l'Italia non è una mela
Sandra Coronella - 14-04-2006
Alla delusione non si può sfuggire, è ovvio, e non solo per i sondaggi e questi benedetti exit-poll (a proposito, ma è possibile che nessuno pensi niente su questo spreco di denaro fatto solo per soddisfare la curiosità del popolo televisivo di sapere i risultati qualche ora prima?), ma perché specialmente nell'ultima fase di campagna elettorale mi sembrava impossibile che qualcuno potesse credere alle promesse sparate da Berlusconi, davvero degne di un venditore di pacchi.

E invece è andata come è andata: in tanti lo hanno votato.

Ma fra i tanti commenti di questi giorni quello che meno mi convince è quello di un'Italia "spaccata in due come una mela", come continuava a ripetere ossessivo Ferrara. E altrettanto non mi convince (ma sono certa che fosse un commento molto "a caldo") quello che scrive su Rete Scuole Vittorio Delmoro, arrabbiato con un'Italia, o almeno una metà di essa "dove la pancia, l'egoismo, gli istinti più bassi l'hanno vinta ancora una volta".

Consiglio a tutti la lettura di un bell'articolo di Franco Carlini i comparso sul Manifesto del 12 aprile, che spiega come le elezioni ci restituiscano una rappresentazione impoverita della realtà.

Il modo di pensare e di giudicare delle persone è complesso, ha molte facce. Pochissimi, sempre meno, sono quelli che votano sulla base di una scelta ideale netta e chiara.
Sarà perché, come scrive Tranfaglia....a molti mancano gli strumenti culturali per interpretare la realtà (e questo ci riguarda, noi che lavoriamo sulla conoscenza, oltre che nella scuola).
Sarà perché la realtà è complessa, la condizione personale e professionale di ciascuno ha tante facce, i problemi che richiedono una valutazione sociale, culturale, ideale, sono tanti e complicati (Carlini lo spiega benissimo), che ciascuno cerca ciò che più gli assomiglia. Ciò che più si avvicina ai suoi interessi. E in un periodo di insicurezza, di incertezza, non è poi così strano che questo a volte coincida soltanto con ciò che fa meno paura.

Così c'è chi ha votato il centro-destra (non necessariamente Berlusconi, ma anche), non perché del tutto convinto dalle sue promesse, ma pensando che - certo - non toglierà l'ICI, ma magari l'abbasserà, e comunque di certo non aumenterà le tasse, permetterà di rimanere un po' evasori, magari solo un pochino, permetterà insomma di continuare ad arrangiarsi come finora si è fatto. Che al peggio, si sa, non c'è mai fine.
E c'è la dilagante diffidenza per la politica e per i partiti, assunta quasi a principio di vita. Su questa forse dovremmo forse anche riflettere (ma mentre lo scrivo già sento - ahimè - le polemiche che posso suscitare anche vicino, molto vicino, e mi fermo subito...). Ma è un dato di fatto che il "non fidarsi" non per tutti si traduce in un impegno attivo e senza delega.
Per molti, la maggior parte, è diffidenza e sfiducia e basta, e spinta a far da sé, a star lontani dalla politica ma anche dallo Stato, a tirare avanti come si può.

Certamente la sinistra poteva fare di più...già, ma in che senso?
Più a sinistra, dicono quelli che hanno votato Rifondazione e ne sottolineano i successi (ma quali voti si sarebbero spostati?). Più al centro, dice chi guarda al risultato dell'ulivo (ma erano in pochi a crederci, prima).
Comunque è vero, c'erano molti buchi, debolezze, posizioni reticenti e non chiare, evidenti difetti e incapacità anche sul piano della comunicazione.

Ciò che mi è piaciuto della campagna elettorale di Prodi, specialmente l'ultima parte, è stata quella accentuazione a voler essere il governo che unisce.
Non credo e non voglio credere che fosse solo lo spirito ecumenico del buon curato.
Credo e spero invece che fosse, e che sarà, la capacità di cominciare a dipanare i problemi e a darvi risposte giuste, eque, chiare.
Nel tanto criticato programma dell'Unione molte cose ci sono. A mio avviso ce n'è più che abbastanza per cominciare.
Poi sarà quel che sarà.
E che il governo possa durare 5 anni o meno, mi pare questa l'unica strada per uscire dalla confusione. Per fare dei passi avanti.
Parlando del nostro pezzetto di mondo, della scuola, mi pare che molte considerazioni siano implicite in ciò che ho scritto fin qui.

Da tempo penso, e quando capita anche dico e scrivo, che dobbiamo tener conto molto di più del "comune sentire" delle persone, che delle nostre pure aspirazioni ideali. O delle nostre diatribe a sinistra, troppo spesso (temo) solo nostre, cioè di noi che direttamente ce ne occupiamo.

Vado a scuola, il giorno dopo le elezioni, e incontro persone con cui so di condividere la gioia per la vittoria e anche quel pizzico di amarezza.
Incontro anche tante persone di cui non saprei neppure dire con certezza per che cosa abbiano votato. Ma con cui so con certezza di avere in comune molti pensieri, preoccupazioni, idee da confrontare. Voglio ripartire da qui.

Mentre il caimano blatera di brogli, non ascoltiamo i profeti di sventura. L'Italia non è un paese allo sbando né un paese dove è possibile solo l'inciucio. E' un paese che deve essere governato.

Possiamo farcela.
Buona primavera.
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