da Tuttoscuola Focus - 05-06-2006 |
L’analisi del Governatore Draghi sull’istruzione in Italia La denuncia del Governatore di Bankitalia Mario Draghi sulla situazione critica di competenze scolastiche degli italiani non è certamente passata inosservata e non mancherà di suscitare dibattiti, condivisioni e critiche. Due gli elementi critici della sua analisi: il livello mediocre di competenze matematiche degli studenti italiani, il cui livello di preparazione in questa materia a 15 anni segna già un ritardo equivalente ad un anno scolastico; la mancanza di regole premino il merito di docenti e ricercatori, impedendo il miglioramento del sistema. "Prima ancora che maggiori spese occorrono nuove regole che premino il merito di docenti e ricercatori", ha detto il Governatore. Una prima condivisione delle sue analisi è venuta dalle colonne del "Corriere della sera" da parte di Gaspare Barbiellini Amidei che, in particolare, si è soffermato sull’assenza di criteri meritocratici nel nostro sistema, auspicando, pur con una punta di pessimismo, che in proposito si avvii finalmente una svolta significativa. "Rientrerà nel campo delle cose realizzabili l’adozione, finalmente, del criterio del merito – si domanda l’editorialista – per premiare tra i docenti chi più si impegna e più frutti raccoglie?" Ricordando poi il tentativo fallito dell’ex-ministro Berlinguer, fermato da "un no intriso di conservatorismo ideologico", constata che "chi ci ha provato finora ha sempre fallito". Ma, se le raccomandazioni di Draghi (servono nuove regole che premino il merito), sono giuste, "la sinistra italiana si convincerà che è arrivata l’ora di muovere qualche passo in questa direzione?". Il ministro Fioroni, si chiede Barbiellini Amidei, condividerà la proposta di Draghi? "In questo caso dovrà affrontare una sfida ardua, da risolvere con determinazione e pacatezza. In stile europeo". L’amarcord di Berlinguer: quei tardogentiliani di destra e sinistra... L’appello del governatore della Banca d’Italia Draghi affinché siano adottate "nuove regole che premino il merito di docenti e ricercatori" ha riacceso nell’ex ministro Luigi Berlinguer il ricordo di una ferita mai rimarginata, quella provocata dalla gigantesca manifestazione di docenti – la più imponente del dopoguerra – che travolse nel febbraio 2000 il suo tentativo di differenziare le retribuzioni in base al merito, da accertare attraverso il cosiddetto "concorsone". Eppure "Cgil, Cisl, Uil e Snals avevano sostenuto sia la proposta che lo strumento" (il test), e solo la Gilda e i Cobas si erano opposti, ma erano "numericamente ininfluenti", lamenta Berlinguer in un’intervista a Gabriela Jacomella sul "Corriere della Sera". L’ex ministro (che a seguito della vicenda non fu confermato e fu sostituito da Tullio De Mauro) ancora oggi accusa "alcuni tardogentiliani di destra e di sinistra" di aver boicottato la sua operazione, cavalcando il conservatorismo della categoria. A noi sembra, ora come allora, che a determinare il rifiuto di massa della sua proposta sia stato non tanto il principio della differenziazione delle retribuzioni, ma soprattutto il carattere arbitrario e considerato umiliante per l’intera categoria degli strumenti predisposti per misurare il merito individuale: i test, la valutazione della performance didattica, l’idea che a parità di prestazioni possano corrispondere compensi più alti per "i più bravi" così selezionati. Del resto lo stesso Berlinguer riconosce che "il merito era giusto, il metodo sbagliato". Diversa sarebbe stata (e riteniamo che sarebbe) la risposta degli insegnanti ad una proposta di diversificazione delle retribuzioni fondata sulla valutazione e valorizzazione del loro curricolo professionale (titoli di studio e di specializzazione, corsi di formazione teorico-pratici certificati, partecipazione documentata a progetti di successo, partecipazione a concorsi ecc.) cui corrispondano specifici compiti all’interno dell’organizzazione scolastica. Dice oggi Berlinguer: "bisogna garantire incentivi, riaprire il dialogo con i sindacati. Forse all’epoca era prematuro, ma sono contento di avere aperto una strada. Su cui ora bisogna proseguire, con fermezza e determinazione. E con saggezza". Appunto. |
