breve di cronaca
Sul Dpef
VII Commissione Cultura Camera - 22-07-2006
Documento di programmazione economico-finanziaria relativoalla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011(Doc.LVII,n.1).

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

La VII CommissioneCultura,


esaminato, per le parti di propria competenza,il Documento di programmazione economico finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011con la dovuta attenzione alle difficolta`che ilquadro generale del provvedimento affronta:

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preso atto che:

la chiave del documento e` quella dell'investimento nel capitale umano che il DPEF indica, al di la` del suo valore economico, come risorsa cruciale del tessuto sociale europeo;

la sinergia tra università, ricerca, impresa, cultura e turismo può`consentire il decollo dell'intero Paese verso obiettivi piu`elevati di crescita;

esprime per quanto di competenza,

PARERE FAVOREVOLE


Qui il testo completo

E qui il resoconto della seduta di mercoledì 19 luglio

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 da Aprile online    - 22-07-2006
Le ombre del Dpef

Il Dpef presentato dal governo affronta una situazione economica e finanziaria difficilissima, sotto il profilo dello stato dei conti pubblici e delle dinamiche reali dell’economia italiana. Impegni gravosi, cui nessuno si può sottrarre e che però non devono far venire meno l’impegno per affermare pienamente i diritti sociali e di cittadinanza, la prospettiva di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, la promozione di un’economia diversa fondata sui valori della cooperazione, della pace, dell’eguaglianza.
Con il Documento di programmazione economica e finanziaria presentato lo scorso 7 luglio cambiano - rispetto ai documenti precedenti - toni e scenari, accenti e parole: si parla di equità e redistribuzione, di politiche sociali ed occupazione, di lotta alla povertà, di politiche per l’ambiente. Ma si tratta ancora di orientamenti generali non sempre tradotti in proposte e indicazioni operative.
Il rischio principale è che gli impegni per il momento assunti soltanto sotto il profilo di enunciati (dal diritto all’abitazione agli asili nido, dall’occupazione giovanile e femminile alle pari opportunità, dall’ambiente al lavoro) rimangano tali e non corrispondano poi a scelte concrete.

Certamente non può non preoccuparci la prospettiva indicata rispetto ai tagli alle spese sociali: pensioni, sanità, enti locali. Una preoccupazione ben espressa da Cgil, Cisl, Uil.
La politica di risanamento dei conti pubblici, condotta secondo un calendario troppo stringente e senza ricorrere a nuove entrate fiscali (se non quelle determinate dalla lotta all’evasione, che restano ancora virtuali, finché non realizzate) annuncia un preoccupante scenario, in cui potranno essere colpite soprattutto le fasce deboli del sistema sociale.

A mancare è la scommessa su una politica economica e finanziaria nuova, che abbia il coraggio di ribaltare radicalmente i paradigmi di un modello di sviluppo dominato dalle politiche neoliberiste di un ventennio (smontandone priv ilegi ed ingiustizie), puntando sulla qualità di un’economia che valorizzi le risorse umane e locali, il welfare, la tutela del patrimonio ambientale, la cooperazione tra economia e società dentro un quadro di difesa e garanzia dei diritti umani e civili. Accanto a un vocabolario nuovo che allarga e approfondisce i temi dell’equità sociale e della lotta all’esclusione, dell’ambiente e delle pari opportunità, il Dpef ripropone un vocabolario vecchio, quello di un modello economico fondato sulla competitività e le privatizzazioni, sul mercato e sull’idea di uno sviluppo appiattito alla sola “crescita”. Serve in questi anni un cambio di rotta verso un nuovo modello di sviluppo, equo, di garanzia, di accesso per tutti ai diritti umani di base, soprattutto per le categorie più povere.

Invece di puntare a una stabilizzazione del rapporto Deficit/Pil e di prevedere almeno un anno in più di tempo per programmare il rientro nei parametri previsti dai trattati europei, la manovra di r ientro del deficit costringerà il governo ad una finanziaria di oltre 35 miliardi di euro, che porterà con sé tagli alla spesa sociale e agli enti locali.
Bisognava invece considerare almeno un anno in più nella manovra di rientro, che avrebbe permesso un approccio più morbido e diluito, senza compromettere la prospettiva di rientro nei parametri e senza pregiudicare la ripresa economica del paese, che potrebbe invece essere condizionata negativamente da una manovra così pesante.

