L'adolescenza incerta
Laura Tussi - 21-11-2005
Il silenzio degli adolescenti

Un rimprovero che la cultura degli adulti muove in modo spesso implacabile nei confronti degli attuali adolescenti, consta nel fatto di essere sostanzialmente "silenziosi" socialmente, come se disobbedissero a quello che è in qualche modo un mandato ambiguamente affidato dagli adulti ai ragazzi, vale a dire irrompere sulla scena sociale apportando la novità, la protesta, il cambiamento, un grande progetto utopico generazionale, comprensibile, di massa, che si esprime in slogans, in comportamenti, in scelte, in travestimenti ecc...Da questo punto di vista l'attuale generazione di adolescenti è assolutamente "silenziosa" e la dimensione della "cosa pubblica", l'aspetto politico-sociale, sembra essere lontano effettivamente dai loro autentici interessi ed impegnarli molto poco. Comunque la proposta è molto differenziata: l'arcipelago delle culture giovanili produce progetti che non hanno l'aspetto unificante del grande disegno utopico degli anni '60 e '70. Allora da questo punto di vista gli adolescenti risultano remissivi, taciti, quieti. E' vero però che la cultura degli adulti ha bisogno di allestire dei dispositivi di ascolto in grado di decodificare altri messaggi che i giovani inviano costantemente e che non sono relativi alla politica, alla storia, all'"agorà", ma che concernono la relazione, il gruppo di pari, l'amicizia, il nuovo contratto tra maschio e femmina nel nuovo galateo amoroso, nelle nuove relazioni familiari, in cui i ragazzi di questa generazione stanno lavorando, progettando, inviando messaggi. Su tali argomenti non risultano silenti.
Tutti rimangono in fondo colpiti dalla nuova interpretazione dell'adolescenza, la relazione di appartenenza all'ambito familiare, il nuovo rapporto con gli adulti ed anche col sapere, con la conoscenza, con l'idea di crescita, con i valori, con la legge e le norme. Quindi le novità sono presenti, ma non comportano quell'aspetto "rumoroso", caotico ed in fondo comprensibile del grande progetto ideologico ed utopico. E' come se avessero cessato di proporre il cambiamento sociale, però propongono la trasformazione relazionale, nel mondo degli affetti, piuttosto che nell'ambito della politica.

Dalla famiglia etica a quella affettiva

Dal punto di vista psicologico è assodato un fenomeno non solo nel nostro Paese, ma anche all'estero, che individua processi di socializzazione, modelli educativi, in qualche modo confrontabili con i nostri, cioè l'interpretazione sociale dell'adolescenza non presenta più quegli aspetti di contestazione dell'autorità del padre, della madre, del ruolo dei genitori, della scuola, dello Stato.
Questo si esprime anche non solo in modo spettacolare, nella trasformazione di una condotta generazionale che interpreta quel senso di emancipazione, di identificazione richiesta in termini pacifici, guardando alle istituzioni ed agli adulti come possibili eventuali risorse, piuttosto che come avversari da abbattere per poter crescere, per potersi liberare, per poter affermare la propria verità affettiva, sociale, sessuale ecc...Non è più così. Allora lo sviluppo, la crescita assumono un'interpretazione diversa e all'interno della famiglia questi aspetti contrattuali, negoziali, non violenti, non contestativi, ma di elaborazione sostanzialmente pacifica, costringono a chiedersi cosa sia cambiato. Se i ragazzi si atteggiano disarmati nei confronti degli adulti, se le loro occupazioni di spazi pubblici sono tendenzialmente pacifiche a parte le frange violente degli ultras del calcio e le bande giovanili, ma come generazione, quale trend generazionale è caratterizzato indubbiamente da una pace maggiore nelle relazioni categoriali di genere ed intergenerazionali. Cosa sussiste nella storia della formazione degli attuali adolescenti che può indurli a ritenere che non è più necessario uccidere simbolicamente il padre e quindi l'autorità, la norma, la legge, il principio di realtà? Allora l'indagine, l'ascolto della trasformazione dei modelli ai quali si ispirano il nuovo padre e la nuova madre ha portato a verificarne come la crisi dell'autorità paterna abbia attribuito spazio a forme di relazione educativa col figlio da parte del genitore maschio sicuramente molto più affettive. I padri che rimangono nella relazione educativa di accudimento rispetto ai figli, tendenzialmente, operano per formare soggetti etici, vale a dire buoni cittadini, buoni studenti ma certamente non pensando di voler trasmettere valori e norme, oppure di usare regole saldate a principi morali. Al contrario ritengono che l'importante sia dialogare e costruire assieme rappresentazioni del mondo convincenti.
Questo ha indotto a sostenere l'idea di "disarmo del padre". Il trasferimento di questa qualità di relazioni sulla scuola e nell'ambito della società, tende a far guardare agli adulti ed alle loro istituzioni non come a degli avversari da cui liberarsi, ma come interlocutori con cui contrattare, negoziare tutto, dal voto, alle norme, alle regole, in questa situazione molto impastata di affetti, emozioni, attese, aspettative, esigenze. La madre, in tutto questo, gioca un ruolo importantissimo, naturalmente, in quanto spesso si trova a svolgere funzioni paterne tradizionali, deve proporre modelli di identificazione ai figli, che sono a volte competitivi con i ruoli svolti dal padre. La madre offre al figlio adolescente, che comincia ad interessarsi di come si vive in società, anche il proprio modello di impiego, di produrre reddito, di interessarsi alla cosa pubblica. Il modello femminile e maschile di impiego, di lavoro, sono notoriamente differenti, quindi i figli hanno anche possibilità di scelta, per diventare soggetti sociali, assumendo il modello materno o paterno. Deriva anche da questo motivo il processo di progressiva femminilizzazione dell'adolescenza attuale, sicuramente molto più intenta a risolvere gli enigmi di autorealizzazione e di espressione. Esiste anche un valore sintetico, non etico e morale o che concerne una dinamica di potere, ma che riguarda l'utilità delle esperienze volte alla realizzazione sociale, affettiva, sentimentale, intellettuale, ma soprattutto relazionale. Questo è sicuramente il trasferimento di un'aspettativa maturata all'interno della famiglia, vissuta come un luogo di socializzazione per capire la propria identità e per avvicinarsi a delle risorse. Trasferire tale aspettativa dalla nicchia affettiva primaria alle istituzioni sociali, significa portare a scuola, all'interno della società, una richiesta di ascolto e non la violenza dello scontro, diritto quasi ineludibile per crescere, ma appunto, un'attitudine contrattuale alla ricerca di spiegare e plasmare i conflitti e, a cominciare dalla scuola ma poi dalle altre associazioni, le istituzioni degli adulti che hanno le loro tradizioni e regole, a questa esigenza innovativa di ascolto, di comprensione, di ricerca d'identità.

