breve di cronaca
Il programma? Meglio meno (e un po' meglio)
Corsera - 13-02-2006
Fare dell'ironia sarebbe un esercizio di cattivo gusto. Anzi: si può anche dire che il programma dell'Unione sia un po' meno vago e contraddittorio di quanto universalmente ci si aspettasse. Per esempio, non sappiamo come andrà a finire la tenzone con la Rosa nel Pugno: ma intanto è un bene che il netto dissenso sui Pacs e la scuola privata sia stato rimandato senza diplomatismi al giudizio degli elettori.
Ancora. Dopo tante oziose polemiche, finalmente è stato scritto nero su bianco quali sono le leggi della Casa delle Libertà che l'Unione al governo smantellerebbe per legiferare in tutt'altra direzione: non soltanto le misure (più o meno ad personam) in materia di giustizia, ma anche riforme-chiave di questo quinquennio, a cominciare dalla Moratti e dalla Bossi-Fini. Si può essere d'accordo o no: ma intanto è un bene che gli elettori sappiano che cosa distingue il centrosinistra dal centrodestra su questioni cruciali come la scuola e l'immigrazione. E si potrebbe continuare a lungo, dedicando anche la dovuta attenzione a quella sorta di moderno patto tra i produttori che il programma dell'Unione cerca di delineare.

Resta aperto, però, l'interrogativo principale: è possibile o no individuare in questo programma quattro o cinque idee forza sull'Italia che l'Unione ha in mente, abbastanza chiare e convincenti, intanto, da cambiar segno a una campagna elettorale fin qui sin troppo simile a un referendum pro o contro Silvio Berlusconi? Sarà un caso, ma due tra i commentatori più lucidi della sinistra radicale, Valentino Parlato sul manifesto e Rina Gagliardi su Liberazione, danno a questa domanda risposte esattamente opposte. Per Parlato il programma è «una piattaforma di indeterminati», tutt'al più «una delega ai gruppi dirigenti perché trattino nel modo migliore», per la Gagliardi è invece, finalmente, «qualcosa di sinistra», anche se, naturalmente, «si poteva ottenere di più».

A occhio e croce, verrebbe da riconoscere qualche ragione a Parlato: cose importanti e interessanti nel programma dell'Unione ce ne sono molte, «proposte nette e precise sulle quali mobilitarsi o dividersi» meno. E, quando se ne vede qualcuna, c'è sempre da chiedersi quale corso effettivamente avrà in campagna elettorale, e quale vita vivrà dopo il voto, se a vincere sarà il centrosinistra. Sarebbero domande legittime, queste, persino in un sistema bipartitico (o quasi), e con una legge elettorale maggioritaria (o quasi). Rischiano di diventare le domande principali in un Paese nel quale tra meno di due mesi si andrà a votare (non per colpa dell'Unione, è chiaro) con la più strampalata delle leggi elettorali (quasi) proporzionali. E per un centrosinistra che è anche una confederazione di 11 (ma qualcuno dice 13) partiti e partitini. La speranza, naturalmente, è che mettano da parte le rivalità. Ma il timore, fondato, è che di qui al 9 di aprile ciascuno si dedichi più a rimarcare ciò che lo differenzia dagli altri, nel caso inventandosi bandierine identitarie d'occasione, che a promuovere il programma comune.

Si può obiettare, è chiaro, che tutto questo è nelle cose, perché la nuova legge elettorale certo non l'ha voluta un centrosinistra costretto adesso (anche perché dispone di un candidato premier sperimentato, ma non di un leader politico in grado di federare e di unificare) a navigare controcorrente, badando a tenere a bada i suoi vizi di famiglia quanto gli attacchi degli avversari. Vero, anzi, verissimo. Forse però la scelta più indicata per contenere i vizi in questione non era la stesura di un programma onnicomprensivo, nel quale ciascun associato (Rosa nel Pugno esclusa) potesse rimarcare il suo segno, grande o piccino. Magari sarebbe stato preferibile riunirsi per tempo a conclave, per discutere, e nel caso litigare, fino a quando non si fosse riusciti a mettere a punto un paio di cartelle di proposte così chiare da poter essere (l'espressione vezzosamente retro è di Parlato) «traducibili in slogan». Troppo poco? Può darsi. Ma, come diceva quel tale, meglio meno ma meglio.

