Forse è inutile e stupido dirlo, ma mi sento anche io padre di Daniele, il liceale milanese morto nei giardinetti sotto casa per avere sniffato butano. E soprattutto mi sento fratello dei suoi genitori, come chiunque abbia figli di quell´età, misteriosi e amatissimi, con i jeans larghi che cadono sotto il culo, lo zainetto, la bici, le poche parole, la bufera della vita nel cuore, i dieci euro in tasca, la foga di esistere che li fa spesso camminare in bilico su questo o quel precipizio.
Immagino che la morte di D. abbia scaraventato nel pozzo dei rimorsi i suoi genitori, annichiliti dal dolore e ossessionati dal dubbio di non avere fatto abbastanza, non avere detto abbastanza, non avere capito abbastanza. Se questo può dare loro un minimo di sollievo, credo che la stragrande maggioranza dei padri e delle madri abbia fatto (e non fatto) per i figli le stessissime cose, tribolato con le stesse incertezze (dare di più? dare di meno? dire qualche "no" in più? qualche "sì" in meno?).
Nessuno può dare buoni consigli, se non quello, vago e difficile, dell´amore comunque, che è tutto ma anche niente se misurato con il metro segreto e a spesso ostile dell´adolescente che giudica madre e padre. E poi, quanto a proibire: mai tante droghe, vecchie e nuove, da quando l´inutile stretta proibizionista ha provato a risolvere a schiaffoni il mistero fragile e glorioso dell´adolescenza.
DALL'AMACA
di MICHELE SERRA