Ricordare don Milani a trentacinque anni dalla sua morte mi pare un’ottima idea, farlo diventare strumento di una battaglia politica non lo trovo giusto, anzi penso che sia il modo peggiore per richiamare ai giovani d’oggi il contenuto dell’esperienza di Barbiana.
Io don Milani non l’ho mai conosciuto direttamente, ma i suoi scritti e la sua drammatica esperienza sono stati, da quando avevo diciassette anni, un punto di paragone interessante, e continuano ad esserlo per la forza ideale che comunicava: è per questo che sento un certo disagio quando viene issato come stendardo su uno o l’altro dei carri che da anni stanno facendo a gara per una riforma della scuola ancora lontana.
Di don Milani porto nel cuore l’amore che aveva per i suoi studenti, quello che gli faceva scrivere “non si può fare l’educatore e non fidarsi” o ancora “la scuola non può che essere aconfessionale e non può essere fatta che da un cattolico e non può essere fatta che per amore ( cioè non dallo Stato)”.
Questo mi colpì nel 1968, quando in una situazione di confusione mi capitò tra le mani al liceo Manzoni, tra un’occupazione e l’altra, il suo libro “Lettera a una professoressa” e questo ancora oggi è il ricordo più vivo che ho di un uomo che ha guardato i suoi ragazzi, nella certezza che “la storia la insegna Dio e non noi, e l’unica cosa cui ambisco è di capire il suo disegno man mano che egli lo svolge, non ambisco a levargli il lapis di mano e pretendere di diventare un autore della storia”.
La scuola di oggi è cambiata di molto rispetto a quella del lontano 1967, ma lo sguardo di don Milani è ancora ciò di cui i giovani d’oggi hanno bisogno, uno sguardo in cui ognuno di loro conta per il destino che ha.
Ricordare don Milani per me non è allora il pretesto per schierarmi a favore o contro la Riforma Moratti, ma è un’occasione per ripormi di fronte al compito, a cui ogni giorno sono chiamato.
Un compito arduo, un compito di fronte al quale ogni giorno sento il limite e la sproporzione, tant’è vero che sono troppi gli errori di cui devo chiedere perdono ai miei studenti, un compito che nessuna riforma può prescrivere, perché è la direzione che prende lo sguardo ogni mattina non appena si varca la porta della classe.
Io è quello sguardo che ancor oggi tento di portare in classe, incapace di farlo come don Milani, ma nel mio limite tutto teso ad impararlo.