tam tam |  libri  |
Il malessere della scuola e dell'università
Treccani scuola - 16-07-2006
Si sono moltiplicati, in questi ultimi anni, i libri sul mondo della scuola scritti da parte degli insegnanti. Tanto che - da Domenico Starnone a Paola Mastrocola, da Marco Lodoli al compianto Sandro Onofri - queste narrazioni scolastiche in presa diretta sembrano quasi aver dato vita a un nuovo genere letterario. Ultimo anello è il testo di Marilena Lucente. Barese, ma da alcuni anni trapiantata a Caserta, ha trentotto anni e ha incominciato a insegnare quando ne aveva venticinque.

Scritto sui banchi (Napoli, Cargo, 2005) è il racconto di un anno scolastico, con la voce di un'insegnante di liceo alla quale piacciono la scuola e soprattutto le materie che insegna. Gli alunni la seguono perché sentono la sua passione. Ma solo fino a un certo punto. E così riescono sempre a smontare i discorsi - i suoi, ma anche quelli degli autori che spiega - seguendo le logiche della loro vita quotidiana. Per esempio al piacere dei libri rispondono con il piacere della televisione, mentre l'attenzione ai grandi eventi della storia precipita al confronto con le loro esperienze personali. Il libro racconta di questi modi diversi di vedere il mondo e del modo in cui un'insegnante cerca di sopravvivere all'irriverenza degli adolescenti. Ci riesce perché, al di là del disagio, scopre che quell'irriverenza, unita all'ironia, è una forma di intelligenza.

Chi non abbia esperienza di lavoro in un'università italiana difficilmente potrà credere al realismo di una storia come quella raccontata da Ernesto Parlachiaro in Candido o del porcile dell'Università italiana (Arezzo, Limina, 2006). Parlachiaro è lo pseudonimo scelto da un insegnante di liceo per raccontare la propria vicenda universitaria, e già il titolo ci informa sul giudizio che ne dà. Eppure, a parte un certo gusto per la deformazione in chiave grottesca (che emerge anche dai nomignoli affibbiati ai vari 'baroni' universitari: il Gatto, la Vispa Teresa, Corvo Rosso, Gambadilegno...), possiamo assicurare che è tutto drammaticamente verosimile.

La storia del nostro Candido ha inizio dopo la laurea. Studente brillante e dotato, ha però la sfortuna - in termini accademici - di discutere la tesi con un professore molto bravo, ma lontano dalle cordate baronali e da quei giochi di potere che da noi, soprattutto nelle facoltà umanistiche, determinano l'esito dei concorsi. Ingenuamente, Candido si presenta per un posto da ricercatore, ma, non essendo il predestinato di turno, ovviamente non lo vince, pur avendo dato ottima prova di sé. Sperimenta anche il disgusto che gli nasce dal fatto di constatare la spudoratezza con la quale i commissari, già d'accordo su chi deve vincere, non fanno nulla per dissimulare la verità, quasi facendosi beffe del povero ingenuo che ha osato affrontare un concorso che non era per lui. E per fortuna che la materia di cui si tratta è Filosofia morale...

Questa prima bastonata non scoraggia Candido, che alcuni anni più tardi, dopo aver accumulato importanti pubblicazioni scientifiche, tenterà di diventare professore associato. Ma anche qui l'esito sarà analogo. Decide, quindi, di accontentarsi di un dottorato di ricerca, che però vince 'senza borsa', cioè senza l'assegno mensile assegnato ai primi tre (lui, guarda caso, si è qualificato quarto). Tre anni dopo, conseguito il titolo, si risolverà, disgustato, a chiudere con l'accademia, accontentandosi del suo posto di professore liceale, il lavoro che, grazie a Dio, si era messo a fare già subito dopo la laurea.

Roberto Carnero
  discussione chiusa  condividi pdf