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Intervento Umanitario e Missioni di Pace: una guida non retorica:
Galileo net - 19-09-2005
Marco Mayer Intervento umanitario e missioni di pace. Una guida non retorica
Carocci, 2005 pp. 198, euro 12,30

Sei un operatore di pace che muove i primi passi nel settore? Vuoi prepararti al contatto diretto con la realtà in cui dovrai operare? Inizia a creare una rete di fiducia attraverso le persone più vicine, per esempio con il vicino di casa o con il venditore del mercato, per poi passare a interlocutori privilegiati.
E guai a barricarsi in ufficio dietro una scrivania. È uno dei tanti consigli che si possono trovare nel volume di Marco Mayer edito da Carocci, un vero e proprio "vademecum" del vasto universo delle operazioni di pace che prende spunto dall'esperienza sul campo. L'autore, infatti, come funzionario delle Nazioni Unite è stato dal 1999 al 2002 in Kosovo, dedicandosi a temi sensibili presso le amministrazioni regionali Onu di Pec/Peja e Mitrovica. Non per questo il suo intento è solo didattico, perché oltre a essere una guida per i giovani che vogliono o hanno già intrapreso questa avventura, il libro è un'analisi critica che offre una panoramica sulle attività di peacekeeping di ultima generazione analizzandone anche i difetti.
Come si legge nella premessa "il filo conduttore è cercare di smitizzare i luoghi comuni intrisi di retorica che circondano il settore, proponendo immagini realistiche in modo da rafforzare le capacità critiche dei futuri operatori". Mentre i primi due capitoli offrono al lettore dei suggerimenti su come accostarsi all'attività sul campo e agli attori locali, e descrivono le figure professionali con cui ci si troverà a collaborare, con i due capitoli successivi si entra nel vivo del discorso. Qui, infatti, Mayer spiega come funzionano e si sviluppano i percorsi di mediazione, che sono la parte più rilevante delle operazioni di pace. Tra quelli gestiti e promossi da attori ufficiali, cioè Stati o organizzazioni internazionali, emerge la predominanza a livello internazionale degli Stati Uniti, il cui tentativo di esportare indifferentemente in qualsiasi contesto una 'democrazia multietnica' è molto contestata nel volume. Come anche l'eccessiva attenzione dell'opinione pubblica mondiale alla lotta al terrorismo dell'amministrazione Bush, che oscura gli altri conflitti etnici del pianeta, veri focolai di rischio per la sicurezza globale.
Infine, il volume analizza le specificità dei diversi settori del peacekeeping: il lavoro delle fasi postbelliche, la fornitura di aiuti, la garanzia dell'ordine, della sicurezza e della libertà, la ricostruzione di un governo democratico, del tessuto amministrativo ed economico e la tutela dei diritti umani. Tutti questi ambiti sono strettamente correlati tra loro, spiega Mayer, ma la comunità internazionale sembra non capirlo e procedere a compartimenti stagni.
A dispetto del gran parlare di "interagency coordination", cioè di interazione tra gli attori internazionali per assicurare un'efficace strategia di approccio ai problemi, sono i conflitti tra le organizzazioni o con gli Stati nazionali a farla da padrone. Un limite strutturale e burocratico che può compromettere seriamente l'immagine complessiva delle operazioni di pace.

Roberta Pizzolante

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25 Luglio 2005

UN LIBRO, per cominciare Autore: Marco Mayer Titolo: INTERVENTO UMANITARIO E MISSIONI DI PACE Carocci ed.

Una guida per orientare consapevolmente chi decide di lavorare nei teatri di guerra

Manuale di pace

Recensione di Eugenia Palazzetti

Dalla distribuzione degli aiuti umanitari alla promozione dei diritti umani, uno sguardo sui meccanismi interni alle organizzazioni internazionali