Paolo Franchi
12 febbraio 2006


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 dal Manifesto    - 13-02-2006
Delusione Preventiva
VALENTINO PARLATO

Oggi, giorno dello scioglimento delle camere, alle 10,30, al teatro Eliseo di Roma, l’Unione presenterà il suo definitivo programma per le elezioni del 9 e 10 aprile. Il teatro Eliseo di Roma è sede storica di impegnative iniziative del Pci e della sinistra italiana, se ne potrebbe fare un elenco di date storiche. Quindi grande attesa per l’evento di stamane. Però, però, sulla base di quel che si è potuto leggere e sapere la condizione mia, e di tanti compagni, è quella della delusione preventiva. Meno peggio della guerra preventiva, ma che certamente non aiuta chi è convinto che l’obiettivo assoluto, anche contro le peggiori delusioni, sia quello di liberarci di Berlusconi e della sua eteroclita banda.
Spero fortemente di essere smentito stamani all’Eliseo, ma da quel che finora mi è dato di conoscere non credo proprio. Non c’è un punto, dall’Iraq alla scuola, dal lavoro all’economia, dalla politica interna a quella estera sul quale si possa leggere un’opzione chiara e netta e visto che siamo in campagna elettorale una posizione che si possa tradurre in slogan (qualcuno si ricorda della «terra a chi la lavora» o della «legge truffa» o delle «riforme di struttura»?).
In questo programma (salvo felici smentite di stamani) non c’è nulla di preciso e netto, nulla che possa mobilitare gli elettori, anche quelli che di Berlusconi non ne possono proprio più. Questo programma, nella migliore delle ipotesi, appare come una delega ai gruppi dirigenti perché trattino nel modo migliore. Mancano del tutto proposte nette e precise sulle quali mobilitarsi o dividersi. L’abuso dei verbi al condizionale preoccupa.
Se questo mio timore non sarà smentito stamani, e temo che non lo sarà, allora dobbiamo preoccuparci seriamente. Per almeno due o tre ragioni. La prima è che questa scarsa chiarezza, questo volere e non volere, incoraggia l’astensionismo di sinistra, incoraggia anche un qualunquismo suicida (sono tutti uguali: litigano tra loro solo per chi deve andare al governo). La seconda ragione è che questa cauta accortezza porta acqua al berlusconismo che è presente nella nostra società e che ha consentito la vittoria del cavaliere che non è extraterrestre (come Croce aveva detto di Mussolini). La terza ragione è che queste elezioni si vincono - come vogliamo che sia - su questa piattaforma di indeterminati, la gestione del futuro governo di centrosinistra sarà terribile e difficilissima.
Ciascuna delle componenti sarà autorizzata a tirare la coperta dalla sua parte e non solo strapperanno la coperta, ma manderanno a pezzi anche il letto. C’è ancora tempo per vitare questo slittamento.

Sabato 11 febbraio 2006

 da Liberazione    - 13-02-2006
Qualcosa di sinistra
RINA GAGLARDI

Molti autorevoli media hanno lamentato, in questo periodo, il “ritardo” dell’Unione, quanto a programmi e proposte concrete. E molti altri hanno “denunciato” il rischio di una proposta patchwork, più o meno indefinita, più o meno ambigua, date le rilevanti differenze che c’erano - e ci sono - tra le forze che compongono la coalizione. Bene. Adesso, da stamattina, il programma c’è: ciascuno può giudicarlo con i suoi occhi e il suo cervello. Ciascuno può riflettere, dubitare e interrogarsi, non più sulla base di voci o indiscrezioni, ma su un testo certo. Un documento ponderoso, ahimè, ma leggibile, oltre che in sintesi abbastanza agili (come l’“abecedario” che pubblichiamo nelle nostre pagine), nella sua fisionomia d’insieme.
Proprio da questo punto di vista, a noi pare un programma eccellente: ricco, ambizioso, impegnativo. Una piattaforma che non si limita a fuoruscire dalle cupezze dell’era berlusconiana, ma può avviare un nuovo ciclo riformatore. Una opzione d’insieme che non delude le speranze e le attese dell’elettorato più esigente. Diciamolo subito: se l’Unione sarà capace di mantenersi all’altezza di questi propositi e di rispettare gli impegni oggi solennemente assunti da Romano Prodi, per l’Italia potrà aprirsi una stagione diversa - e molto più avanzata di quella dell’Ulivo degli anni ’90.

