Cervelli di troppo
Matteo Pati - 03-12-2005


Perché privatizzare il sistema scolastico, se ciò lede un fondamentale diritto costituzionale? La riforma Moratti, come la Berlinguer-Zecchino ideata dal centrosinistra, risponde a esigenze profonde di riorganizzazione sociale per creare isole di privilegio e nuove servitù nel tentativo di risolvere le contraddizioni del capitalismo liquido contemporaneo. Non è possibile illudersi che la prossima legislatura dia un senso diverso al sapere e alla scuola se non affronterà il nodo dell'accettazione o del rifiuto del neoliberismo.

La nuova, catastrofica riforma della scuola, negli ultimi anni, è stata ampiamente criticata nei suoi contenuti espliciti, che minano alle fondamenta tutto il sistema scolastico italiano, facendolo regredire di decenni. Ma ancora più sconvolgente è conoscere le reali finalità, le cause e le conseguenze, implicite e taciute, di questa aberrazione ministeriale.
Il problema più grave della Riforma Moratti riguarda la sua incostituzionalità: essa, promuovendo una politica di privatizzazione, contravviene al fondamentale diritto all'istruzione espresso dall'articolo 34 e al principio eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione. Ma a questo punto una domanda sorge spontanea: perché privatizzare il sistema scolastico, se ciò lede un fondamentale diritto costituzionale? Ebbene ciò è un'inevitabile conseguenza del grado di sviluppo economico raggiunto dalla nostra società. L'economista Fred Hirsch ne "I limiti sociali allo sviluppo" afferma che l'utilità della spesa sostenuta per acquisire un certo grado di istruzione, finalizzato ad ottenere un posto di lavoro più ricercato, diminuirà quanto maggiore è il numero di persone che raggiungono quel medesimo grado di istruzione. Ne deriva che il valore dell'istruzione di una persona non dipende solo dal livello delle sue conoscenze, bensì anche da quello di colui che lo precede nella graduatoria delle posizioni professionali. E' evidente che un individuo cercherà di ottenere nella società, per quanto possibile, la posizione migliore. Ma se le persone in grado di arrivare ad un determinato titolo di studio non sono in numero ristretto, bensì molte di più rispetto all'effettiva disponibilità di posti di lavoro privilegiati, come nel traffico ciò produce congestione, o più specificatamente congestione sociale, conseguenza strutturale e irrisolvibile della società capitalistica. Il nostro è un modello geometrico di società e la congestione sociale viene proprio a crearsi là dove vige un modello piramidale di scalata sociale. E' più che scontato e logico dire che ciò che uno di noi può ottenere, non possono ottenerlo tutti: «se tutti stanno sulla punta dei piedi nessuno vede meglio» (F. Hirsch). Ne conviene che nella società occidentale moderna l'idea di un avanzamento generale è puramente un' illusione. E' proprio qui che subentra l'importanza della funzione selettiva della scuola, per controllare questo affollamento sociale. Al giorno d'oggi la scuola si trova a essere solo un mezzo con il quale i datori di lavoro identificano i soggetti idonei ad entrare all'interno del ciclo della produzione, un' industria volta a soddisfare la domanda di forza lavoro. Ecco dunque come l'intelligenza viene asservita alle logiche di mercato, eliminando quel surplus di cultura fine a se stessa che contribuisce alla piena formazione dell'individuo e all'avanzamento della società: è in atto una guerra contro il carattere diseconomico del sapere. Già la riforma Zecchino-Berlinguer faceva sì che la scuola, e in particolare le università, dovessero dipendere dalle realtà produttive: la riforma Moratti è il perfezionamento della riforma Berlinguer.
Sulla base della selettività propria del sistema scolastico si può pensare che esso favorisca i più meritevoli, ma non è così. Infatti il necessario aumento della selettività provoca l'allungamento e l'ovvio conseguente incremento del costo del percorso scolastico, che finirà per favorire solo coloro che sono in grado di sostenerlo: precisamente i più ricchi.
E' giusto quindi che politici e promotori ipocriti della Riforma la smettano di giustificare con inutili panegirici quel processo che altro non è se non una riorganizzazione sociale a vantaggio dei più abbienti e a scapito delle classi inferiori, un riprovevole tentativo di risolvere le contraddizioni sociali del capitalismo contemporaneo, costituendo una scuola d'élite. Cioè quello che una volta era un diritto pubblico all'istruzione, ora è di fatto un privilegio, all'interno di una dinamica di privatizzazione, o economicamente parlando, internalizzazione dei servizi, propria del processo dello "embourgisement", il quale porta la soddisfazione di domande di beni e servizi ad essere disponibile solo ad una ristretta minoranza.
Questa riorganizzazione della società dà luogo ad una netta divisione del contesto sociale, risolvibile nel binomio accesso-esclusione: coloro che non si trovano ad avere le risorse necessarie al percorso di formazione, finiscono per essere esclusi dalla possibilità di riscatto sociale, diventando quindi scarti della società. (Bauman, Vite di scarto)
E' palese che in una società come la nostra l'istruzione non è fatta per le masse, contraddizione che si è venuta a creare in questi anni con la congestione. Una scuola di massa non è mai esistita. E' dunque inutile farsi illusioni, sperando che la sinistra, una volta al governo, inverta totalmente la rotta, facendo ritornare il sistema dell'istruzione nuovamente nelle mani dello stato, così da rendere la cultura, la ricchezza umana per eccellenza, accessibile a tutti. Anche il centrosinistra infatti dovrà fare i conti con lo stato di congestione in cui versa la società moderna, che porta alla negazione dei diritti fondamentali; anch'esso, promovendo vergognosamente la privatizzazione del sistema scolastico e la conseguente selezione sulla base del censo, contravverrà ad un altro principio costituzionale: «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che [...] impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione [...] alla vita politica, economica e sociale del Paese» (Costituzione art.3).
Come diceva Popper, una società democratica è tanto democratica quanto al suo interno riesce a garantire il diritto al dissenso. Una scuola sotto l'egemonia dei poteri economici e produttivi non può sviluppare senso critico e consapevolezza di dissenso. Questo è fondamentale dal momento che il sistema scolastico è stato da sempre nelle mire dei regimi poiché costituisce un potentissimo mezzo di manipolazione delle coscienze. Una vera riforma della scuola dovrebbe partire dal basso, ossia da quelle componenti che la costituiscono: studenti e docenti, e non essere quindi calata dall'alto da persone che con la scuola hanno ben poco a che fare. Ciò purtroppo non è minimamente preso in considerazione neppure dai politici del centrosinistra. La realtà è che non c'è nessuna uscita a sinistra.
In una società veramente avanzata l'accesso a servizi quali la scuola dovrebbe essere reso meno raggiungibile col denaro e più disponibile senza di esso. Si mostra necessaria pertanto una totale rivolgimento sociale, la sola cosa in grado di risolvere il dissennato individualismo della società attuale e di garantire l'effettivo rispetto dei diritti della persona.


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 dado    - 02-12-2005
molto bello...è un articolo lineare e discorsivo... sei riuscito a parlare semplicemente di cose complicate