Una rivoluzione senz'armi
Marianna Cavalli - 06-12-2005


«Ma voi, che solitari, o perseguitati su le antiche sciagure
della nostra patria fremete,
perché non raccontate alla posterità i nostri
mali. Alzate la voce in nome di tutti, e dite
al mondo, che siamo sfortunati, ma né
ciechi, né vili. Scrivete. Perseguitate con la
verità i vostri persecutori
».

(Ugo Foscolo)

Se la rabbia e la ricerca di un senso comune non prevalessero su ogni altro sentimento al riguardo, molti motivi mi spingerebbero a restarmene in silenzio, e rinunciare: il potere inattaccabile di questa riforma, la passività di chi ne è vittima, l'assenza di giustizia, l'impotenza a cui sembra che siamo ridotti.
Un'occupazione è pur sempre solo un'occupazione, la ricerca del contesto nazionale è tanto appropriata quanto poco sentita. Ci si aggira per i corridoi, in un'occupazione, si sente qualche volta la ribellione che prende l'aria, rende palpabile l'atmosfera, infervora gli animi. Qualche altra volta ti ritrovi seduto appoggiato ad un muro, ti guardi intorno, vedi la gente che si complimenta con qualcuno per questa occupazione che sta procedendo benissimo, e ti chiedi desolato che cosa stai ottenendo, ti chiedi per quale motivo sei lì, alzi lo sguardo verso uno striscione che annuncia ad un mondo consistente nella tua piccola città che la tua scuola è occupata, e questo significa certo che sul giornale cittadino verrà annunciato l'evento, un evento che dunque cambierà le sorti della città, dell'Italia, con un po' di fortuna anche quelle del mondo.
L'accorato grido che poco prima sentivi rimbombare nel cuore sembra essersi spento, e più lo cerchi, più ti stupisci della sua scomparsa.
Ma la notte in sogno guardo cosa rimane delle macerie della scuola fatta a pezzi dai nostri stessi coltelli «perché non ci avete ascoltato», rispondiamo sorridendo stringendoci le mani, ora non più di nascosto sotto il banco, ora apertamente, forse addirittura di fronte alla polizia «guerrieri, giochiamo a far la guerra?»
E' stato ripetuto: non scadete nell'illegalità. Ma guardiamoci bene negli occhi, si accettano tutte le smorfie che volete fare, ma questa legge uguale per tutti, questa legge della democrazia e della parità ci è scoppiata a ridere in faccia mentre con i nostri poveri muscoli atrofizzati abbiamo tentato in qualche modo di occupare una scuola credendo che sarebbero successe grandi cose. O forse no, forse non lo credevamo affatto: in ogni caso ora siamo lividi di rancore.
Io vi prego di sublimarci nell'illegalità.
Che ci buttino fuori a manganellate da queste scuole, noi toglieremo l'insegna dell'azienda e ci rimetteremo seduti in cortile. «Una rivoluzione senz'armi? Non funzionerebbe!»: le parole messe in bocca ad Ernesto Guevara in «I diari della motocicletta».
Se ci attaccano con la violenza, non ci tireremo indietro dal rispondere: non è questione di non credere nella violenza, perché se non si vuole soffrire in silenzio, è la strada che sembra ci stiano chiedendo di seguire, in un'istituzione pubblica dove necessitiamo per diritto di manifestare la nostra libertà.
Forse solo così avremo speranze di voce. Ma sembra che abbiamo paura di gente a cui dovremmo fare paura noi.

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