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Il cosmo secondo i bambini
Galileo - 07-06-2006
Una Terra piatta e sempre ferma, dove il giorno e la notte si alternano come in un teatro grazie a sapienti scenografie. E l'orizzonte locale? L'elemento più lontano di un paesaggio, quello dove finisce lo sguardo e oltre il quale l'occhio non può andare, come il mare o i palazzi, oppure la linea che separa il cielo dalla Terra. Sono queste le concezioni astronomiche dei bambini. E un po' anche quelle degli adulti. Secondo recenti studi, infatti, queste teorie 'ingenue' resistono anche in età adulta. Un po' come se facessero fatica a lasciare il posto a quelle più scientificamente evolute offerte dai libri scolastici. A legare le due diverse percezioni della materia ha provato il progetto "Tra Tolomeo e Copernico. Il cambiamento nelle concezioni astronomiche dei bambini" del Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università Roma, i cui risultati sono stati resi noti nel corso del convegno "Le concezioni scientifiche dei bambini: sviluppo ed educazione" organizzato il 27 maggio all'Università di Roma di Roma Tre dalla Facoltà di Scienze della Formazione, dal Dipartimento di Scienze dell'Educazione, dal corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria e dal Laboratorio di Psicologia Sperimentale.

L'obiettivo del progetto era capire attraverso quali processi educativi si favorisce l'acquisizione di conoscenze scientifiche dei bambini tra i 3 anni e i 12 anni. E ovviamente la pratica si è dimostrata il modo migliore. "I bambini in età prescolare costruiscono le proprie conoscenze intuitive del mondo, le proprie 'teorie', a partire dalle percezioni e esperienze che hanno, dall'osservazione e dalle informazioni che ricevono da genitori, insegnanti, coetanei, televisione, computer", spiega Paola Perucchini, docente di Psicologia dello Sviluppo e dell'Educazione a Roma Tre e responsabile del progetto. "Una volta a scuola, le conoscenze scientifiche acquisite risultano discordanti con quelle di senso comune, che permangono anche negli adulti. E il bambino, a differenza dei grandi, non sa metterle in relazione e farle convivere". Da qui l'idea di lavorare nelle scuole per capire le rappresentazioni mentali che i bambini si fanno dei corpi celesti e dei fenomeni astronomici e per farle evolverle, attraverso un percorso didattico, verso concezioni più vicine a quelle reali.

In 20 ore di attività, per un periodo di due mesi durante l'anno scolastico 2004- 2005, i bambini di quattro classi terze di una scuola elementare di Roma sono stati sottoposti a dei pre-test su alcuni concetti base: l'orizzonte locale, la forma della Terra, il percorso diurno del sole, la relazione luce-ombra e l'alternanza giorno-notte. Dopo questa prima fase hanno fatto esperienze di osservazione del cielo, dei corpi celesti più familiari (Sole, Luna, Terra) e dei loro movimenti.

"Abbiamo cercato di attivare l'apprendimento non solo con le spiegazioni, ma attraverso il coinvolgimento senso-motorio, le attività plastico-manipolative, le discussioni in gruppo. Così i bambini hanno usato il corpo come unico strumento di riferimento: gli occhi per osservare, le dita, le mani e i piedi per misurare angoli e distanze, ecc.", spiega Perucchini. "Dopo, sottoposti di nuovo ai test, hanno mostrato un miglioramento dell'apprendimento rispetto alle conoscenze precedenti".
Questo non significa che la scuola non fa apprendere e non riesce a sostituire le teorie intuitive con le conoscenze scientifiche. Certo è che i testi scolastici, per essere sintetici, a volte perdono di efficacia. Quindi l'insegnante, oltre a usare i libri, deve coinvolgere il bambino in esperienze dirette ed emotive che facciano capire che le teorie astronomiche non sono dogmi ma il frutto di errori, riformulazioni e metodologie varie".

Roberta Pizzolante
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