tam tam |  riletture  |
Della condizione, ovvero del dovere di essere laici
Prima voce

" Da anni professo e confesso la mia invidia per i credenti. Chi ha un altare su cui innalzare le sofferenze e i traumi dell'esistenza, finalizzandoli al premio di una vita ultraterrena, ha certamente una freccia in più al proprio arco.
Una ' marcia in più ' rispetto a chi - inguaribilmente se non disperatamente agnostico come me - le risposte al dolore e alla fatica non può che trovarle dentro di sé, nel proprio foro interiore.
Ancora, invidio fortemente l'idea del ' peccato ': perché definire il peccato significa dare dei limiti all'errore, circoscriverlo; se - se si è cattolici praticanti - avere gli strumenti per espiarlo.
Cosicché l'anima trovi ogni volta la strada per presentarsi al tribunale divino senza colpe, senza macchia e senza paura: ( ... ).
Mentre per quelli come me ogni errore, ogni colpa, ogni delitto minimo o grande restano lì, incancellabili, carichi di tutte le conseguenze che producono e produrranno.
Nessun confessore può assolverci, alleggerendoci del peso delle nostre responsabilità. A parte qualche conforto amicale, l'unico tribunale che abbiamo è lo specchio, la faccia che ci andiamo costruendo.
Certo, c'è chi ricorre al lifting o ad altre diavolerie, ma per i più - gli onesti, i senza rete - è con lo specchio, ogni giorno, che si fanno i conti: ogni scelta una ruga, ogni errore un cedimento, ogni vittoria un rifiorire solo temporaneo della pelle.
Con tutte le rughe, i cedimenti e le borse sotto gli occhi, sono belle facce, quelle degli onesti: più belle delle artificialità omologate, più serie e più vere.
Sono facce che avrebbero diritto al rispetto: perché, per i motivi che ho cercato di spiegare, per i senza-rete e i senza-dio trovare dentro di sé la via della giustizia è più difficile e faticoso e rischioso, privi come sono di lavacri dell'anima e prove d'appello.
E c'è sempre lo smacco di doversi accontentare di una giustizia parziale, di verità sempre soggette al dubbio e alla discussione.
Conosco anche molti credenti con le stesse facce, gente che cerca dentro la propria testa e il proprio cuore la verità e la pietà, anche a costo di non acquietarsi nei diktat delle gerarchie.
Ci si rispetta l'un l'altro, fra gente così: senza controllare i documenti, senza bisogno di dichiarazioni di fede o abiure da una parte e dall'altra.
Da tanto ci si è abituati a camminare insieme, ciascuno con le proprie convinzioni e la propria fede, non necessariamente religiosa. ( ... ) "

Seconda voce

" Ho sempre pensato che il laicisimo soffra di un complesso di inferiorità dovuto al fatto di essere nato dalla morte di Dio, avvenuta almeno un secolo prima dell'annuncio di Nietzsche e a tutt'oggi non ancora assimilata.
Il secolo di riferimento è l'illuminismo, che Kant definisce: "l'uscita dell'umanità da uno stato di minorità", dovuta al fatto che prima l'umanità abdicava all'uso della ragione per seguire i dettami della religione.
Il laicismo ha il suo manifesto nella ' Lettera sulla tolleranza ' di John Locke perché la tolleranza, che non impone agli altri la propria visione del mondo, è l'unica condizione per la convivenza tra le diverse culture, ed esprime, a mio parere, un valore più alto dell'amore del prossimo, perché questo si risolve in un gesto di accoglienza, che però non prevede l'accettazione incondizionata della visione del mondo di chi viene accolto. Questa è la ragione per cui la religione perdona i peccatori, ma condanna (non potendoli più mettere sul rogo) gli eretici.
Sempre Kant dice che: "l'incapacità di servirsi del proprio intelletto, quando non dipende dalla carenza dell'intelletto stesso, è da imputare alla mancanza di determinazione e di coraggio nel servirsene, senza la guida di altri".
Quindi c'è una responsabilità a non essere laici, che non investe solo le sorti della conoscenza, ma la dignità stessa dell'uomo, che rinuncia a servirsi proprio di ciò che lo distingue: l'uso della ragione. Di qui l'esortazione di Kant: "Sapere aude, osare essere uomini e non bambini bisognosi di tutori".
Con l'illuminismo, il laicismo diventa gesto etico e, per effetto di questa saldatura, l'illuminismo non è più solo la caratteristica di un'epoca storica ma la prerogativa della condizione umana, che non può essere disattesa, se non al costo, scrive Kant, "di violare e calpestare i sacri diritti dell'umanità".
È quindi doveroso essere laici, non solo per salvaguardare l'autonomia del proprio giudizio, ma anche per garantire questa autonomia alle generazioni future, della cui libertà di pensiero siamo responsabili per quel tanto che, con l'educazione, non ne avremo limitato la capacità critica.
Quanto alla ritualità, nulla impedisce che la si introduca per ragioni estetiche, avendo gli uomini bisogno anche del bello. Ma l'uso della ragione, prima del rito, e la sua codificazione nel diritto, ( ... ), è ciò di cui abbiamo bisogno soprattutto oggi in cui assistiamo al rifiorire dei fondamentalismi religiosi, cristianesimo compreso. "

Terza voce

" ( ... ) L'illuminista, ( ... ), ' sta solo sul cuore della terra ', cerca ed offre solidarietà ai suoi simili per affrontare la Natura e la Storia, spinge la ricerca fin dove può per diradare il mistero e migliorare le condizioni della vita.
Non obbedisce a chiese ma si fa guidare da una morale che non è immutabile nei millenni ma subisce l'influsso dei tempi, una ' morale provvisoria ' diceva Pascal.
Non è credente, ma difende strenuamente la libertà di religione come la libertà di pensiero.
Rispetta e può, persino, nutrire invidia per la fede del credente ma seguita ad affidarsi ai propri valori etici, che talvolta coincidono e altre no, con quelli religiosi.
Il lume della Ragione dovrebbe guidare i suoi atti, anche se non ne trae sempre consolazione.
L'Inconscio, l'Errore, l'Eterogenesi dei fini ne rendono impervio e ignoto il procedere. "

N.d.r. Le voci sono state rispettivamente tratte da " La fatica di essere laici " di Clara Sereni, da " Coraggio siate laici " di Umberto Galimberti e da " I nuovi illuministi " di Mario Pirani.


  discussione chiusa  condividi pdf