breve di cronaca
L'esame fallito della Moratti
L'Unità - 13-03-2006
Un governo proietta nell'idea che ha del sistema dell'istruzione - più che altrove - l'idea che ha della società. L'idea di scuola del duo Moratti-Berlusconi non è un'eccezione. Della scuola-impresa c'è poco da salvare. Perché è venuta meno - integralmente - alla funzione principale che la scuola dovrebbe avere: ha separato invece di unire. Il rafforzamento della divaricazione di destini socialmente determinati è la nefasta idea-guida della politica scolastica di questi 5 anni. In tutti i sensi, e non solo nella cosiddetta riforma, che pure è il discutibile fiore all'occhiello della gestione Moratti. Che i ricchi debbano avere privilegi rispetto ai poveri è l'ossessione del presidente del Consiglio e dei suoi.
E in questo senso va letta la serie di provvedimenti a favore di coloro che frequentano la scuola privata: dal bonus alle famiglie che decidono di non avvalersi della scuola pubblica, alla riforma dell'esame di Stato inserita nella Finanziaria, per favorire i "diplomifici". L'equiparazione, poi, di diritti e punteggi maturati dagli insegnanti della scuola privata rispetto a quelli della scuola pubblica è stato il premio a chi, nel sistema di reclutamento, ha spesso usato scorciatoie, privilegi, conoscenze. Tutti i contenuti della legge Moratti ci parlano di differenti diritti su base censitaria: l'anticipo scolastico, di cui hanno potuto beneficiare solo i bambini delle zone "bene" del Paese (gli altri, spesso, non riescono nemmeno ad accedere alla scuola materna, tanto sono lunghe le liste d'attesa); il "portfolio", mirante a definire un profilo personale dell'alunno sensibile ad esperienze che molti, troppi, non hanno la possibilità di fare; una riduzione dell'orario curriculare, che incide principalmente su chi - fuori della scuola - non ha la possibilità di acquisire conoscenze, competenze, capacità; la scelta precoce tra sistema dell'istruzione e quello della formazione professionale, che traccia la divaricazione definitiva tra coloro che possono permettersi di continuare a studiare e coloro che saranno obbligati a scegliere un ingresso anticipato nel mondo del lavoro; l'abbassamento dell'obbligo scolastico, che ricadrà esclusivamente su coloro che hanno per tradizione familiare e estrazione sociale prospettive di scolarità limitata; la distruzione dell'esperienza fondamentale del sistema dell'istruzione di secondo grado non liceale. La devoluzione, infine, istituzionalizza l'aumento del "gap" tra livello di istruzione del nord e del sud del Paese, evidenziato dalle più diverse ricerche. Sia detto per inciso. Le circostanze e i tempi obbligano a usare - in questa fosca teoria di provvedimenti - il modo indicativo; e una questione di pura scaramanzia sconsiglia l'uso del condizionale; ma la fiducia che tutto ciò possa essere riportato, tra un mese circa, come incubo fortunatamente scongiurato c'è. E l'attesa è tanta.
La debolezza, in qualunque forma si esprima, non è ben vista da Berlusconi e i suoi. Sarà per questo che la scuola pubblica ha subito, finanziaria dopo finanziaria, tagli pesanti: la riduzione del personale ATA, che ha comportato che in molte scuole manchi integralmente la sorveglianza sul piano; le drammatiche vicende di tanti bambini diversamente abili, seguiti in maniera parcellizzata e incompleta, a volte non seguiti, a causa del numero insufficiente degli insegnanti di sostegno. La condizione sempre più precaria dei precari, dei quali la scuola continua a servirsi per poi disfarsene a giugno. Tra una proroga e l'altra la legge 626 continua ad essere disattesa e nel vuoto è caduto il recente appello del comitato dei genitori dei bimbi vittime del terremoto di San Giuliano, che chiedono scuole sicure. Infine, non meno grave, la negazione del pluralismo e della laicità della scuola pubblica, intollerabile ingerenza che si concretizza nella centralità della "antropologia cristiana" sia nella compilazione delle Indicazioni Nazionali, che hanno sostituito - nella inedita forma di allegati rigorosamente anonimi a un decreto attuativo della riforma, ai quali pure moltissime case editrici si sono prontamente adeguate - i programmi scolastici; sia nell'incredibile condizione di assoluto privilegio accordata agli insegnanti di religione cattolica. Il tentativo di controllo del sistema di reclutamento degli insegnanti, insieme alla pesante incursione sul criterio di collegialità dell'insegnamento, concretizzatasi nella nomina del tutor, definiscono un'idea di scuola lontana mille miglia da ciò di cui il nostro paese ha bisogno. Il primo auspicabile passo è abrogare. Non prima, però, di aver confermato la centralità della scuola tra le priorità del governo che, speriamo, verrà. Proiettando sulla scuola l'idea di una società accogliente, solidale, che favorisca le pari opportunità e si adoperi perché i diritti esigibili siano tali per tutti, nessuno escluso.

Marisa Boscaino

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 Coordinamento Nazionale Docenti Bibliotecari    - 13-03-2006
In questo dettagliato e giusto elenco manca un ulteriore elemento di razzismo del trio Berlusconi-Tremonti-Moratti: quello verso i docenti malati, visti come un peso morto da espellere dall'azienda produttiva e vitale.
Così i docenti inidonei all'insegnamento per motivi di salute, possono restare nella scuola 5 anni e poi, in un modo o nell'altro, devono andarsene: col licenziamento o con pensioni da fame o con una mobilità in altri enti che non esiste per mancanza di posti o per lo stesso strisciante razzismo.
Con questo provvedimento viene annullato tutto quello che di buono fanno gli insegnanti utilizzati nelle biblioteche, nei laboratori, nelle segreterie, negli enti di ricerca. Vengono chiuse le biblioteche e i centri multimediali, togliendo un altro servizio a chi non ha la fortuna di una biblioteca e un computer a casa, di una famiglia che trasmetta il gusto della lettura e l'attitudine alla ricerca.

CONBS