dal Corsera - 05-06-2006 |
Ma per i sindacati, a sei anni di distanza dalla megaprotesta dei prof contro i quiz per separare i bravi dagli altri, il concetto di verifica del merito individuale continua a non avere senso Aumenti di merito ai docenti, è scontro. I sindacati si dividono sulla risposta a Luigi Berlinguer e riaprono la questione della riforma Moratti I Cobas: il governo non sbagli come 6 anni fa. Cgil e Cisl: valutazione sì, ma servono risorse Per l’ex ministro dell’Istruzione, Luigi Berlinguer, i tempi sono maturi per tornare a parlare di verifica della qualità dei docenti. Ma per i sindacati, a sei anni di distanza dalla megaprotesta dei prof contro i quiz per separare i bravi dagli altri, il concetto di verifica del merito individuale continua a non avere senso. L’uscita di Berlinguer trova le sigle della scuola, ormai prive del collante dell’antimorattismo, poco convinte ma in disaccordo tra loro. L’agenda del nuovo governo sull’Istruzione - Fioroni ha scelto di studiare i problemi e non esternare - è ancora in bianco e già appaiono le prime incrinature tra i sindacati dopo un quinquennio di compattezza contro l’ex ministro. I Cobas a capo del movimento «Fermiamo la Moratti» accusano la Cgil di fare retromarcia sull’abrogazione della riforma, la Gilda è pronta allo scontro con gli altri sindacati se non otterrà un’area contrattuale separata per i docenti, ossia senza i bidelli. Posizioni divergenti anche in materia di merito, anzi di valorizzazione professionale, la formula più usata. Per Gilda e Cobas, i due sindacatini (8 e 5% di consenso) che sei anni fa hanno portato allo sciopero contro il «concorsone» propedeutico agli aumenti di merito un docente su tre, causando la caduta di Berlinguer, i tempi oggi non sono maturi. «È facile individuare il demerito - dice il coordinatore Rino Di Meglio -; è arduo, invece, determinare i meriti: nessuno ha trovato, per quanto ne so, un metodo. Servirebbe un’autorità indiscussa». «Errare è umano, perseverare è diabolico - dichiara Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas scuola -. Berlinguer allora sbagliò grazie ai consigli dei confederali, ma quando provò a concretizzare scoprì di non avere gli strumenti per misurare il merito e si mise contro la categoria che aveva capito come sarebbe andata a finire: 20% di bravi col bollino blu, 80% di meno bravi. La valutazione va fatta seguendo quotidianamente il lavoro del docente, non ci sono quiz né formule». A sei anni di distanza il ricordo del «concorsone» scotta ancora tra confederali e autonomi. La mattina del 17 febbraio, Cgil (30% di consenso), Cisl (25) Uil (12) e Snals (19) per poche ore si trovarono quasi senza base: avevano aderito allo sciopero 320 mila docenti. Un segno della specificità della tradizione sindacale dei prof. «Più da colletti bianchi - osserva Alessandro Cavalli, docente universitario a Pavia, esperto di problemi dell’educazione - che da categoria operaia. La fedeltà non è assoluta, perché il loro lavoro ha un elevato grado di autonomia». E difatti la reazione all’uscita berlingueriana sui «tempi maturi per il merito» è di estrema prudenza. In Europa nella valutazione interviene il preside, in quanto responsabile dei risultati dell’istituto. Berlinguer ipotizzò un concorso selettivo statale. Per confederali e Snals le parole d’ordine sono promozione della professionalità diffusa, valorizzazione, opportunità per tutti. Le emergenze 2006 per il leader della Cgil scuola e università, Enrico Panini, sono anzitutto le retribuzioni e il problema dei precari: «Si può affrontare anche la valutazione, purché ci siano le risorse. Ci vuole una proposta confederale aperta, in grado di misurarsi con una professionalità diffusa - la differenza non la fa il prof bravo ma il collettivo - da sottoporre a un referendum d’ingresso e uno finale». «Nessun tabù, d’accordo, ma non bisogna ripetere gli errori del passato - dichiara Francesco Scrima, segretario generale Cisl scuola -. Dare tanto a pochi non risolve il problema. La proposta deve essere un’opportunità offerta a tutti». Giulio Benedetti |