Bruna Sferra - 05-02-2006 |
La sospensione dell’esecutività della circolare n. 84 del 10 novembre 2005 da parte del TAR del Lazio richiesta dai Comitati di Base della Scuola è una vittoria meravigliosa . Noi COBAS abbiamo avviato e sostenuto la lotta, insieme ai coordinamenti, contro la riforma moratti e l’aver ottenuto la sospensiva non solo ci riempie di soddisfazione ma ci dà la certezza che d’ora in poi i dirigenti scolastici dovranno rivedere le loro posizioni antidemocratiche e smetterla di imporre il loro volere ai Collegi dei Docenti. Perché, sebbene fortunatamente esistano delle “isole felici”, nella maggior parte delle scuole ogni “pezzo” della riforma ( orario spezzatino, adozione delle indicazioni nazionali e dei libri di testo, somministrazione dei test INVALSI, ecc.), è stato imposto dai dirigenti scolastici in nome del rispetto della normativa. E quando noi docenti abbiamo argomentato la illegittimità delle disposizioni morattiane siamo spesso stati accusati di portare avanti sterili battaglie ideologiche. Vorrei però soffermarmi sulla circolare 84 perché, sebbene sia ovvio che a questo punto la compilazione del portfolio debba essere sospesa e che la valutazione della religione cattolica debba essere fatta su una scheda a parte, rimane il problema dei programmi vigenti, quelli del ’79 per la scuola media e dell’ ’85 per la scuola elementare, della valutazione del comportamento e delle attività svolte durante le ore opzionali presenti nella scheda. Sono argomenti pedagogici ed educativi fondamentali tanto quelli della laicità della scuola pubblica e del rispetto della privacy. A questo proposito seguiranno alcune brevi mie riflessioni sulla valutazione delle attività di laboratorio e altre , più articolate, sulla valutazione del comportamento. Esse costituiscono un mio contributo perché ritengo importante che gli insegnanti continuino a sostenere la loro ferma opposizione nei confronti di ogni tassello della riforma moratti convinta che essa non possa essere che abrogata. LA VALUTAZIONE DEGLI INSEGNAMENTI FACOLTATIVI OPZIONALI Nel documento di valutazione allegato al Portfolio vi è la valutazione degli insegnamenti facoltativi opzionali espressa attraverso un giudizio sintetico che va dal non sufficiente all’ottimo. Proprio per la loro natura facoltativa è un’incoerenza allinearli alle altre discipline. Inoltre, non meno importante, questi insegnamenti si traducono in attività di laboratorio che spaziano da quelle teatrali, a quelle creative, a quelle musicali, a quelle motorie. Nella scuola elementare esse vengono concepite come propedeutiche e funzionali all’apprendimento delle varie discipline. Per esempio, le attività manipolative sono utili al controllo della motricità fine, alla coordinazione oculo-manuale, e non meno importante, allo sviluppo della creatività espressiva proficua alla rimozione delle difficoltà comunicative. La drammatizzazione è essenziale anch'essa per il superamento di tutti i problemi legati alla comunicazione verbale, i giochi sensoriali e le attività psicomotorie sono propedeutiche all'apprendimento della lettura, della scrittura e della matematica. È quindi un assurdo valutare il livello di conoscenze raggiunto riguardo a tali attività. Sarebbe come dire che per un bambino in difficoltà di apprendimento metto in atto delle strategie di intervento sulle quali però gli devo mettere un voto! COME SI RITORNA AL VOTO IN CONDOTTA La L.53/03 (la cosiddetta controriforma moratti), i suoi decreti attuativi e le relative circolari ministeriali hanno dato un colpo di spugna alle radicali modifiche della legislazione scolastica italiana, frutto di decenni di studi pedagogici-didattici, socio-psicologici nonché docimologici. Volendo fissare una data, il 1971 può considerarsi come discriminante tra un prima e un dopo. È di questo anno, infatti, la Legge 820 che istituisce il Tempo Pieno e da cui comincia una serie di provvedimenti che hanno inteso superare la struttura della scuola elementare tradizionale. Nel 1974 i decreti delegati introducono disposizioni innovative ispirate ad una nuova concezione della funzione docente e all’idea di scuola come comunità educante interagente con la più vasta comunità sociale. Ma è la L.517 del 1977 che ha costituito una significativa riforma della scuola perché ha