La ricetta sulla politica delle entrate è quella più tradizionale: tagliare la spesa pubblica (ma non quella militare, che anzi viene ricordata e sottolineata per quanto riguarda l’acquisizione dei sistemi d’arma) e in modo specifico le pensioni, la sanità, gli enti locali. Sicuramente notevole è l'impegno nella lotta all’evasione fiscale, ma delude l’assenza di ogni misura di politica fiscale (dall’uniformazione delle aliquote sulle rendite finanziarie alla tassa di successione, fino alla limita zione degli extraprofitti delle società petrolifere, ecc.) che colpisca le rendite finanziarie e i privilegi fiscali, e che garantisca il principio di progressività, previsto della nostra Costituzione.

Per quanto riguarda l'ambiente, questo Dpef accenna per la prima volta al possibile uso di indicatori (nello specifico si cita la contabilità ambientale) e fa riferimento a tanti aspetti riguardanti la questione sociale. E questo è un fatto positivo. Ma la sostenibilità ambientale di un’economia ha bisogno di una rappresentazione molto più dettagliata, e l’Istat fornisce indicatori di contabilità ambientale che sarebbero potuti essere introdotti già all’interno del presente Documento (Material Flow Account, già utilizzato dall’Agenzia Ambientale Europea). Non è infatti sufficiente nominare nuovi indicatori se poi questi non sono utilizzati per affinare l’analisi che ci si propone di effettuare. L’impostazione economicista del Dpef deve essere superata da un’espansione dell’anal isi verso gruppi di indicatori in grado di dare un’immagine del Paese più legata alle dinamiche attuali. Buono il riferimento alla necessità di puntare verso fonti rinnovabili di energia, ma bisognerà capire come tradurre tutto ciò in impegni concreti nella prossima finanziaria. Occorrono politiche di risparmio energetico, piani di risparmio idrico, la profonda revisione delle priorità nel settore delle infrastrutture, la promozione di forme di mobilità sostenibile ed efficiente, incentivando il trasporto su rotaia e le tecnologie pulite; serve poi la profonda revisione delle cartolarizzazioni e il blocco della svendita del patrimonio pubblico di pregio; lo stanziamento di adeguati fondi per applicare il Protocollo di Kyoto; la definizione e attuazione del Piano Nazionale per la Diversità Biologica, in attuazione della Convenzione Internazionale sulla diversità biologica; infine, la lotta all’abusivismo edilizio.

Anche se in vari punti del documento si fa riferimento, positiv amente, ad un piano specifico per allargare l’offerta pubblica di asili nido, alla reintroduzione del Reddito Minimo di Inserimento, al potenziamento del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, il taglio alla spesa pubblica, previdenziale e sanitaria rappresenta una ricetta che somiglia molto all’impostazione del precedente governo. In sottofondo, fa capolino un'idea di welfare “debole”, con poche risorse e sempre condizionata dai “vincoli di bilancio”. Una impostazione confermata dallo spazio riservato al terzo settore, che anziché essere considerato nella sua capacità di apportare una crescita nelle relazioni di solidarietà del Paese e, quindi, essere sostenuto proprio per tale contributo, diventa uno strumento di supporto per coprire quelle necessità cui, a causa dei tagli, lo Stato non sarà in grado di provvedere.

Per concludere, la delusione è grande anche quando si guarda alle politiche di cooperazione. Non ci sono linee di indirizzo né impegni precisi nel Dpef per l e politiche pubbliche in materia di lotta alla povertà e di aiuto pubblico allo sviluppo. Non vi è neppure un accenno al profilo italiano di fronte agli obiettivi presi in sede internazionale nell’ambito delle Nazioni Unite, con l’assunzione di alcuni impegni precisi rispetto alla lotta alla povertà e agli “Obiettivi del Millennio”. Manca persino quella Road Map per arrivare allo 0,7% del Pil all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, che il governo Berlusconi aveva previsto nel documento del 2003.
In poche parole, questo Dpef rischia di tramutarsi in un’occasione persa.