tam tam |  libri  |
Giovanni Preziosi e la questione della razza in Italia
Giuseppe Aragno - 04-04-2006
Il gioco di parole apparirà probabilmente facile e banale, ma sono davvero preziosi gli atti di un convegno su Giovanni Preziosi, raccolti pochi mesi fa in un bel volume curato per l'editore Rubettino da Luigi Parente, Fabio Gentile e Rosa Maria Grillo. Un convegno, è giusto ricordarlo, fortemente voluto dall'Osservatorio politico-sindacale "Gaetano Vardaro", che rappresenta ormai uno dei punti fermi per gli studiosi che si oppongono alla canea revisionista. Giovanni Preziosi e la questione della razza in Italia - è questo il titolo del libro - raccoglie coraggiosamente - la scelta è meditata - quanto di meglio e di peggio esprimono oggi gli studi storici su un tema cruciale, e purtroppo amaramente attuale, qual è quello del razzismo in Italia. Un tema che tarda ad uscire dagli schemi dell'autoassoluzione e dallo stereotipo di una comoda contrapposizione tra una sorta di "italica innocenza" che si sarebbe tenuta nei confini della "dottrina" del razzismo "spiritualista" - come se questo bastasse a cancellare una vergogna - e la sanguinosa ferocia di quello tutto teutonico e "materialistico-biologico" che condusse all'olocausto. Coi morti, insomma, noi italiani non c'entriamo e non c'entra il fascismo; a scanso di equivoci, piuttosto, noi vantiamo ormai una inopinata e provvidenziale fioritura di "storie" di "giusti" dimenticati, ignorati salvatori e oscuri eroi che ci regalano l'aureola della santità.
Certo, acqua sotto i ponti n'è passata dacché Renzo De Felice, con la sua Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, tentò di dare una strumentale dignità di scienza al mito rasserenatore dell'italiano brava gente - a tanto consapevolmente giunse il sacerdote della santità del fatto - e passi avanti, per buona sorte, se ne sono fatti. Basti pensare al bel lavoro curato da Bugio (Nel nome della razza. Il fascismo nella storia d'Italia. 1870-1945, Il Mulino, Bologna, 1989) o a quello di Sarfatti (Gli ebrei nell'Italia fascista, Einaudi, Torino, 2000), per rendersene conto. Non siamo più fermi a De Felice e, tuttavia, ha ragione Parente nella sua lucida introduzione: molto ancora c'è da fare. Non solo, infatti, come egli scrive, "ancora oggi, a sessant'anni dalla sconfitta del fascismo il razzismo rimane il rimosso, o nel migliore dei casi il meno studiato dei caratteri originali del fenomeno fascismo", ma siamo a questo: la cultura storica dell'italiano medio ignora il ruolo svolto dalla Chiesa, dagli studiosi di scienze sociali e persino da quelli delle discipline mediche, nel creare e rafforzare, grazie ad una strumentale alleanza tra "fede e dottrina", un pregiudizio razziale che, anticipando significativamente il nazionalsocialismo, ebbe nell'antisemitismo il nucleo centrale, ma non si tirò indietro di fronte a sortite in campo slavo e nero. Parente lo ammette e occorre darne atto all'Osservatorio di cui è anima assieme a Francesco Saverio Festa: il libro è una scelta d'azzardo, in un paese che ha pregiudizi razzisti e non ama fare i conti con se stesso.
Nell'azzardo rientrano il "meglio" e il "peggio" di cui dicevo, e non a caso, perché i curatori hanno inteso dar spazio anche alle voci dissonanti. Così Aldo Alessandro Mola ha potuto confondere, in chiave di revisionismo ideologico, un fascista come Preziosi, hitleriano della Shoà, che si prefigge di eliminare gli ebrei, con la durezza di una guerra partigiana per la quale Concetto Marchesi mette in conto - e mi pare persino generoso - tre o quattromila morti fascisti. Hanno scelto, i curatori, ed è decisione pienamente condivisibile, che a Mola si affiancasse Giano Accame, che non sembra faccia ricerca e si limita a dar conto di poche letture per esprimere una singolare e inaccettabile opinione: Preziosi e il fascismo non furono razzisti.