Bastano un esame e la curiosità per fare il giornalista? L'amore per gli animali per scegliere veterinaria?. E una laurea in diritto internazionale per diventare operatori di pace? No. Lo ha ben chiaro Marco Mayer che nel suo "Intervento umanitario e missioni di pace" affronta la delicata questione della formazione di quanti desiderano intraprendere una delle tante professioni legate alle operazioni di pace. Appurato che l'entusiasmo non basta, che l'idealismo il più delle volte, rischia di rendere troppo intransigenti, che anche un corso di studi specialistici non è sufficiente, l'autore disegna il suo "itinerario" virtuale e virtuoso del moderno operatore.
Utilizzando la sua vasta esperienza sul campo (in particolare nei Balcani) ed esponendo l'andamento delle più recenti missioni (Somalia, Timor Est, Afghanistan, Iraq), Mayer chiama in causa errori, modelli, visioni, a volte "vittorie", che più di tanti discorsi sono in grado di accompagnarci all'interno di meccanismi complicati e ambigui. Non un processo, ma uno sguardo lucido su scenari estremamente delicati.
Al centro dell'attenzione i conflitti inter e intra-etnici, i più difficili da gestire ma anche quelli che negli ultimi anni sono stati alla base di circa novanta guerre, dalle più note a quelle dimenticate.
Già perché dalla caduta del muro di Berlino tante cose sono cambiate e ciò che un tempo si richiedeva ai professionisti del settore oggi non basta più.
"Durante il bipolarismo chi lavorava per le organizzazioni internazionali aveva alle spalle una formazione rigidamente orientata all'esercizio di funzioni 'notarili', di osservazione 'imparziale', di 'inerte' interposizione tra le parti, di controllo di aspetti puramente procedurali e protocollari".
Viceversa, negli anni Novanta "si viene affermando, sia pure in forme molto confuse e spesso incoerenti, una maggiore propensione a un intervento attivo di carattere esterno" accompagnata "da una varietà di fenomeni che vanno dalla proliferazione dei soggetti - internazionali, regionali, intergovernativi, governativi e non governativi - che premono per l'azione, peraltro in perenne competizione tra di loro, al forte ampliamento dei settori e delle aree di intervento, alla nascita di nuove funzioni e figure professionali, all'aumento esponenziale della quota di personale internazionale, umanitario, civile e militare, dislocato sul terreno".
Insomma un orizzonte del tutto cambiato. Del resto prima "chi avrebbe pensato alla possibilità che un funzionario di carriera Onu, addetto al protocollo, si ritrovasse a doversi improvvisare sindaco o assessore al Bilancio di un comune dei Balcani o a Timor Est?".
Ovvio, di conseguenza, che "alla complessità dei nuovi percorsi professionali debba simmetricamente corrispondere una struttura poliedrica e innovativa del 'paniere formativo'".
"Se la confidenza con l'inglese e con il computer sono supporti essenziali", assumono importanza fondamentale "la ricezione e la decodificazione dei segnali non verbali", la familiarità con le tradizioni etniche, la storia, la psicologia degli attori coinvolti. Oltre ad una buona formazione in diritto internazionale, l'attenzione deve rivolgersi soprattutto all'apertura mentale, alla flessibilità, alla diplomazia, agli aspetti politici, psicologici, investigativi e ad un certo grado di disincanto. Soprattutto per non restare ostaggio delle logiche che muovono le opposte fazioni, per evitare "da un lato l'eccesso di comprensione e solidarietà, dall'altro la tentazione di demonizzare le comunità locali" e per essere pronti a misurarsi quotidianamente con l'inevitabile "binomio onnipotenza/impotenza".
A organizzazioni internazionali altamente burocratizzate e in parte impreparate, dopo anni di congelamento, al lavoro sul campo, si contrappongono oggi scenari che pretendono interventi rapidi, agili, di ingerenza. Non è un caso, del resto, che i maggiori problemi emergano non tanto nella (rodata) fase dell'elargizione di aiuti umanitari in casi emergenziali, quanto la gestione del dopoguerra, quando si impongono impellenti necessità di ricostruzione (delle case, dei confini, delle istituzioni), di pacificazione delle fazioni in lotta, di bonifica del territorio.
Interessante, e imprescindibile ai fini della comprensione del contesto politico in cui ci si muove, anche l'esposizione del diverso approccio di Stati Uniti ed Europa rispetto alle problematiche sollevate dai conflitti di natura etnica, laddove all'imperativo statunitense dell'integrazione, del "modello melting pot" (cui consegue un'eccessiva semplificazione della situazione ed il carattere prettamente residuale delle azioni a favore delle minoranze oppresse) si contrappone la "dimensione valoriale" europea, in cui prevalgono maggiormente "le componenti umanitarie e dell'aiuto allo sviluppo, della non violenza e della ricostruzione".
Mayer non si sottrae neanche al dilemma principe che accompagna ogni intervento: è sempre necessario l'uso della forza? O meglio, "ogni azione non violenta (diplomazia realistica in primis) che tenta di indebolire, spiazzare e isolare i sostenitori della guerra è sicuramente benvenuta, ma può bastare da sola? E, allo stato dei fatti, "l'unica valutazione che possiamo esprimere è che è difficile escludere per principio il dispiegamento di una forza multinazionale di stabilizzazione, quanto meno quella necessaria a predisporre un ombrello di sicurezza e a condurre funzioni che potremmo definire (anche se con un po' di ipocrisia) 'operazioni di polizia internazionale'".
Difficile tentare di esporre gli infiniti spunti di riflessione che questa "guida non retorica" suscita. I tanti suggerimenti (da un maggiore coordinamento tra civili e militari, all'invito ad una maggiore valorizzazione della creatività), le mille angolazioni da cui osservare i teatri di guerra, le appassionate polemiche contro la superficialità dei media, l'imprudenza delle ONG, gli errori di organizzazione (vedi l'elevato turn over degli operatori) e di gestione di casi tristemente noti (Somalia).
Quello che lascia è forse un panorama ancora più confuso, ma anche un'intensa voglia di conoscere di più e meglio. E per un libro con dichiarati intenti di formazione è questo il risultato migliore.










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