C’è qualcosa di sinistra, in questo programma? Molto, e sulle questioni importanti, quelle che tracciano i discrimini sostanziali. C’è l’impegno al ritro immediato del contingente italiano dall’Iraq: senza alcuna ambiguità, solo con “i tempi tecnici necessari”. Una rivendicazione unitaria e unificante di tutto il movimento per la pace - oltre che di tutte le persone di buon senso. C’è l’affermazione della volontà di imprimere alla politica economica e sociale una svolta sostanziale: nel senso di una sostanziosa redistribuzione della ricchezza a favore dei salari, degli stipendi, del lavoro dipendente. Chi avrà la pazienza di analizzare le “voci” specifiche, potrà scoprire che si tratta di spostamenti molto rilevanti di risorse, nient’affatto di ordinaria routine. E potrà verificare sia il superamento di molti tabù - come quello dell’inflazione programmata - sia l’assunzione di impegni qualificanti - come la lotta alla precarietà.

C’è la conquista dell’elevamento dell’obbligo scolastico a sedici anni, in un biennio unitario sostanzialmente eguale per tutti i giovani dai 14 ai 16 anni, senza cioè alcuna “integrazione” con la formazione professionale o l’avviamento al lavoro: una riforma di struttura di carattere epocale, che accoglie le rivendicazioni più significative del movimento, chiude con le illusioni “moderniste” che un pezzo di sinistra ha coltivato (troppo) a lungo, sancisce una scelta strategica contro l’idea stessa della canalizzazione precoce. E c’è, non da ultimo, la cancellazione della Bossi-Fini, e il varo di una politica sull’immigrazone fondata sulla categoria della “accoglienza”.

Si poteva “ottenere” di più? Certo che sì. Un esempio su tutti: su un problema di civiltà così dirimente come i Pacs alla fine hanno prevalso, culturalmente e simbolicamente, il tradizionalismo cattolico e l’ideologia “matrimonialista” - anche se è stata proposta una estensione dei diritti concreti delle persone nient’affatto disprezzabile. E valga una considerazione d’insieme: manca una dichiarazione esplicita di rottura con l’impianto neoliberale e con le categorie relative. Così come non emerge, con la forza che sarebbe necessaria, la vocazione riformatrice dell’alleanza: un limite politico, prima che del documento, della soggettività dell’Unione e dei suoi partiti “portanti”. E tuttavia anche qui, anche in queste “lacune”, sono ben visibili gli spazi possibili, le contraddizioni aperte, le chances di nuove battaglie.

Tutto concorre, alla fin fine, a delineare un terreno di lavoro e di lotta politica assai favorevole per la sinistra, per le forze di cambiamento, per le stesse avanguardie. Appunto: il governo è una tappa necessaria, non l’approdo “finale” e risolutivo di un’opzione strategica alternativa - come pensano, quasi allo stesso modo, i fan dell’autonomia del politico e quelli dell’autonomia del sociale. E un buon programma di governo, come quello che l’Unione ha varato, costituisce soltanto una buona premessa per l’azione di domani - e una mobilitazione che non potrà, non dovrà mai dismettere la propria auotnomia. Potevamo davvero chiedere e ottenere tanto di più?

11 febbraio 2006

 Giuseppe Aragno    - 12-02-2006
Per la precisione, che in questo caso tocca la sostanza. Rina Gagliardi, a proposito del ritiro dall'Irak, sostiene che Prodi ha posto solo un limite: i "tempi tecnici". Non è così. Prodi ieri è stato chiaro: "nei tempi tecnici necessari, definendone anche in consultazione con le autorità irachene le modalità". Non è la stessa cosa mi pare. C'è il riconoscimento di un "governo fantoccio" sostenuto dalle armi degli aggressori anglo-americani e l'implicito disconoscimento della Resistenza irachena. Ognuno ha il diritto di pensarla come vuole, ma i giornalisti hanno il dovere di informare correttamente, anche quando le notizie sono... sconfortanti.


 Emanuela Cerutti    - 13-02-2006
Da parte mia una brevissima riflessione sulla scuola. Nel programma l'Unione afferma: "abrogheremo la legislazione vigente in contrasto con il nostro programma". Cioè, non in contrasto con l'esperienza che in questi anni si è maturata dal basso, o con i principi condivisi dentro un movimento vasto ed articolato, o con la realtà della gente insomma. No, con il nostro programma: ma quale, dentro le mille anime? Come non essere d'accordo con la sensazione di indeterminazione che Parlato descrive, esprimendo il timore di una delega ai gruppi dirigenti perché trattino nel modo migliore? Sensazioni e timore diffusi, che in molti stanno cercando di esprimere, e non certo per condannare, semmai per costruire qualcosa di serio. O, morettianamente e degnamente, di sinistra.