, a prescindere che fossero di destra e di sinistra, pensavano che il compito dello stato fosse quello di favorire l'integrazione sociale e che la scuola fosse l'istituzione pubblica che meglio poteva assolvere a questo compito.
E non erano solo i governi: c'era una predisposizione nell'opinione pubblica. Tutti pensavano che lo Stato e la società dovessero fare qualcosa in tal senso.

Oggi questo non è più scontato: né nell'opinione pubblica né nell'operato degli Stati. Vi sono anzi diverse spinte alla disgregazione, la quale, secondo qualcuno, crea più opportunità economiche e quindi più opportunità di crescita della ricchezza e, alla fin fine, della società.
Queste spinte si registrano nel tentativo di tornare a percorsi più fortemente differenziati ad ogni piè sospinto, a scelte precoci, a forme di segregazione scolastica. In Italia questa cosa la si è letta nella separazione a 14 anni tra un percorso liceale statale e un percorso di formazione professionale previsto dalla legge Moratti. Ma anche in Spagna, ai tempi di Aznar, qualcosa di analogo è stato tentato con l'introduzione nella scuola media di percorsi differenziati (di avviamento al liceo, alla formazione professionale, al lavoro), obbligatori in base all'andamento scolastico, oggi fortunatamente soppressi dalla nuova legge di ordinamento del governo Zapatero . E in Francia, volendo imputare alla scuola il fallimento sociale espressosi nella rivolta delle "banlieues", l'accesso all'apprendistato e alla formazione di apprendista è stato proprio recentemente abbassato a 14 anni, quando i ragazzi sono ancora nella scuola "media", che lì è di quattro anni.

Ecco dunque che, definita formalmente la scelta dell'obbligo a 16 anni, il problema si ripresenta sotto altra forma: che tipo di obbligo? In quale tipo di scuola?
Nel caso italiano non mancano coloro che insistono sul fatto che comunque dai 14 ai 16 anni non ci starebbe male un'integrazione con la formazione professionale.
A volte si ha l'impressione che, chi sostiene questa tesi, non sappia bene che cosa sia la formazione professionale in Italia: c'è chi la confonde con l'istruzione professionale, ma in questo caso non ci sarebbe problema essendo questa uno degli ordini in cui da decenni si divide la secondaria superiore; c'è chi la confonde con l'alternanza scuola-lavoro o l'apprendistato, e allora il problema c'è ed è quello di un ragazzo che fino ai 15 anni non potrebbe neppure entrare nel mondo del lavoro.
Ma, se chi sostiene questa tesi sa bene di cosa parla e magari la sostiene dicendo che in tutti i paesi europei dopo la scuola media si può andare in formazione professionale, è bene avere chiaro una caratteristica strutturale della nostra scuola: la scuola media italiana è nei sistemi europei l'unico ciclo medio che duri tre anni, dagli 11 ai 14 anni di età dell'alunno. In quasi tutti gli altri paesi la scuola media, sotto nomi diversi (college, educaciòn secundaria obbligatoria, comprehensive school, secondary school, gymnasios) o addirittura, come nei paesi scandinavi, sotto la forma di ciclo superiore della primaria o della scuola di base , dura quattro o cinque anni e/o copre un'età che va o dai 10 ai 15 anni (Germania), o dai 12 ai 16 (Spagna, Belgio, Scozia) o dagli 11 ai 16 (Inghilterra e Galles) o dagli 11 ai 15 (Francia, Svizzera) o dai 13 ai 16 (Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia) o dai 12 ai 15 (Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Portogallo).
In un caso o nell'altro o coincide con la conclusione dell'obbligo scolastico a 15 o a 16 anni o si avvicina comunque di molto al 16° anno di età

Non si pone dunque in questi paesi ( o, per lo meno, finora non si è posta) la questione se l'obbligo scolastico, almeno fino ai 16 anni, debba essere assolto nella scuola o possa essere assolto fuori di essa, ad esempio nella formazione professionale. (1)
Fanno eccezione alcune situazioni particolari: in Francia, Belgio, e nella recente legge spagnola, ad esempio, è previsto che si possa entrare in corsi di formazione professionale o di avviamento al lavoro anche senza aver terminato le scuola media, ma solo dopo averne superato l'età limite di 15 o 16 anni senza successo. Per converso in paesi come la Germania o la Svizzera dove la scuola media termina a 15 anni, il primo anno di apprendistato o di formazione professionale, che dir si voglia, è ancora un anno totalmente di scuola.

