Cambiare la scuola senza partire da nuove riforme ordinamentali complessive. Questo sembra essere un primo punto certo di convergenza tra le numerose componenti dell'Unione riunite attorno al tavolo del programma.
Dopo due legislature di grandi riforme approvate ma non attuate, ora si pensa giustamente di promuovere processi di innovazione che realizzino in modo partecipato e condiviso un cambiamento effettivo.
Insomma dalle riforme senza cambiamenti ai cambiamenti per le riforme, fermo restando alcuni decisivi provvedimenti da prendere nei primi cento giorni per dare il via ai processi di trasformazione e metterli sul binario giusto: innalzamento dell'obbligo a 16 anni, ripristino del tempo pieno e prolungato e dei modelli di organizzazione didattica della scuola elementare (gruppo docente corresponsabile e tempi distesi), abolizione degli anticipi e generalizzazione quantitativa e qualitativa della scuola dell'infanzia, piani di supporto e sviluppo dell'autonomia scolastica, piani espansivi per nidi e formazione degli adulti.
Una strategia, proposta anche dalla CGIL nel suo "Programma per la conoscenza", che risponde a tre esigenze fondamentali:
realizzare processi di cambiamento basati sulla partecipazione sociale, il protagonismo dei soggetti interessati, il consenso attivo;
attivare processi graduali che producano cambiamenti effettivi attraverso l'innovazione e la sperimentazione, la verifica, il monitoraggio e gli aggiustamenti in itinere, la diffusione e la generalizzazione delle migliori pratiche;
dare pieno sviluppo al nuovo assetto costituzionale che configura sull'istruzione e la formazione una pluralità di attori istituzionali (stato, regioni, enti locali, istituzioni scolastiche autonome).
Una volta stabilito il metodo, la discussione deve entrare sulle "cose da fare". Solo in questo modo è possibile uscire dalla divisione rigida in due schieramenti basata sulla contrapposizione abrogazione/non abrogazione per sostituirla con la più dinamica dialettica innovazione/conservazione.
Indubbiamente se si intende partire con una nuova riforma ordinamentale complessiva l'abrogazione della Legge 53 nei primi cento giorni diventa una necessità assoluta, mentre se si vogliono adottare provvedimenti parziali e promuovere processi di innovazione graduali e progressivi, allora, una volta bloccati tutti i provvedimenti attuativi della legge 53, la tecnica parlamentare da adottare nei confronti della legge quadro può essere affrontata in modo decisamente più laico. L'importante è essere d'accordo sulle "cose da fare", ma qui sta il punto.
Se si ragiona sugli obiettivi da raggiungere e sulle scelte da fare per cambiare la scuola italiana, la contrapposizione tra radicali e moderati tutta centrata sulla questione dell'abrogazione si affievolisce a favore di una diversa configurazione dove prevale la dialettica tra innovazione e conservazione.
L'autonomia scolastica ci fornisce l'esempio più evidente. Tutto il tavolo dell'Ulivo, così come la CGIL nel suo programma, la considera il motore per un cambiamento della scuola che veda protagoniste le scuole e i territori, ma il fronte dell'abrogazione contiene posizioni nettamente contrarie all'autonomia (vista come privatizzazione e aziendalizzazione), alcune proposte, infatti, intendono abrogare, oltre alla legge 53, anche tutta la normativa sull'autonomia scolastica per ritornare al Testo Unico del '94; altri intendono indebolirla rispolverando il Capo d'Istituto elettivo al posto del Dirigente Scolastico, riportando inevitabilmente le scuole sotto la tutela dell'amministrazione statale o regionale.
Il fronte della conservazione è decisamente più articolato sulla questione dell'innalzamento dell'obbligo di istruzione a 16 anni e del biennio unitario della secondaria superiore. Su questo punto in apparenza c'è il consenso di tutto lo schieramento anti-Moratti, ma per realizzare un biennio effettivamente unitario sarà necessario fronteggiare due tendenze alla conservazione presenti anche nell'Unione.
