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Lettera a un insegnante
Corriere della Sera - 18-01-2006
Dopo «Lettera a un adolescente» Vittorino Andreoli torna a fare scandalo

«Cari professori, se sbagliano è colpa vostra»

Gli studenti infelici possono trasformarsi in ragazzi violenti

Dopo la Lettera a un adolescente Vittorino Andreoli scrive ora la Lettera a un insegnante (Rizzoli), ma la spinta che lo ha indotto a scegliere il suo nuovo interlocutore è ancora la stessa, la tenerezza grande, cioè, che prova per i ragazzi, per gli smarriti ragazzi del nostro tempo, per quelli meno fortunati in particolare, vittime della famiglia e della scuola, dell'ambiente degradato, dell'emarginazione e della disattenzione, della mancanza di amore o di amici, ma, anche, soltanto dell'assenza di regole.
Per il suo lavoro di psicologo e psichiatra in ospedali e carceri, per essere stato l'autore di innumerevoli perizie criminali per conto dei tribunali, l'autore ha conosciuto, da vicino, decine e decine di questi giovani «da buttare», colpevoli, in qualche caso, di violenze inaudite, di delitti e omicidi, e dei quali, una volta carcerati, nessuno vorrebbe più sentire parlare. Tuttavia, quasi sempre, in fondo al cammino, finito il lavoro con i pazienti, dopo aver ascoltato i loro racconti, le loro spiegazioni, farneticazioni o aberrazioni, Vittorino Andreoli ha dovuto fare i conti con la pietà.
Pietà niente affatto sentimentale, provocata dall' eventuale pentimento o dalla disperazione dei delinquenti in erba, ma dalla constatazione che prima della loro stagione violenta, prima del delitto e del sangue, invariabilmente c'è stato un abbandono familiare oppure scolastico. Come dire che, nella stragrande maggioranza dei casi, un ragazzo che si è macchiato di orrendi delitti è stato soltanto un figlio non abbastanza amato oppure uno scolaro infelice, bocciato e umiliato. Cose che, facilmente, succedono anche nelle migliori famiglie, ragion per cui la linea di demarcazione che divide i sommersi dai salvati non è, per forza, costituita dall' ambiente sociale, dal censo o dai privilegi, bensì dall'attenzione e dall'affetto.

Nella precedente Lettera , Andreoli si era ampiamente occupato della famiglia e dei suoi doveri, della sua straordinaria potenzialità come della sua pericolosa debolezza. Stavolta si occupa della scuola, del luogo, cioè, dove si apprendono le regole della comunità, dove si impara a diventare adulti, non figli protetti e, dunque, soggetti per lo più passivi, ma membri di una classe, di un gruppo che, guidato dagli insegnanti si applica al difficile studio della vita.

Mai stato prof, mai entrato in un'aula in veste di docente, si affretta a dichiarare l'autore, e tuttavia egli si permette di dar consigli agli insegnanti sulla base dei numerosi fallimenti esistenziali presi in esame. E tanto più ha senso questa seconda Lettera in quanto a una famiglia si possono, in effetti, offrire soltanto buoni suggerimenti, dei quali si sa che verranno per lo più seguiti in minima parte, mentre un'istituzione dovrebbe essere capace di darsi nuovi programmi e nuove regole.
Non è, tuttavia, un'ennesima riforma scolastica ciò che Andreoli auspica, anche se, due dei punti che gli stanno più a cuore, in realtà comporterebbero proprio un ripensamento strutturale: e cioè l'eliminazione, in quanto inutile, di ogni tipo di esame tranne quello finale di maturità, nonché l'abolizione, in quanto perverse e controproducenti, delle bocciature. Di fronte a simili suggerimenti sembra già di sentire il coro delle proteste, contro il fatale avanzare di buonismo e lassismo, e contro una scuola troppo facile che non prepara alla dura competizione della vita.
Eppure, la convinzione dell'autore che, per altro, tende a definirsi un conservatore «di ritorno», come lo può essere chi rivaluta comportamenti e principi un tempo forse troppo frettolosamente rifiutati e gettati via (come, per esempio, quei sensi di colpa che egli, onestamente, si rammarica di aver contribuito, nella sua veste di psicanalista, a combattere e a eliminare), è ferma: e anche condivisibile se si segue passo passo il suo ragionamento, secondo il quale si è costretti a concludere che esami e bocciature possono far bene solo ai forti, malissimo invece ai deboli. I quali, almeno oggi, paiono costituire la maggioranza.
Per il resto, Andreoli, non si occupa tanto dell'istituzione scolastica e delle norme che la regolano, quanto di uno dei suoi principali attori, appunto l'insegnante. A lui parla, spiega, illustra e suggerisce. Soprattutto - e questo è perfettamente in linea con una scuola senza esami né bocciature - gli rammenta che il successo, per lui e per i suoi alunni, può essere soltanto di gruppo. Alcune poche eccellenze ammirate e coccolate in un panorama di generale ed evidenziato grigiore o fallimento stanno a indicare una grave sconfitta: per gli insegnanti esattamente come - sebbene con conseguenze più pesanti - per gli studenti.
Del resto, anche di là dei risultati strettamente scolastici, è proprio l'assenza di gruppo e di lavoro comune che spinge i ragazzi a cercare altrove l'aggregazione che non trovano con i compagni di classe: e l'esperienza dice che raramente la seconda è migliore della prima. Il nemico da combattere, è, insomma, ancora una volta, il senso di solitudine che, se opprime un adulto, può portare alla disperazione un ragazzo. E chi sta in cattedra dovrebbe essere in grado di tenerne conto.

