Anna Di Gennaro - 07-03-2006 |
da Corriere della Sera Lunedì, 6 Marzo 2006 IN CATTEDRA Docente, professione difficile sull'orlo di una crisi di identità Noia e depressione sono i sintomi più diffusi. Per gli anglosassoni si tratta di una sindrome: burnout Anatomia di un professore. Sempre più depresso, annoiato (lo confessano gli insegnanti inglesi alla Società Britannica di Psicologia) e conflittuale (con i colleghi e i genitori, par condicio ). Insomma, da una parte «ma sì insegnare è bellissimo», dall'altra «cade in depressione per i troppi oneri e i pochi onori». Le solite cose, pochi soldi, crollo ell'autostima, incertezze sul futuro. L'immagine pubblica dei docenti sta crollando in tutto il mondo, «ma non per questo bisogna sottovalutare la cosa», dicono in coro i diretti interessati, in una scuola sui Navigli. Uno stato di stress che corre dalle materne fino ai licei. L'hanno pure nobilitato con una sindrome specifica: «burnout» (tagliato fuori, bruciato, fuso). Gli esperti inglesi, naturalmente, ma anche gli studiosi di casa nostra hanno registrato situazioni preoccupanti. Ansia, depressione, reazioni psicosomatiche, attacchi di panico. Sempre più frequenti. Le ricerche si moltiplicano, i dati si contraddicono: facendo una stima di media, quasi il 20 per cento dei professori italiani intervistati in questi ultimi anni, fa (o ha fatto) ricorso a farmaci ansiolitici. Forse per motivi non strettamente legati alla scuola. Forse. Comunque, il problema è globale, nel senso che attraversa tutti i sistemi educativi del mondo. A Hong Kong, tanto per fare un esempio, anche i professori possono contare su un telefono amico per la categoria. Un numero verde a cui confidare un po' di ansia. In fondo, dicono le notizie, due docenti si sono suicidati a breve distanza l'uno dall'altro, e pare a causa di uno stato depressivo provocato da un eccesso di lavoro. Dicono pure che migliaia di insegnanti abbiano manifestato contro i tagli alla scuola, che sta costringendo i prof a lavorare fino a settanta ore settimanali. E i politici che fanno? Istituiscono il numero verde, e gli insegnanti - riferiscono le cronache di queste ultime settimane - sono ancora più depressi. In Inghilterra, per tornare da noi, il problema dell'ultima ora è la noia. Si annoiano quando correggono i compiti e, soprattutto, durante i consigli di classe, i collegi e le riunioni per materia. «Certo - confessa un insegnante di Rozzano -, proprio come da noi». Giuseppe Tesorio http://www.edscuola.it http://www.edscuola.com |
Anna Di Gennaro Melchiori - 07-03-2006 |
Consiglio la lettura del suddetto testo. Chi desiderasse la scheda libro, mi scriva. adige@fastwebnet.it http://www.orizzontescuola.it/article9840.html ...C'è chi lavora da anni alacremente alla formazione della consapevolezza delle inevitabili implicazioni emotive e alla loro efficace lettura, il prof. Pasquale Picone, che nel suo testo Supervisione e formazione permanente (Edizioni Sette Città, Viterbo marzo 2004), indica la strada del recupero dell'identità smarrita. "La motivazione alla conoscenza, se vissuta come processo di trasformazione e di individuazione, implica, a diversi livelli e in svariati settori, la passione per i processi formativi, propri e altrui. Le storie personali e professionali sono, eminentemente, storie di formazione. Essere immersi nel mare mosso delle organizzazioni formative del presente, significa spesso investire energia, per nuotare e tenersi a galla. Significa un impegno continuo di osservazione e auto-osservazione, di comprensione. Per vedere, almeno, dove si sta andando Non è più possibile - i tempi, l'economia globale, e l'Europa non lo consentono - più assistere a tanti sprechi diffusi di risorse umane, di esperienze e patrimoni conoscitivi. Risorse, di chi ha investito anni, passione, energie e professionalità parallele nella propria formazione. Sprechi, attraverso la conflittualità, talvolta stolida, tra docenti e studenti; tra docenti e genitori; tra i docenti stessi; tra dirigenti scolastici e collegi docenti. Attraverso l'emarginazione, l'esclusione dei più motivati." |
luigi piotti - 07-03-2006 |
Senso di impotenza, di frustrazione, depressione e non di meno vomito non mi sembrano sintomi di una malattia, meglio, non mi sembrano reazioni anormali ad una realtà che priva della libertà di scelta, reprime le espressioni libere, tratta cittadini (che per definizione dovrebbero partecipare) come utenti (sic!) e sopprattutto ha l'arroganza di educare. Credo proprio che sia segnatamente la volontà di educare che provochi conati di vomito, ma daltronde cosa si può fare con in mano utenti per di più minorenni? Bisogna fare attenzione a non confondere i sintomi con la malattia e fare più attenzione a chi di anticorpi non ne ha. Dice bene Ilaria che scrive che i vigili insegnanti dovrebbero avere un occhio di riguardo per chi non copia i compiti e non riesce ad aggirare le domande dei professori con una qualche dose di retorica e inventiva, gli altri sembrano cavarsela già benone! |