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Senz'arte né parte
Repubblica Bari - 28-11-2005


Ci sono, in provincia di Bari, circa seicento persone che studiano discipline artistiche. Non tutti gli artisti della Provincia sono tra questi e non tutti questi inalbereranno il lauro sulla fronte, certo, ma il dato è significativo. Pittori, scultori, decoratori, miniaturisti, disegnatori, scenografi e costumisti studiano e s´industriano per affrontare un lavoro bellissimo, faticoso, pieno di asperità e contraddizioni. Immaginiamo un ingente opificio, un atelier affollatissimo, un arsenale di idee e progetti che brulica di studenti. Per molti potrà risultare consolante, entusiasmante, addirittura, che tanti giovani traffichino con l´apprendistato artistico. In un libro celebre del Novecento, La cripta dei Cappuccini, epìtome lirica e bellissima dell´occàso della mitteleuropea asburgica, la madre del protagonista, l´aristocratico Trotta, considera con disdegno la circostanza che la nuora s´industri, per sbarcare un lunario corrucciato di brutti presagi economici e sociali, con «l´arte applicata» intesa come l´artigianato sublime e appassionato che si sarebbe ben presto impadronito di mercati non solo esclusivi delle classi altolocate.

Evidentemente dall´evoluzione che allargava le botteghe e le scuole di casta all´uditorio popolare e moderno facendolo partecipare delle culture immateriali, appannaggio esclusivo, almeno nella fase dell´elaborazione ideologico-estetica, delle classi egemoni, scaturì l´idea delle scuole di arte, anche superiori. Ed ecco i conservatori, le accademie, i licei artistici. Oggi equiparati alle università, giustamente, queste strutture dovrebbero essere in grado di formare gli operatori di un settore capitale dell´economia di un paese. Segnatamente, nel Paese che è l´Italia, li si dovrebbe guardare con amorosa attenzione, con cura autorevole, con perspicace prudenza. Perché l´Italia è la patria mondiale della economia immateriale, della cultura e dell´arte con il suo patrimonio del 65 per cento di tutto il giacimento artistico, monumentale e culturale del mondo.

Questa riflessione mi è suggerita da un paio di informazioni di questi giorni. La prima è che il mio amico Pasquale Bellini, docente, critico teatrale, giornalista e, soprattutto, solennissimo campione d´ironia, mi ringrazia per gli auguri che gli ho fatto per il suo nuovo incarico di direttore dell´Accademia di Belle arti di Bari, spedendomi una circostanziata relazione su quella struttura, senza commenti: una specie di breve guida. Si evincono storia, araldica dei docenti, aspirazioni e virtù, ma, anche quel dato con cui ho esordito: seicento studenti. Pasquale non lo chiede esplicitamente, Pasquale è un galantuomo, ma io, sì, lo chiedo: che cosa ne faremo?

Dalla bella sede di Mola di Bari e dalle altre aule e laboratori che, merito della Provincia, saranno presto in uso a Bari escono già e usciranno centinaia di artisti, studiosi, critici. Quell´immenso giacimento artistico italiano ha bisogno di loro. È in grado di riceverli e di dare impulso alla nuova creatività? Potranno, questi giovani colleghi trovare lavoro, occupazione, ispirazione nella nostra Regione, per esempio? Saranno messi in grado di lavorare per la bellezza, quella bellezza che ci salverà come, citando Dostoevskij, ricordavo su questo giornale la domenica passata? Ci sono le strutture, le gallerie, gli spazi espositivi, il mercato, i teatri? Ma se, solo a Bari, sono chiusi da anni un paio di magnifici teatri e un auditorium e in tanti, in troppi, perdono tempo a litigare su prebende, nomine e incarichi invece di questionare proficuamente sulle urgenze e l´orrore cementificato di Punta Perotti aspetta il piccone della bonifica, invano.

Ed è questa la seconda circostanza che mi ha istigato questa riflessione in augurio all´Accademia di Belle Arti di Bari: l´articolo di Stefano Costantini sul nostro giornale di ieri. Si conclude con un pensiero che i seicento studenti dell´Accademia e il mio amico, direttore Bellini, non hanno potuto che condividere: «Se ai cittadini fosse data la possibilità andrebbero loro stessi con i picconi a buttare giù quei palazzi. E forse in molti sarebbero disposti a mettere mano al portafogli pur di veder tirare su il sipario del loro teatro. Serve un atto di coraggio di chi deve decidere, uno scatto d´orgoglio per ridare dignità a una città ferita».

Michele Mirabella
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