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Vite anarchiche
Sergio Muzzupappa - 27-10-2005
Si è atteso il 2004 per avere un Dizionario biografico degli anarchici italiani, stampato in due volumi dalle edizioni della Biblioteca Serantini.
Non è questa l'occasione per rilievi polemici, ma è un fatto ed ha un preciso significato politico: alcuni dizionari biografici e una serie di biografie offrono un quadro articolato dell'esperienza politica e degli uomini del socialismo e del comunismo scientifico-legalitario. Allo stesso tempo, le maggiori opere sulla storia della sinistra rivoluzionaria nel nostro paese pongono in secondo piano, quando non ignorano, la significativa presenza anarchica nei momenti cruciali della storia del socialismo: la nascita dell'internazionalismo e le prime lotte operaie, la guerra di Spagna, l'opposizione al fascismo e la Resistenza, la partecipazione alla vita della nascente Repubblica.
Eppure la prima sezione dell'Internazionale socialista in Italia nasce anarchica e viene aperta a Napoli nel 1867 in un ambiente di mazzinianesimo in confronto con le idee e la personalità di Bakunin, che in quegli anni risiede in città. Maturano così importanti iniziative e progetti rivoluzionari che sfociano tra l'altro nel moto del Matese nell'aprile del 1877, ed emergono personalità dello spessore di Errico Malatesta e Carlo Cafiero, di cui ancora oggi è un riferimento l'ottimo compendio del I libro del Capitale di Marx scritto tra il 1877 e il 1878 a rappresentare la prima traccia del pensiero marxista in Italia.
Una ricchezza di esperienze che la "storia ufficiale" relega in una fase prepolitica del movimento operaio e riduce ad una anomalia: vicenda di sbandati, avventurieri, improvvisatori e incoscienti, quando non addirittura veri e propri criminali. Non è un caso se il costante collegamento tra terrorismo e anarco-insurrezionalismo riconduce in questo paese, per quanti ne hanno memoria alla tragedia del ferroviere Giuseppe Pinelli e al dramma di Pietro Valpreda e tende ad istillare nelle menti delle nuove generazioni il dubbio sottile: l'anarchismo è sinonimo di delinquenza.
Così stando le cose il Dizionario riempie un vuoto e basta una breve scorsa ai volumi curati da Giampiero Berti per trovarsi a contatto con una serie di documentate storie di vita di militanti per molti versi esemplari.

Per limitarci qui al caso della Campania tentiamo un giudizio d'insieme delle 40 voci redatte da Giuseppe Aragno responsabile regionale e membro del comitato di redazione che ha presieduto alla realizzazione del prezioso lavoro.
Esse testimoniano anzitutto di una presenza politica significativa e costante che, sul piano della teoria come su quello della prassi, segna la parabola della storia del movimento socialista locale e si interseca spesso con quella nazionale e internazionale.
Si va dal passaggio dall'interclassismo pisacaniano e mazziniano, alla nascita e allo sviluppo delle associazioni di classe, si passa per la settimana rossa, che a Napoli ha tra i suoi leader uomini dell'anarchia, ci si ricollega all'antifascismo europeo e alla Resistenza combattuta della Quattro Giornate. È un susseguirsi di generazioni di militanti - alcuni del quali rivoluzionari di professione - nati tra la prima metà dell'Ottocento e la stessa epoca del Novecento. E se noti sono i nomi di internazionalisti della statura di Carlo Gambuzzi e Giuseppe Fanelli, tra i maggiori protagonisti del socialismo anarchico mondiale, di cui è possibile finalmente, grazie ad Aragno, avere notizie documentate dell'intero percorso, sconosciuti risultano figure di militanti, ricostruite dallo stesso storico, come Giuseppe Imondi, un dentista di S. Maria Capua Vetere, che trascorre a Napoli buona parte della sua esistenza e durante il ventennio diventa un punto di riferimento dell'antifascismo locale; sconosciuta è la vicenda di Armido Abbate, ferroviere e sindacalista, che combatte la battaglia libertaria negli anni di Giolitti, è antifascista, partigiano nelle Quattro Giornate e giunge alla Repubblica attivo quanto basta per denunciare l'americanismo di De Gasperi. È un mondo cuoi non mancano donne dal percorso esemplare - valga per tutti il nome di Emilia Buonacosa - e combattenti della guerra di Spagna come Ernesto Danio, Lenin Pizzano e Giuseppe Sallustio.
Nell'insieme ciò che davvero alla fine colpisce di queste biografie è la condizione di vita di militanti strettamente sorvegliati sin dall'inizio della loro politicizzazione, vittime di una sequela di provvedimenti repressivi, tra cui appare - privilegiato più che in altri casi similari - il manicomio, che tende in definitiva a cancellarli dalla storia a cui, a tutti gli effetti, il Dizionario li restituisce.
Aggirandosi tra queste belle pagine è difficile per chi milita a sinistra non riconoscere in questi uomini parte del proprio patrimonio culturale, ma allo stesso tempo è talvolta amaro constatare come gli stessi protagonisti di cui stiamo parlando si siano troppo spesso e semplicisticamente trovati materialmente contro il fuoco amico.

La recensione dell'opera è apparsa su Metrovie del 21 ottobre 2005. L'autore è ricercatore di storia presso l'Università degi Studi "L'Orientale" di Napoli
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