di Isabella Bossi Fedrigotti
13 Gennaio 2006

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 Anna Di Gennaro    - 21-01-2006
Attinente l'argomento la mia recensione al recente volume Voci della scuola ed. Tecnodid nonchè il sottostante emblematico articolo sulla percezione dell'utenza.

http://www.orizzontescuola.it/modules.php?name=News&file=article&sid=9133&mode=&order=0&thold=0

ADG da Milano

Che stress!
Cronaca di una giornata in aula tra compiti in classe e interrogazioni a sorpresa. Uno studente della scuola Majno-Cardano di Gallarate (Varese) fa un resoconto dettagliato

Ore 8:00, suona la campanella, i bidelli apparentemente già stanchi, si apprestano ad affrontare un'altra giornata; gli insegnanti, compiaciuti , controllano nelle proprie borse le correzioni delle verifiche e le prove a sorpresa. Gli alunni, dall'aria triste e malinconica, salgono le scale umide ed entrano nella scuola, lasciandosi alle spalle il clima subpolare ed affrontando la caldissima nuvola di vapore che esce dai caloriferi.
Secondo le loro testimonianze, proprio questa escursione termica causa emicranie e svenimenti (che i professori sono soliti chiamare "colpi di sonno") che avvengono nelle prime ore del mattino.
Ore 8:05, gli alunni entrano in classe, alcuni si fermano a chiacchierare, altri si lamentano per la strana posizione del proprio banco sostenendo che l'aula sia infestata da spiriti, altri ripassano all'ultimo momento, altri ancora si rendono conto di non aver portato un libro di una materia della professoressa di lettere. Questi ultimi rimarranno angosciati per tutto il giorno al pensiero della nota.

Ore 8:07, Entra la docente di Lettere. In mano, stranamente, un bicchierino di caffè. Il fatto deve essere tipico, in quanto, in fondo alla classe, un alunno aggiunge un nuovo simbolo del chicco di caffè ad una pagina del suo diario che ne è piena, con evidenti intenti statistici.

Ore 8:20 , l'alunno "Simone" prende due note (una per aver dimenticato il testo a casa, l'altra per il quaderno ugualmente scordato). L' alunno "Giuseppe" non regge allo stress e sviene, anche se l'apparenza è quella di un sonno profondo. L'insegnante pesca da un sacchetto - tipo tombola - due numeri. Prima dell'annuncio del risultato del sorteggio la classe appare percorsa da segni evidenti di nervosismo. Un'alunna chiede improvvisamente di recarsi in bagno. Non può: è la prima ora. Ritorna al posto pallida e molto agitata. La tensione è aumentata dalla lentezza con cui viene annunciato dall'insegnante il numero dei sorteggiati per l'interrogazione.
"Il numero......23!" La classe tira un sospiro di sollievo "Ah, ma è assente, allora il 6".
Federica impallidisce.
"No, cioè, era capovolto, è il nove!"
Un grido angosciato squarcia l'aria.
Gli alunni prescelti si alzano dai banchi e raggiungono la cattedra con l'andatura di condannati.
La soddisfazione degli alunni rimasti al proprio posto è evidente.
(alcuni test medici hanno potuto rilevare che il brusco passaggio dai 60 battiti cardiaci al minuto ai 180 e poi il rapido ritorno ai 60, nel lungo periodo compromette le funzioni del cuore n.d.r.)