Fragilità latenti

Il cambiamento degli adolescenti nuovi che non sono violenti, ma sentimentali, quando esagerano, risultano il frutto di un processo relazionale maturato nella loro infanzia, che ha puntato molto al centro dell'attenzione la loro preziosità ed unicità, impostando le premesse ad una fragilità narcisistica, vale a dire, l'aspettarsi molto da se stessi e maturare forti attese rispetto al successo ed al riconoscimento del proprio valore e delle proprie azioni, creando di conseguenza un effetto a sorpresa nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza, durante cui è molto difficile raggiungere tali risultati e tremende e spietate risultano le inevitabili frustrazioni.
Questo elemento di fragilità che comporta la permalosità, il ritiro, il disinteressamento di valore, la rottura del contatto con tutto ciò che proviene dalle interpretazioni di ruolo che portano frustrazioni. Per esempio la scuola è mortificante e frustrante come inevitabilmente, in certi casi, deve essere ovviamente, e compare questo effetto di impreparazione al dolore mentale, al disagio, alla sofferenza, alla mortificazione narcisistica. Il provvedimento che i ragazzi adottano consiste nello staccare i "fili" che collegano il ruolo di studente al proprio sé, cosa che diventa spettacolare, palese, evidente, perché i ragazzi in analisi trattano di tutto tranne che di scuola, esclusa dalla vita quotidiana. Questo comporta demotivazione, insuccesso e abbandono scolastico.