modificato i tratti fondamentali del rapporto maestro-scolaro. Valutazione, programmazione e integrazione dei bambini portatori di handicap, strettamente correlati tra loro, sono i tre profili che modificano questo rapporto. È con questa legge che viene formalizzata la distinzione pedagogica tra valutazione educativa e valutazione selettiva attraverso l’abolizione dei voti e della pagella. Il voto, come premio o castigo, rappresentava l’unico strumento per stimolare l’alunno e, ai fini del giudizio globale, il voto in condotta era determinante perché attestava l’attitudine all’obbedienza, la capacità di inserimento nel sistema e il rispetto delle regole. Era uno dei punti cardine del sistema selettivo che caratterizzava la scuola. In presenza di problemi di comportamento e di inserimento scolastico si utilizzava comunemente il termine “disadattamento”. Il concetto di adattabilità presuppone la volontà di piegare, cioè di adattare l’alunno alle esigenze dell’istituzione stessa e della società che rappresenta. Ne deriva un’istituzione repressiva che, invece di favorire lo sviluppo autonomo della persona, tende ad adattarla al proprio volere. In tale ottica si perdevano completamente di vista le cause di comportamenti “ribelli” esonerando la scuola da ogni responsabilità. Una delle ragioni fondamentali che hanno portato all’abolizione del voto tradizionale è che si è puntato ad una valutazione globale e complessiva dell’alunno, che non tenga presente solo la sua dimensione intellettuale e cognitiva, ma anche quella emotivo-affettiva, evidenziando e facendo entrare nel momento valutativo anche tutti quei fattori extrascolastici (ambiente sociale, culturale, familiare, ecc.) che condizionano il suo modo di essere e di comportarsi all’interno della scuola stessa. Ciò comporta, da parte degli insegnanti, l’astensione dal redigere valutazioni che abbiano il sapore di giudizi categorici e ultimativi (soprattutto se poco positivi), specie di verdetti inappellabili e immodificabili. Egli dovrà limitarsi ad una descrizione contingente e puntuale di quanto si è verificato nel processo didattico, pronta ad essere cambiata e modificata in rapporto all’andamento di questo e alla evoluzione delle prestazioni dell’alunno. Con l’approvazione dei Programmi del 1985, avvenuta tramite un Decreto del Presidente della Repubblica, viene segnata una tappa importante nell’itinerario di rinnovamento da tempo avviato. Constatato ormai il fallimento di un tale sistema valutativo, viene definitivamente rovesciata questa pratica: è l’istituzione scolastica che deve adattarsi alle esigenze dell’alunno e non viceversa. La scuola elementare diviene il luogo dove le esigenze formative dell’alunno sono prioritarie. Preso atto che numerosi fattori naturali, familiari e sociali non mettono tutti sulla stessa linea di partenza, la scuola si pone il compito di fare in modo che tali diversità non si trasformino in diseguaglianze. Il principio che ad ognuno spettino le stesse opportunità trova il suo coronamento nell’insegnamento individualizzato: attraverso metodi e strategie diverse tutti devono raggiungere gli stessi saperi. È il superamento della scuola che opera indipendentemente dalle diverse condizioni di sviluppo intellettuali e personali e che ribadisce e legittima gli spazi della ineguaglianza attraverso un sistema di valutazione fondato sulla selezione (voti, bocciatura, ecc.) e che si riduce a sanzione del singolo rispetto a un modello prestabilito. I Programmi del 1985 intendono la valutazione come momento della programmazione poiché viene a costituire una presa d’atto della situazione di apprendimento per una revisione dei percorsi didattici. La controriforma moratti ha il chiaro progetto di ritornare ad una scuola di tipo selettivo. Lo si evince dai suoi punti cardine: abolizione del Tempo Pieno, introduzione del Piano di Studi Personalizzato e del Portfolio delle competenze. Se l’insegnamento individualizzato comporta la costruzione di un percorso che scelga la strada opportuna, senza perdere di vista la meta e senza ridurre a priori le attese nei confronti di possibili risultati, la personalizzazione diversifica le strade ponendo mete diverse da alunno a alunno. In altre parole, il Piano di Studi Personalizzato pone la diversità come una discriminante, ledendo il diritto degli alunni a ricevere pari opportunità formative. Il Piano di Studi Personalizzato e il Portfolio delle competenze, che servirà a documentare le disuguaglianze, sono quindi, per loro natura, di per sé discriminanti. Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, a tale proposito, esprimendo il suo parere nei confronti della riforma afferma: "... non si condivide il fatto che, nelle Indicazioni Nazionali, la personalizzazione venga presentata come una risposta data dalla scuola all'individuo. Ciò comporterebbe un insegnamento personalizzato, con una diversificazione dei percorsi e dei risultati e la relativa costruzione di laboratori di recupero e sviluppo, i quali farebbero pensare ad un ritorno alle "classi differenziali". In questa ottica i disturbi del comportamento non possono essere più considerati come i sintomi di un disagio su cui la scuola deve intervenire per essere rimossi il più possibile ed è evidente che un ritorno al giudizio sul comportamento è funzionale allo scopo. Infatti, molto coerentemente, già nel D.lvo n. 59/04 viene introdotta la valutazione del comportamento. La circolare ministeriale n.84 del 10 novembre 2005 sulle modalità di compilazione del Portfolio e del documento di valutazione (scheda), ne vorrebbe, poi, sancire l’obbligatorietà all’interno del documento stesso. Viene cioè inserita la voce “Comportamento” in coda alle discipline, verso la quale gli insegnanti dovrebbero esprimere un giudizio sintetico ( dal non sufficiente all’ottimo) o aperto scegliendo una serie di descrittori accanto ai quali scrivere il livello di raggiungimento. Nel primo caso è evidente e chiaro il ritorno al vecchio voto in condotta ma, chi pensasse che il giudizio aperto mantenga il carattere puramente osservativo nei confronti del comportamento e non serva, invece, a darne una classificazione, si sbaglia di grosso. Innanzitutto, anche in tale evenienza, viene chiesta una misurazione di ciò che non può essere misurato oggettivamente. Un giudizio che riguarda il comportamento è sempre soggetto a valutazioni puramente soggettive e intuitive, ispirate ad un implcito (se non esplicito) riferimento ad un modello ipotetico di allievo tipo o ideale. In entrambi i casi, valutare il comportamento comporta la perdita di vista della rilevazione dei fattori extrascolastici e delle condizioni socio-ambientali da cui l’alunno proviene e l’osservazione attenta del suo livello di socializzazione e delle dinamiche emotivo–affettive che lo caratterizzano. Valutare il comportamento comporterà la perdita della rilevazione del livello di maturità globale dell’alunno e non potranno così essere attuate le ulteriori attività formative per una maturazione ottimale sul piano intellettuale, culturale e affettivo. Nel ricevere giudizi negativi sul comportamento bisogna considerare anche l’effetto psicologico sull’immagine di sé che l’alunno va tratteggiando nel delicato momento in cui frequenta la scuola dell’obbligo. Va inoltre calcolato che, persi di vista i fattori già esposti, l’insegnante sarà nuovamente portato a premiare i comportamenti tipici del ceto medio, al quale generalmente appartiene, maturando atteggiamenti discriminatori nei confronto degli alunni in situazione di disagio sociale. Ne potrebbero nascere altre forme di discriminazioni anche meno visibili. Basti pensare che all’interno della classe il giudizio dell’insegnante, i suoi valori, le sue opinioni possono essere recepite e fatte proprie dagli alunni e chi incontrerà il biasimo dell’insegnante lo incontrerà anche dalla maggioranza dei suoi compagni. Del resto, dopo la crisi delle banlieues francesi, i cui protagonisti della rivolta erano in gran parte minorenni in età scolare, il governo ha pensato bene di istituire il “contratto di responsabilità dei genitori” che comporta la sospensione gli assegni familiari versati ai genitori di allievi turbolenti. Sulla stessa linea, il ministro dell’educazione G.de Robien ha annunciato il ritorno nella scuola media del voto in condotta. Si chiamerà “voto di vita scolastica” e farà media con gli altri. Il ministro, tra l’altro, sostiene l’idea della presenza di agenti di polizia nelle scuole. Probabilmente la ministra Moratti, preoccupata delle sorti delle nostre periferie, ha pensato di fare opera di prevenzione… |