Il metodo del consenso nel rispetto delle differenze
Laura Tussi - 01-10-2005
Agire per difendere, realizzare, correggere la democrazia presuppone oggi una forte carica utopica perché si pensa e si agisce malgrado la realtà presente e contro le evidenze che, bisogna ammetterlo, non sono incoraggianti.

Oggi, ci dicono, siamo in democrazia. Dunque sarebbe improprio parlare di utopia. Per sostenere questa affermazione si prendono ad esempio i tanti luoghi della terra dove le istituzioni democratiche non esistono, sono state abbattute o sono allo stato nascente. Ma non possiamo accontentarci di ipotesi consolatorie né possiamo dimenticare le gravi imperfezioni delle nostre democrazie. Soprattutto occorre ricordare che qualunque conquista può essere sempre perduta perché nulla a questo mondo è dato per sempre. Né possiamo accettare una democrazia immemore dei sacrifici compiuti per realizzarla e una democrazia che tollera, produce, incrementa ingiustizie e disuguaglianze gettando le basi per il suo rigetto a favore di forme autoritarie di governo.

E allora, se le cose stanno così, come difenderci dalla componente anche egoistica della nostra natura ed evitare di fare un cattivo uso di un mezzo giusto come quello democratico, fondato sulla ricerca del dialogo tra diversi? Mantenendo la democrazia «giovane», evitando cioè in ogni modo che un individuo, un gruppo, un partito occupino a lungo il posto di potere che, sia pure con mezzi democratici, è stato loro concesso. Evitando l'incistarsi, la pietrificazione di maggioranze e minoranze precostituite. Dando movimento a un sistema che tende a bloccarsi, irrigidirsi, a ribaltarsi nel suo contrario. Ricordando che la democrazia è una concezione di vita che si apprende vivendo, in famiglia, a scuola, nel lavoro, in tutte le nostre relazioni. La democrazia come ogni buon dialogo è movimento, alternanza e dunque rispetto per le (provvisorie) minoranze in un clima di accettazione delle regole del gioco. A patto, naturalmente, che di «gioco» si possa parlare.
Come avviene per le articolazioni del nostro corpo, occorre avere molta cura del «gioco» democratico attraverso l'esercizio continuo e il movimento, affinché non si abbiano due esiti entrambi disastrosi: la disarticolazione, la perdita di contatto, la disintegrazione oppure, all'altro estremo, l'irrigidimento, il blocco, che espone a fratture irreparabili. A questa concezione dinamica della democrazia si oppongono oggi ostacoli immani che si manifestano in tutte le forme di particolarismo, fanatismo, integralismo, muro contro muro.
Occorre studiare e sperimentare, in famiglia, a scuola, nel lavoro, nella vita comunitaria, tutte quelle forme di confronto e incontro tra le parti in contrasto che servano a salvaguardare il valore del conflitto impedendo che si pietrifichi trasformandosi in guerra.
Il conflitto è necessario e fertile ma non lo è più quando è negato per «quieto vivere» o si trasforma in accanita battaglia tra nemici che tendono all'eliminazione del conflitto attraverso l'eliminazione dell' avversario.
L'utopia può essere la nostra comune giovinezza. Poiché «nulla è tanto vecchio da non poter diventare nuovo e nulla è tanto nuovo da non poter ridiventare vecchio, utopia e realismo non si escludono a vicenda».