La prima è rappresentata dalla tendenza a prospettare l'innalzamento dell'obbligo in percorsi di istruzione omogenei e autosufficienti, sottovalutando la necessità di differenziare i percorsi per intercettare tutte le intelligenze, le diversità degli stili cognitivi e delle motivazioni. La seconda da chi intende affidare alla formazione professionale o a uno specifico canale dell'integrazione alternativo all'istruzione il compito di includere i drop-out, confermando in questo modo la logica duale della Moratti. Eppure, la vicenda del decreto sul secondo ciclo dovrebbe aver chiarito che percorsi iniziali per il lavoro alternativi a quelli di istruzione sono iniqui e fallimentari perché i dividono i giovani sulla base del background socio-culturale di provenienza e danneggiano i percorsi professionalizzanti provocando vere e proprie fughe di massa verso i licei. Il biennio obbligatorio per cambiare in modo inclusivo la scuola secondaria deve essere unitario, tenere assieme differenziazione ed equivalenza formativa dei percorsi, superando le tendenze a riproporne l'unicità o a riprodurne la separazione.
Se sull'innalzamento dell'obbligo di istruzione a 16 anni la convergenza del centro sinistra è generale, tranne poi prospettare soluzioni diverse sul "come" attuarlo, sulla prospettiva dell'innalzamento dell'obbligo di istruzione a 18 anni entro la fine della legislatura le posizioni sono diverse. Una parte dell'Unione non coglie il valore propulsivo di questa proposta che, invece, parla alla società e alla scuola indicando in modo semplice e immediato, più di tante raffinate analisi sulla società della conoscenza, che siamo di fronte a un cambiamento epocale, come ai primi del '900 con l'obbligo nella scuola elementare e negli anni '60 con la media obbligatoria. Porsi l'obiettivo di assicurare a tutti i giovani percorsi di istruzione fino a 18 anni significa prendere atto che oggi, per essere cittadini consapevoli e lavoratori occupabili, occorre una formazione culturale di base sufficiente per continuare ad apprendere per tutta la vita (la grande maggioranza degli adulti attualmente in formazione ha almeno il diploma). Ovviamente la scelta di innalzare l'obbligo è necessaria ma non sufficiente.
Assicura a tutti l'accesso e crea la spinta per attivare processi di innovazione nella direzione lungo la quale si stanno già muovendo le migliori esperienze: potenziamento della continuità verticale (diffusione valorizzazione degli istituti comprensivi) e integrazione con il territorio (patti per la formazione e lo sviluppo tra scuole, enti locali e mondo del lavoro).
Inutile aggiungere che le scuole autonome devono essere messe nelle condizioni di innovare: organici funzionali, organizzazione delle reti tra scuole e tra scuole e territorio, formazione dei docenti, valorizzazione professionale, ...
Le riforme dall'alto sono fallite, non di meno la scuola italiana deve cambiare radicalmente: muoversi nella logica dell'innovazione, delle azioni concrete e pragmatiche piuttosto che dei cambiamenti globali e palingenetici non significa non perseguire grandi obiettivi, ma cercare di realizzarli effettivamente, tenendo conto della realtà che, come è noto, ha la testa dura.
ilaria ricciotti - 30-11-2005
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Condivido pienamente quanto da te scritto. Anche questo sarebbe un documento da firmare. Ciò che non capisco è se nella riforma Moratti c'è qualcosa da salvare o no.
Poi, ti risponderò.
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paolo - 04-12-2005
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Solo due piccole annotazioni.
Nel biennio è necessario comunque differenziare i percorsi per valorizzare tutte le intelligenze! Altrimenti si rischia di avere, in alcuni tipi di scuola, classi talmente eterogenee che per gestirle bisogna ricorrere soltanto alla classica ricetta basata sull'autoritarismo e sul nozionismo, in barba a tutti i discorsi che parlano di innovazione didattica e metodologica!
Inoltre, se l'autonomia comporta la creazione di piccoli regimi autoreferenziali dove uno solo pensa e gli altri obbediscono, dove chi non si adegua è sottoposto a ricatto o a mobbing, allora è sicuramente meglio la tutela della regione o dello stato! |