Negli altri paesi europei dunque il ciclo intermedio copre grosso modo un'età che nel caso italiano è coperta non solo dalla scuola media ma anche dal biennio iniziale della secondaria superiore e praticamente quasi ovunque risponde a quello che i francesi hanno ben chiaramente definito come un biennio di osservazione all'inizio e biennio di oriententamento negli ultimi anni.
Fa eccezione la Germania dove "l'orientamento" è immediato e forzoso, determinato in uscita dalle elementari a 10 anni in base ai risultati e canalizzato fin dalla prima "media" o in un Gymnasium (pre-liceale), o in un'Hauptschule (pre-professionale) o in una Realschule (pre-tecnico) oppure in una Gesamtschule (comprensiva). Altrove ( Austria, Olanda, Belgio fiammingo), dove pure persistono più scuole medie, struttura, discipline e programmi, soprattutto dei primi anni, hanno però finito con l'avvicinarsi molto.
In alcuni paesi come Francia, Belgio e Svizzera ( ma in tal senso sembra ultimamente orientarsi anche la Spagna) la scuola media si divide in un ciclo uguale per tutti nei primi anni e in un ciclo parzialmente differenziato nella fase terminale: in Francia l'ultimo biennio è diviso in tecnologico e generale, in Belgio in generale, tecnico e artistico, in Svizzera in generale, tecnico e professionale. L'accesso a queste due o tre pre-canalizzazioni è però libero e la loro scelta non è vincolante per il percorso successivo.

A questo punto però la struttura dei sistemi deve fare i conti con la scelta degli alunni e delle loro famiglie e soprattutto con la sua evoluzione storica. Così se in Francia nel 1975 l'utenza si divideva al 50% tra i due bienni terminali della scuola media, oggi 9 alunni su 10 finiscono nel canale generale.
E se in Germania negli anni cinquanta il 75% dei ragazzi frequentava l'Hauptschule, pre-professionale, oggi più di metà dell'utenza si distribuisce nella Realschule o nella Gesamtschule mentre la Hauptschule si è praticamente ridotta ad un ghetto dequalificato per i figli degli immigrati, che abbassa la qualità complessiva del sistema scolastico (vedi i pessimi risultati nell'inchieta Ocse-Pisa) e che, per la sua valenza segregante, è "sotto l'asso di briscola" delle sanzioni dell'Unesco .
Ed è significativo che anche in Spagna i due terzi dei ragazzi che continuano gli studi dopo la secondaria obbligatoria scelgano il liceo (bachillerato) e solo un terzo la formazione professionale, con grave pregiudizio per il mercato del lavoro iberico, carente di quadri tecnici.

Si verifica perciò in tutta Europa un fenomeno che ben conosciamo anche in Italia: la maggior parte degli alunni tende a orientarsi verso studi generalisti. Lo consentono situazioni migliori che in passato dal punto di vista economico, ma lo determina anche il bisogno di rinviare scelte professionali sia per le più alte e complesse competenze oggi richieste, sia per le incertezze del mercato del lavoro. Si tratta di un fenomeno in atto da tempo che va governato e non "sovraeccitato" o lasciato allo stato brado, come è successo con la riforma Moratti, che ne ha determinato un'impennata, che rischia di rivelarsi fatale per gli studi tecnico-professionali italiani.
Stabilito dunque che a livello europeo il carattere ancora prettamente scolastico di quella fascia di scolarizzazione che da noi coincide col biennio è fuori discussione, bisogna definirne l'articolazione. Da questo punto di vista una struttura unitaria del biennio è inevitabile se si vuole che corrisponda alle caratteristiche di inclusione, di orientamento e di non pregiudizio per scelte future dell'alunno, caratteristiche che la scuola europea tuttora ha nella maggior parte dei casi.
A meno che quando si parla di Europa si voglia intendere non l'Europa che, malgrado tutto, esiste ancora realmente, bensì quella che i vari Berlusconi, Aznar, De Villepin vorrebbero realizzare.


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(1) Tanto più che in questi paesi anche la formazione professionale dei giovani è prevalentemente concepita come apprendistato scolarizzato, vale a dire lavoro a tempo parziale più scuola a tempo parziale, in cui si entra di fatto dopo il 16° anno di età. Una soluzione molto più "repubblicana" di quella che prevederebbe una delega a entità diverse da quelle scolastiche.

Pino Patroncini


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