Forse mai come oggi, in un'epoca di massimo sviluppo delle comunicazioni, «gli uomini hanno conosciuto tante difficoltà a dialogare, tanto panico davanti alla differenza e alla diversità rappresentate dall'altro, tanta chiusura in se stessi e tanto integralismo per evitare il problema del rapporto con l'altro». Si diffondono con frequenza allarmante comportamenti che vanno nella direzione dello scontro più che del confronto.
Quello che colpisce e allarma è l'irritualità di quei comportamenti e la progressiva assenza o perdita di prestigio, efficacia ed efficienza di individui, gruppi e istituzioni che dovrebbero avere funzione di mediazione tra interessi in conflitto, di promozione del negoziato, di ricerca incessante in ogni disputa, di alternative allo scontro frontale.
C'è da chiedersi, per esempio, perché siano nati gli organismi rappresentativi, perché siano stati costruiti percorsi fortemente ritualizzati per contenere e incanalare le controversie e i confronti di ogni sorta, da quelli politici a quelli economici, dalle tensioni legate alla convivenza tra culture diverse, alle contese giudiziarie fino a quelle sportive, se poi assemblee, aule giudiziarie e arene sportive devono trasformarsi in campi di battaglia, che è proprio il risultato che si voleva evitare. Dove è finito il «senso dello Stato», la capacità cioè di agire al di là dei nostri interessi personali, al di là dei limiti della nostra vita terrena, immaginando e lavorando per il benessere di una comunità che esisterà quando noi non ci saremo più?
Se ci guardiamo attorno non mancano gli esempi nella vita quotidiana, in famiglia, a scuola, negli ambienti di lavoro, nelle città, in televisione, di questo proliferare di irritualità che privilegia l'azione diretta a vincere, a primeggiare, ad affermare il proprio potere, a non tenere in considerazione l'altro. Sempre più si tollerano, o addirittura sono valorizzati e premiati, comportamenti che rivelano avversione al dialogo, propensione alla prevaricazione nelle relazioni individuali e sociali, confusione tra parlare e dialogare, sadismo nel trasformare in spettacolo ciò che ci divide e masochismo nel prestarci ad assistere o a essere protagonisti di quello spettacolo.
Consenso indica che si è d'accordo su qualcosa, ma non significa necessariamente accordo pieno di tutti su tutto, cioè unanimità. L'unanimità può anche arrivare, ma non è certo un obiettivo: il consenso punta a far convivere le differenze, non ad eliminarle. Perciò in una decisione consensuale vi possono essere diversi gradi di accordo e molte sfumature riguardo agli impegni che i diversi membri si assumono rispetto a una determinata decisione, però il tutto avviene in modo esplicito e globalmente accettato. Il metodo del consenso dà effettivamente un grande potere al singolo (a ogni singolo indistintamente!) perché ne riconosce il valore, la dignità, l'unicità. Ma il singolo può bloccare il gruppo solo se riesce a mostrare la validità della sua opposizione, cioè che la decisione che si sta per prendere è veramente dannosa per il gruppo e in contrasto con i suoi principi fondanti. Se il gruppo riconosce la validità dell'opposizione allora la decisione può essere bloccata, altrimenti alla parte avversa viene rimandata la responsabilità di decidere cosa fare, possibilmente dichiarandolo in termini chiari ed espliciti. Dunque, perché il consenso funzioni bene, il singolo deve riconoscere e accettare il potere del gruppo nel determinare quali problemi possono essere risolti, quali necessitano di più attenzione, e quali bloccano la decisione: la trappola del veto sta nell'essere incapaci di riconoscere i limiti del potere individuale! Il singolo ha il potere e la responsabilità di sollevare i problemi; il gruppo ha il potere e la responsabilità di riconoscerli e risolverli. Quando si affrontano i problemi un aspetto che si tende a dimenticare è che dall'altra parte ci sono esseri umani che hanno sentimenti, valori e convinzioni profondamente radicati, differenti storie e punti di vista, esattamente come noi. Ognuno ha un "io" che è sensibile e che facilmente può sentirsi minacciato, e un io minacciato pensa soprattutto a difendersi. Ogni giudizio sulla persona rischia di danneggiare la relazione e di alterare il buon clima psicologico che è indispensabile per fruire delle risorse di creatività e intelligenza di tutti i partecipanti, risorse senza le quali non è possibile trovare buone soluzioni ai problemi. Perciò è fondamentale rimanere aderenti ai fatti, ai termini concreti dei problemi, "attaccando" le idee e le proposte anche molto fermamente se necessario, ma rimanendo al contempo interiormente rispettosi verso le persone. Qui aiuta moltissimo non identificarsi con le proprie idee, ricordandosi che "le mie idee, non sono mie!"
Nell'affrontare i problemi si dimentica che il cuore delle questioni non si trova nelle posizioni di partenza (a volte solo apparentemente contrapposte), ma nei bisogni, preoccupazioni e convinzioni delle parti coinvolte, cioè in quelli che alcuni chiamano i "fondamenti" dei problemi. Spesso si discute (e si litiga) sulle proposte di soluzione senza avere adeguatamente scandagliato quali sono i bisogni in gioco: le soluzioni rappresentano la risposta a dei bisogni e lo stesso bisogno può essere soddisfatto in tanti modi diversi, cioè ci possono essere tante soluzioni per uno stesso problema. Se ci si fissa su certe idee diventa impossibile negoziare costruttivamente. Non si tratta di rinunciare ai propri principi, né di nascondere le differenze al momento incompatibili, ma solo orientandosi alla ricerca dei bisogni condivisi si creano le condizioni per trovare soluzioni cooperative, realizzabili, che aprono verso il comune cammino. Abbandonare una proposta di soluzione non significa rinunciare ai propri principi o ai propri bisogni, ma semplicemente ricercare altre soluzioni. Il metodo del consenso è in sostanza un processo di gestione costruttiva e nonviolenta dei conflitti. Il conflitto qui è visto come fenomeno assolutamente naturale, di per sé né giusto né sbagliato. Quando un gruppo crea un'atmosfera che facilita l'espressione del disaccordo e delle emozioni che ad esso si accompagnano (paura, irritazione, frustrazione e così via), costruisce le basi per decisioni più funzionali e soddisfacenti. Perciò facilitare una buona comunicazione è un fattore chiave: comunicare "è" gestire la relazione e i conflitti. Ma bisogna riconoscere che anche mediante un uso perfetto del metodo e un'ottima comunicazione i problemi, che non di rado sono complessi e complicati, possono rimanere sul momento irrisolti. Se si procede con cura e si alimenta la fiducia, il paesaggio entro cui si prenderanno le decisioni sarà come minimo più chiaro e comprensibile. E ciò costituisce un buon terreno per arrivare a decisioni che cercano per quanto possibile di rispettare i bisogni essenziali in gioco. A volte bisogna accettare il fatto di non poter decidere su una determinata questione. Allora saper gestire costruttivamente il disagio personale e collettivo che deriva da tutto ciò è indispensabile nel processo consensuale: pazienza e fiducia sono le qualità fondamentali. In definitiva questo processo tende a costruire "accordi nel disaccordo", dove cioè il disaccordo particolare è dentro una cornice di accordo generale fondato su rispetto e fiducia reciproci: il consenso riguarda in sostanza la volontà di continuare a camminare insieme e sperimentare insieme.


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