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Le donne colpevolizzate
Repubblica - 03-12-2005

Si resta frastornati dal fiorire di proposte per convincere le donne a non ricorrere all´interruzione di gravidanza prevista dalla legge 194, da giorni sotto tiro clericoparlamentare: soldi, pochi, durante la gravidanza, oppure soldi, pochi e una tantum, alla nascita, soldi solo alle donne di provata indigenza, oppure soldi a tutte, anche a quelle che già da mesi in vista del lieto evento hanno prenotato a caro prezzo una nanny abilitata solitamente a far crescere piccini di gran casato: e meno male che è stata chiesta dalla sinistra anche la tutela alla maternità per le disoccupate e le lavoratrici a tempo determinato, che oggi quindi, e in tanti distratti non lo si sapeva, non hanno alcun diritto e vengono ancora considerate noiose portatrici di bambini in dovere di arrangiarsi da sole.

Duello politico tra assegno di gravidanza e bonus bebè, e comunque sempre e solo di soldi si parla (compreso i preservativi gratis per la prevenzione), e va bene, soldi certamente necessari pur nella loro esiguità, a chi non ne ha: ma a tutte le altre, non pressate da un urgente bisogno economico ma da altre angosce e preoccupazioni e dal pensiero del futuro, chi ci pensa? Limitarsi a un aiuto finanziario momentaneo non è un po´ come lavarsene le mani, non è forse troppo poco per persuadere le donne indecise (e solo quelle, ovviamente) a non ricorrere alla interruzione di gravidanza? Siamo sempre lì: da noi imperano varie società totalmente maschili, come la gerarchia ecclesiastica, o quasi del tutto maschili, come il nostro parlamento, che al solo pensare alle quote rosa si allarma come per un´intrusione pericolosa ai disegni terreni e divini: è normale quindi che questi gruppi di inscalfibile potere virile siano rimasti indietro rispetto alla realtà femminile e continuino quindi a pensare alle donne come popolo incapace di cavarsela anche economicamente e quindi tendente all´accattonaggio, come care persone da proteggere, dagli altri ma soprattutto da sé stesse, come cittadine non del tutto in sé davanti a decisioni importanti, ma anche come sciattone amorali e pericolose portate al crimine per ragioni fatue (voglio mantenere la taglia 40). Da qui l´idea sollecitata dai vescovi e accolta entusiasticamente dalla CdL quasi al completo (tranne l´eroica e inascoltata perché troppo carina Prestigiacomo) di istituire una Commissione di indagine sulla legge 194; il che alla fine non sarebbe neppure male se servisse, anziché a renderla impraticabile come auspicano silenziosamente i suoi nemici, a limitare l´eccesso di obiezione di coscienza da parte dei medici e soprattutto a verificare se è vero che abbia ricominciato a diffondersi l´aborto clandestino a caro prezzo in certe eleganti cliniche private. Adesso come capita ciclicamente alle cosiddette conquiste femminili, sempre messe a repentaglio, talvolta perdute, spesso riconquistate, si ritorna nella polvere stantia degli stessi discorsi di 27 anni fa, delle stesse contrapposizioni molto politiche e poco etiche, delle stesse ipocrite angosce virtuose, della stessa barba, attorno a una legge che è scivolata dentro la quotidianità di un paese che l´ha applicata ed usata con semplicità, impegno, attenzione, gratitudine, mai sfruttata dalle donne come frivolo passatempo (come si ostinano a immaginare il ministro Storace e i cosiddetti protettori della vita). Si potrebbe pensare che l´indagine conoscitiva sulla legge approvata dalla Camera non serva a nulla se non come ennesima trappola elettorale, anche se poi fu proprio il 68% degli italiani (tra cui si immagina molti cattolici) a riconfermarla nel referendum abrogativo del 1981: invece serve, perché tutto questo discutere infiammato metterà a disagio i pochi medici che la applicano e spaventerà le donne più fragili. Come si voleva, tutto torna ad essere difficile, colpevolizzante e anche, nel dramma, un po´ ridicolo. Ne dicono infatti di ogni colore certi sapienti che sorridono beati in televisione. Massimo comunicatore criptico l´antico Gustavo Selva, che ha definito peccato per chi è cattolico "l´aborto volontario o no" ed è quel no che potrà mettere in ansia le donne cattoliche cui potrebbe capitare un aborto spontaneo. Dove non si capisce più niente è però quando l´onorevole afferma che l´interruzione di gravidanza "è un reato per chi è tenuto a osservare la legge dello Stato" a meno che si riferisca a chi pratica clandestinamente, reato che la legge già contempla. Ma tornando alla messe di denaro che ipoteticamente potrebbe essere elargita alle dubbiose già con un piede nel consultorio, è strano che non si capisca che, si trattasse solo di soldi, molte donne anche in ristrettezze economiche non rinuncerebbero a un figlio. Saranno peccatrici, egoiste, farfallone, atee o quel che si vuole, ma ci sono donne che semplicemente non se la sentono di essere madri, che pensano che il mondo sia già troppo pericolosamente affollato e con un futuro troppo oscuro, che già faticano a occuparsi dei figli che hanno; che hanno un lavoro e temono di perderlo come è già capitato a loro colleghe, che non riescono a trovare una casa a prezzo abbordabile, che conoscono il disordine o la mancanza dei servizi sociali; senza contare gli eventuali padri che non ne vogliono sapere, o l´esperienza delle amiche che separate dal marito e responsabili di uno o più figli, non hanno più potuto ricostruirsi una vita affettiva. Forse bisognerebbe avere meno paura, avere più fiducia nell´avvenire: oggi? Con le difficoltà sempre più insormontabili che colpiscono anche il ceto medio e naturalmente soprattutto le donne? È proprio un´idea insufficiente, anche se proba, questa santificazione con assegno della maternità finché il bambino non nasce o per i suoi primi mesi di vita: ma poi, crescendo, per favore che si arrangi e non scocci più, lui e sua madre e anche suo padre, naturalmente.

Natalia Aspesi
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