Scuola e inizio anno
Gianni Mereghetti - 02-01-2006
Carissimi amici di Fuoriregistro,

un altro anno se ne è andato e la scuola superiore è rimasta indenne dalla riforma. Dopo tanta attesa l'esito è stato un bel "se ne riparlerà nel 2007", per cui dopo anni in cui al 31 dicembre ci si è detti "questo è l'anno buono" la novità di questa fine anno è che non si guarda al prossimo augurandosi di vedere la scuola nuova, perché una cosa è certa, questa non verrà. Si chiude così un anno e se ne inizia uno nuovo con il campo finalmente sgombro dall'attesa coltivata in questi ultimi anni, quella della riforma della scuola. Per me questo è un bene, un grande bene, è la caduta di un'illusione o il ritrovarsi senza nulla cui andare contro. Così ci si trova a guardare un anno trascorso e quello che verrà senza alibi alcuno e costretti a domandarsi quale sia mai stata la ragione che ha reso appassionante insegnare per mesi e mesi e se questa ragione possa essere l'augurio per il 2006.

Questa situazione del tutto nuova mi ha costretto a ripercorrere giorno dopo giorno il mio lavoro e cosa vi ho trovato? Una grande passione e nello stesso tempo una fragilità impressionante. Una grande passione, perché questo io sono, uno sguardo di bene, uno ad uno, agli studenti che ho avuto davanti ogni mattina, ma l'incapacità di perseguire questo bene, tanto che se guardo indietro devo chiedere perdono ai "miei" studenti per il poco che ho consegnato loro, proprio poco, poco in amore, poco in conoscenza, poco in cultura, poco in criticità. Che cosa mi ha permesso di entrare in classe ogni mattina e di guardarli in faccia e ogni volta di riprendere con una passione ogni volta più forte, indomita anche davanti alla mia pochezza? Una sola cosa, che non sono io ad educare, non la mia capacità, ma l'ideale per cui io vivo, quel significato cui guardo e verso cui, facendo lezione, ho cercato di dirigere il loro sguardo. Questo è educare, comunicare ciò per cui val la pena vivere, il che accade solo perché è ciò di cui consiste il mio "io". Se in questo lungo anno il mio povero lavoro di insegnante è stato significativo e appassionante, la ragione non è stata che i miei studenti hanno imparato bene la storia e la filosofia, ma che attraverso la storia e la filosofia si sia aperto un varco nella loro vita, quel varco in cui si è incuneata la luce del destino. Questo è del resto il vero compito del mio insegnare, che c'entri con il senso della vita, tanto che uno studente avverta che anche il suo ascoltare, il suo prendere appunti, il suo studiare c'entri con questo senso - dove "c'entri" significa non un consenso, ma che sia messo in moto il cuore e le sue esigenze di vero, di bello, di bene.

E' perché insegnare è stata un'esperienza in cui la mia vita è stata coinvolta, che sono grato di quest'anno, dentro errori e limiti, incoerenze e sconfitte. Ed è con questa gratitudine che guardo all'anno che verrà, sperando che sempre vi sia uno studente o un collega da cui imparare ad educare. Sì, perché questo è ciò che mi fa continuare con maggior passione di prima, che vi sia sempre uno sguardo vero da cui ricominciare. Insegnare è infatti possibile solo quando ci si lascia educare da coloro cui si insegna e da coloro assieme a cui si insegna. Senza questa apertura al nuovo che accade c'è invece quella difesa oggi così diffusa e a causa della quale stenta l'educazione. Per questo chiudere un anno significa bruciare le difese e i pregiudizi, così che il nuovo inizio sia la continuità dell'educazione.

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 pietro giorgis    - 08-01-2006
Mi sembra molto interessante questo articolo perché usa spesso il verbo 'educare', che é molto diverso da insegnare. Ritengo però difficle riuscire sempre a vedere nel proprio lavoro di docente un ruolo educativo; soprattutto quando le materie insegnate non sono storia e filosofia, ma materie tecniche (quale quella che insegno io, cioè economia aziendale). Anch'io quando ho deciso di accedere a questa professione, avevo motivazioni educative molto più profonde, ora al termine della mia carriera mi domando se sia riuscito, oltre ad insegnare nozioni tecniche, in parte inutili o almeno poco utilzzabili, anche ad 'educare'.