E allora sì, allora la posta vale la candela ed è giusto che questo revisionismo tutto ideologico - portabandiera, guarda caso, della guerra santa alla storiografia ideologica! - venga cacciato allo scoperto: il confronto con studi di ben altra ed elevata qualità ne svela la pochezza e, d'altro canto, la corporazione degli storici è un organismo vivo, che ha bisogno di contagio per immunizzarsi. Di anticorpi, ne ha certamente, tra i saggi raccolti nel volume - non li citerò tutti e me ne scuso - quello di Francesco Germinario su "la Vita Italiana" diretta da Preziosi, che coglie un interessante punto fermo nel lontano 1922, quando Hitler - o qualcuno a lui molto vicino - si accosta al razzismo fascista, attratto dalla violenta campagna antisemita scatenata da Preziosi. Siamo, si badi bene, in anni ancora lontani dall'apoteosi nazista, in un'Italia fortemente ostile ai tedeschi, ed è il fascismo a far scuola di razzismo. Sicché non è un caso che Germinario non solo affianchi a Preziosi altri protagonisti del pensiero fascista legato al razzismo, valgano per tutti il ras Farinacci e la "Rivista di Milano", ma sottolinei come nel 1933 Evola senza contestare la sostanza delle riflessioni di Rosemberg, che farnetica sul concetto di "ariano", gli chiede di includervi l'Italia fascista erede di Roma. Non è cosa da poco ed è anzi la prova di come, sin dall'inizio, tra fascisti e nazisti, tra Rosemberg e uomini del peso di Evola e Farinacci, per fare dei nomi, il razzismo non è in discussione. Si discute certo - e qui si registrano anche divergenze - ma il dissenso ha confini precisi e si limita ad una domanda: quale razzismo? E se Preziosi oppone all'arianesimo la difesa di una identità cattolica, non intende segnare un confine e prendere le distanze da un eccesso di intolleranza. Tutt'altro: egli si limita solo a contrapporre un razzismo ad un altro, sino a che, osserva Germinario, "la veloce deriva degli anni successivi avrebbe rivelato la potente attrattiva" che su quello italiano "veniva esercitando quello proveniente dalla Germania nazista".
Non meno netto e lucido, il saggio di Fabio Gentile sulle leggi razziali e la scuola napoletana, non foss'altro che per l'agilità dell'impianto, l'originalità della documentazione e la chiara posizione iniziale sul "progetto razziale totalitario del fascismo" che "non ebbe molto da invidiare in quanto a durezza e puntiglio a quello razziale biologico nazista". Degno di nota certamente anche il saggio della Picchetto sulle radici ideologiche e culturali dell'antisemitismo di Giovanni Preziosi, da cui viene fuori la figura di un fascista che ha ruoli rilevanti - e non è un caso - nel primo e nell'ultimo fascismo, che meglio e più consapevolmente si adatta a recepirne il tentativo lucido e conseguente di esasperare e portare sino alle estreme conseguenze la campagna d'odio del regime contro gli ebrei. In quanto a Gian Franco Lami, di indiscusso interesse risulta il suo tentativo di individuare i diversi momenti del razzismo fascista attraverso le fasi di sviluppo del pensiero dei suoi maggiori esponenti, trovando tracce evidenti di una dottrina razziale già nella polemica antiprotezionista sostenuta nel 1926 da "Critica fascista".
Credo di poterlo scrivere serenamente. Il libro non solo legittima ampiamente il tentativo dell'Osservatorio "Gaetano Vardaro" di porre a confronto diretto le posizioni del revisionismo e quelle di una storiografia che non si presta ad imboccare la via delle facili scorciatoie ma, sul piano metodologico rappresenta un innovativo modello di approccio a questioni storiografiche scottanti. E questo, come scrive Parente, è di per sé "segno senza dubbio alcuno della maturità e dell'impegno raggiunti dalla ricerca storica nel nostro Paese".

  discussione chiusa  condividi pdf