Il senso di colpa

Sembra di intravedere un aspetto da rielaborare nel processo educativo attuale: studiando le punizioni ed i castighi che generalmente, nella famiglia attuale, vengono impartiti ai figli, si può notare la svogliatezza con cui i genitori inventano appunto punizioni e castighi che sono piuttosto monotoni, ripetitivi, sostanzialmente inefficaci e somministrati con scarsissima convinzione. Il castigo più utilizzato è la classica sgridata, l'urlata che può essere anche quotidiana, ripetuta, ad alto volume, drammatica, retorica ed è interessante verificare tale aspetto perché significa che i genitori si attendono che segnalando, tramite il loro urlo, il dispiacere, il dolore, la confusione, lo sgomento, l'indignazione che la trasgressione del figlio ha suscitato in loro, tale reazione risulti efficace per una correzione. Così invitano i ragazzi a sentirsi in colpa per la rottura della relazione affettiva, della comunicazione, non per la lesione di un valore che deriva da Dio, dallo Stato, dalla Chiesa, ma per il dolore che quella trasgressione infligge alla relazione, quindi il castigo è intenzionato a suscitare sentimenti di colpa o di vergogna, che risulta un modo molto diverso rispetto al provocare paura o al riconoscimento che l'infrazione di una data regola è collegata alla lesione di un valore e che il genitore non "urla" a titolo personale, ma in nome della tradizione. Invece attualmente la madre che urla e sgrida si esprime a titolo personale e ricordando il fatto che sussisteva tra lei e il figlio una relazione di fiducia, affetto, di parole e dialogo, che invece con la trasgressione ha seminato disaccordo e scontento. Il fatto di usare la sgridata invece di acrobatici castighi misurati ad hoc su quello che è l'intenzione che ha comportato la trasgressione, fa si che si permanga all'interno di una situazione rischiosa dal punto di vista affettivo e questo potrebbe essere uno degli elementi che rende i ragazzi psicologi molto sofisticati, ma dalla prospettiva etica piuttosto incerta. I genitori si sono trovati negli ultimi anni a fare i conti con una riduzione del tempo disponibile da trascorrere in relazioni di continuità con i figli, hanno dovuto delegare delle funzioni importanti di accudimento, di contenimento ad agenzie educative come la scuola, gli asili, le associazioni, le società sportive. Questo ha indotto a scegliere di tenere basso il livello del conflitto, quindi di escogitare norme che siano facilmente rispettabili. Perché se le norme sono dure, alte, intransigenti, il conflitto è inevitabile, e per risolverlo, pacificamente, proseguendo nello scambio degli affetti, occorre evitare che lo scontro sia troppo drammatico. Di conseguenza le norme, progressivamente nello scenario famigliare, si sono staccate dai principi e sono diventate rituali che regolano la comunicazione e la vita domestica. La scuola, come agenzia parafamiliare, rinfaccia ai genitori il fatto di aver educato i figli a comportamenti o al rispetto di regole che valgono solo in seno alla famiglia e che non hanno significato di carattere generale. Il governo della comunicazione e degli scambi è affidato a norme inventate appositamente per la singola famiglia e che evitano il conflitto e cercano di mantenere basso il livello di scontro perché occorre tempo per raccontare pacificamente e risolvere il conflitto. Il "non litigare" e mantenere aperto il canale del dialogo, dell'appartenenza e costruire una relazione permette di sperare che andare d'accordo costruisca buone relazioni anche con il sociale e che se il ragazzo ha interiorizzato una buona presenza, l'amore e l'affetto, finirà poi per amare gli altri, la scuola e rispettare le regole. Certamente non vi è grande spazio di scelta, perché il nuovo modo di organizzare la vita familiare comporta indubbiamente una contrazione dei tempi di contatto educativo. E se ci si chiedono le conseguenze? Quando si possiede minor tempo a disposizione per il dialogo nell'appianare il conflitto, occorre scegliere, prendere una decisione: la famiglia, i genitori hanno scelto il contenuto. I contenuti sono l'amore, l'affetto, il volersi bene all'interno della famiglia. A questo punto i valori, le norme, le tradizioni sono di intralcio al buon mantenimento della relazione perché l'importante è andare d'accordo e organizzare buone separazioni, precoci e prolungate, se occorre avere una buona memoria di affetti in assenza della famiglia. Se il bambino sta bene alla scuola materna ed è in buoni rapporti con i genitori perché la separazione avviene in un clima pacifico di sicurezza è chiaro che verrà eliminato tutto ciò che crea conflitto come le regole provenienti dalla tradizione, non addomesticate e familiarizzate, non ricondotte al significato attuale, perchè vengono da lontano e per farle rispettare non occorre il dialogo, ma l'imposizione che provoca conflitto, dolore, sofferenza. Come si fa ad organizzare separazioni così precoci, così prolungate nel tempo, se, in sostanza, non si usa lo strumento dell'identificazione profonda con il diritto del bambino ad evitare il trauma e la rottura della relazione, dedicando il tempo a organizzare buoni commiati, congedi e pacifici ritrovamenti? Questa è una scelta strategica. L'abbassamento del livello di conflittualità può essere ottenuto tramite norme più miti, punizioni centrate maggiormente sul senso di colpa piuttosto che sulla paura più difficile da domare e controllare e che tende a esprimersi anche verso l'esterno. Se il bambino ha paura del castigo, immaginerà di poterlo incontrare anche al di fuori della cerchia domestica. La situazione risulta complessa. Il lavoro dei genitori si concentra intorno a questo punto di disagio: come fare ad organizzare una ridistribuzione della funzione di contenimento e di accudimento dei figli? La madre sta coinvolgendo maggiormente il padre e la scuola, attraverso tutta quella serie di percorsi protetti che la famiglia ha già predisposto per contenere i ragazzi in assenza dei genitori.

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