Diario - 17-11-2005 |
L'analfabeta dimezzato L'Istat ridimensiona lo studio dell'Università di Castel Sant'Angelo (Ucsa) secondo cui 6 milioni di italiani non sanno leggere e scrivere. La situazione resta comunque deprimente Questa mattina l'Italia si è svegliata analfabeta. Nel pomeriggio invece il tasso d'istruzione è decisamente migliorato: gli analfabeti si sono messi a studiare e in meno di ventiquatt'ore sono scesi da 6 milioni a 782.342. In realtà è l'Istat ad averci messo lo zampino: con un comunicato di poche righe ha infatti smentito la cifra emersa da uno studio dell'Università di Castel Sant'Angelo (Ucsa) dell'Unla (Unione nazionale lotta all’analfabetismo). Gli sconvolgenti dati, raccolti nella pubblicazione "La croce del Sud. Arretratezza e squilibri educativi nell'Italia di oggi" erano stati presentati ieri in una conferenza da Saverio Avveduto, presidente della Facoltà, e avevano messo il Paese di fronte ad un'ignoranza abissale. Fortuna che non è proprio così. “In merito ai risultati di uno studio sulla diffusione dell'analfabetismo in Italia, pubblicati oggi sugli organi di informazione nazionali e locali, l'Istat precisa che in base ai dati del censimento della popolazione riferiti al 2001 il numero di analfabeti è pari a 782.342" dice il comunicato. Non c’è però molto da rallegrarsi perché la situazione sul tasso di istruzione degli italiani, fotografata dal censimento del 2001 e resa nota a gennaio di quest’anno, non è incoraggiante. Ben 3 milioni e mezzo di cittadini (il 9.7% della popolazione) infatti non possiedono alcun titolo di studio e oltre 13 milioni hanno solo la licenza elementare: in altre parole il 33% della popolazione non ha neanche l’istruzione minima obbligatoria. Non male, essendo tra gli otto Stati più potenti al mondo. Le percentuali scendono poi vertiginosamente con l’aumentare del titolo di studio: il 31.7% della popolazione ha la licenza media, il 27.2% si è diplomato e solo poco più di 4 milioni di persone, pari al 7.9%, si sono laureate. La pecora nera è la Basilicata con un tasso di analfabetismo al 13.8%, seguita da Calabria con il (13,2%), Molise (12,2%), Sicilia (11,3%), Puglia (10,8%), Abruzzo (9,8%) e Sardegna (9,1%). Isole e mezzogiorno la fanno tristemente da padrone, ma, visto che le contraddizioni non finiscono mai, alcune di queste regioni hanno allo stesso tempo il più alto numero di laureati: la Calabria, per esempio, ne ha più della Lombardia, del Piemonte, dell'Emilia Romagna e del Veneto. E gli stranieri che vivono in Italia? Evidentemente se hanno rubato il lavoro agli italiani è anche perché si erano chinati sui libri più degli italiani, battendoci sia sul tasso di laureati che su quello di diplomati. Il 10.7% dei cittadini stranieri (tra cui anche gli apolidi) ha infatti ottenuto un diploma di laurea e il 31% ha un diploma. Rivolgendo lo sguardo all'estero le cose non migliorano. Per l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in fatto di istruzione l’Italia è al terzultimo posto tra i 30 paesi membri: fanno peggio solo Portogallo e Messico, mentre ci battono Paesi come la Corea, la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca. In attesa che Università di Castel Sant'Angelo (Ucsa) e Unla (Unione nazionale lotta all’analfabetismo) spieghino da dove hanno tirato fuori quel numero spaventoso (6 milioni), ci limitiamo a ricordare che l'Istruzione era la terza I del programma del premier. Ma forse con l'Inglese e Internet le cose sono andate meglio. |
Anna Di Gennaro - 19-11-2005 |
da Corriere della Sera Lunedì, 14 Novembre 2005 IL SEME DELL’IGNORANZA Leggi, correzioni, aggiustamenti, decreti attuativi e riattativi e tant’altro ancora: non basterebbe un intero vocabolario per qualificare con completezza gli iter normativi che con continuativa provvisorietà da qualche anno vanno affondando il mondo della scuola di ogni ordine e grado. E si protesta, certamente: politicamente, partiticamente, schieratamente, ciascuno per un proprio interesse, personale o di categoria. Ma chi si trova a operare concretamente nel mondo della scuola, alla fine si trova con sempre maggior frequenza a porsi una domanda che persiste a restare senza risposta. Una domanda purtroppo in costante accentuazione di tristezza, passata dal «Perché sanno sempre di meno?» a un odierno: «Perché non sanno?». A cosa si deve questo costante abbassamento del livello culturale per cui, che so: non esistono più cronologie, sicché personaggi, opere, scoperte scientifiche o quel che si vuole trasmigrano con indifferenza da un secolo all’altro in un andirivieni da «gioco dell’oca» che pare determinato solo dalla casualità dei dadi? Dove sta, insomma, quel granellino dell’incipiente ignoranza che, rotolando di classe in classe, di ordine e grado in ordine e grado di scuola, si trasforma in valanga, pronta anche a replicarsi ove qualcuno dei colpiti finisca prima poi, per caso o per necessità, in cattedra? Perché non ci si chiede una buona volta da dove inizia questo processo di graduale azzeramento della formazione culturale dei giovani, per porvi veramente un rimedio? |