Ore 9:40, Al suono della campanella , Giuseppe rinviene, si guarda attorno preoccupatissimo e, non appena si rende conto che l'insegnante sta per verificare se è attento, assume un'espressione concentrata e finge di sottolineare il libro.

Ore 10:25, intervallo. Tutti i ragazzi escono nel corridoio, liberando cariche di energia lungamente represse. La docente in osservazione prende il terzo caffè (gli alunni hanno confessato che ipotizzano che sia composta per il 70% da caffeina). Alcuni ragazzi si accalcano a saccheggiare la macchina delle merendine. Altri ripassano matematica , qualcuno copia disperatamente il compito per la lezione successiva. L'alunno "Simone" , in un angolo, sembra tormentarsi. Complessi di colpa o preoccupazione per cosa dirà sua madre delle note ?

Ore 11:20 Finisce la lezione di matematica: 12 morti, 9 feriti, 8 dispersi. I ragazzi registrano come il record di compiti assegnati sia stato solo sfiorato e non superato. Anche l'autore di questa cronaca si chiede se non ci siano stati i presupposti per una telefonata al Telefono Azzurro.

Ore 11.25 Lezione di lingua francese. Le informazioni al riguardo sono frammentarie. La lezione riguardava la Polinesia francese, ma il cronista ha accusato uno svenimento causato dagli effetti dell'escursione termica precedentemente descritti. Tuttavia, i ragazzi riferiscono che, dopo mezz'ora di spiegazione sono stati vittime di una verifica a sorpresa. Qualcuno trema ancora convulsamente.

Ore 12.10 Ultima lezione del giorno. Gli studenti accusano evidenti segni di stanchezza. L'insegnante tarda, ma gli alunni sono talmente stressati e sfiniti che non hanno la forza per parlarsi: non vedono l'ora di andare a casa, anche il cronista condivide le loro sensazioni.

Ore 12:20 Fa il suo ingresso la docente di inglese che, dopo pochi minuti realizza che Antonio non ha svolto i compiti: è l'inizio di una discussione furiosa che parte dall'argomento compiti e abbraccia gli argomenti esame, scuola superiore, e i "bei tempi passati, quando sì che si studiava".
La classe si estranea dai fatti. Solo qualche alunno, perplesso, sfogliando le pagine del diario, colme di annotazioni di verifiche, compiti, lezioni da studiare mormora: "Ma come si poteva studiare più di adesso? Quante ore durava la giornata ai tempi della prof?"
La discussione prosegue, toccando argomenti sempre più lontani da quello di partenza: è un dibattito cosmico.

Ore 12:55 L'insegnante realizza di non aver ancora iniziato la spiegazione, gli alunni, invece, stanno già preparando la cartella e la loro mente è molto lontana. La docente li riprende, introduce l'argomento del giorno e inizia a spiegare ignorando completamente il suono della campanella. Da fuori giungono gli schiamazzi e le voci festose di chi ha già lasciato l'edificio. " Non importa" dice l'insegnante, "finiamo". E' una corsa contro il tempo...

Ore 13:12 Finalmente anche gli alunni della IIIA possono uscire, c'è chi ha perso l'autobus; un bivacco di sconsolati genitori attende rassegnato i propri figli, ma di qualcuno è stata denunciata la scomparsa.

Conclusioni: l'autore dell'articolo, evidentemente stressato, dopo aver inviato i propri appunti alla redazione del giornale ha fatto domanda per un periodo di riposo. Il Centro di Psicologia dell'età evolutiva di Parigi a cui è stato inviato questo resoconto è allarmato dalle terribili ripercussioni che tale tipo di vita possa avere sullo sviluppo psico-fisico degli studenti esaminati.

Vai alla Fragola della scuola Majno-Cardano di Gallarate
http://www.lafragola.kataweb.it/fragola/detail.jsp?idCategory=2863&idContent=1390765

 Angela Squeri    - 22-01-2006
Ho letto Lettera ad un adolescente e leggo spesso gli scritti di Andreoli sulla stampa; apprezzo la competenza e la sensibilità verso i nostri ragazzi di cui , noi insegnanti, percepiamo il malessere ogni giorno. Ma, da insegnante con una discreta esperienza ( a causa dell'età) e con sempre grande desiderio di dare un piccolo contributo al bene comune, vorrei tanto suggerrie al prof. Andreoli di non limitarsi a tenere conferenze ( peraltro utilissime) ai genitori o ad assemblee di insegnanti in cerca di aggiornamento, bensì di entrare fisicamente in una classe e provare a vivere qualche ora nella "quotidiana pratica didattica". Mi farebbe piacere poi sentire la sua opinione.