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Manutengoli e cadreghini: uno e due
UNO

Questa storia illuminante raccontata sull'ultimo numero del settimanale " Affari & Finanza " da Alberto Statera col titolo " Pilo il Sondaggista dall'aria fritta al gas " non ci coglie certo di sorpresa e non ci invita a gridare allo scandalo.
Purtroppo questa nauseante, sottile e non rilevabile assuefazione conduce inevitabilmente il bel paese all'inarrestabile declino tanto paventato ma in via di piena realizzazione.
Non solo e non tanto sul piano delle tecnologie, ovvero della economia e della finanza, quanto nel tessuto sociale, nel vivere quotidiano che perde di continuo di valore e dignità.
Non nascondiamoci il dato di fatto: è storia antica, ma non per questo se un " rinascimento " ha necessità d'esserci, non valga la pena di tentare l'impossibile, sinora, impresa.
Scrive ancora Oliviero Beha nel suo recentissimo lavoro " Crescete e prostituitevi ", un titolo in verità fortemente provocatorio:

" ( ... ) Invece che cambiare in profondità, il problema sembra soltanto sostituire Berlusconi e il suo berlusconismo in chiave tattico-elettorale ( e le ultime vicende regionali, amministrate da personale dell'Unione, sembra amaramente avvalorare la denuncia di Beha n.d.r. ).
Pensate davvero che basti, specie se il berlusconismo fosse, come pavento, ( ... ), nient'altro che un'abitudine e una rinuncia insieme, un'abitudine comprata al mercato solo con discorsi o similia, e una rinuncia alla dialettica comunque dolorosa o dolorante tra ciò che si mantiene e ciò che cambia al mondo, per l'individuo e la collettività?
( ... ) Non basta mutare solo di segno al potere se il contesto rimane comunque berlusconizzato, perché intanto la palla rotola, si smarriscono radici antiche, si sbriciola il tessuto connettivo che ancora - temo - le nuove tecnologie non sono state capaci di rabberciare.
E noi stiamo peggio, quanto al Pil, il Prodotto interno lordo, ma attenzione, quello della nostra dignità umana, forse il prodotto interno al lordo dei fattori esterni cui dovremmo badare di più.
( ... ) "

E' denuncia amara questa, è il corroborare quel tale dato politico-antropologico di paese settario, pervicacemente aggrappato ai suoi riconosciuti immodificabili mali, che ben conosciamo e che ci giungono inalterati e ben difesi attraverso tutte le epoche, da tutti i governi e da tutte le alleanze politiche, da un lontano più che secolare, con una storia socio-politica incredibile, dolorosa e vergognosa ad un tempo.
Resisteremo pertanto con tale retaggio all'avanzare del nuovo internazionale, della globalizzazione e della finanziarizzazione, della concorrenza su scala planetaria senza le difese di un tempo? Staremo ben a vedere.

" «Oh Gianni Pilo Gianni Pilo Gianni Pilo/ Siamo percentuali punti decimali/ Siamo tanti numeri su schede digitali/».
Non capita a tutti di vedersi dedicare un'ode, messa anche in musica a ritmo di macarena, come capitò a Gianni Pilo, il primo sondaggista che segnò l'epoca del berlusconismo vincente, fino a diventare unico nella storia di questo mestiere deputato del partito da lui dato per vincente, per poi finire nella polvere.
L'irresistibile ascesa del giovanotto di Macomer, paese su uno sperone di roccia al centro della Sardegna, comincia all'ombra di Nichi Grauso, l'ex editore dell'Unione Sarda e di Videolina, che si autoproclamò mediatore in un celebre rapimento.
Entrambi un po' fumini, come si dice in Toscana, a un certo punto litigano e Pilo sbarca a Milano senz'arte né parte.
E' lì che, spinto dal bisogno, si scopre sondaggista e bussa alla porta di Arcore, dove fin da prima della politica, si vive di pane e sondaggi di mercato.
Quando poi Marcello Dell'Utri nel 1993 si inventa Forza Italia per salvare Berlusconi, come egli stesso ha più volte dichiarato, dal fallimento o dalla galera, Pilo diventa il beniamino del futuro premier.
Sonda, sonda, sonda tutti i giorni, sonda su tutto e racconta esattamente ciò che il generoso committente vuol sentirsi dire.
Per un po', assistito da un buon naso e da un ottimo fattore c., più o meno ci azzecca. Fino a quella sciagurata notte del 25 aprile 1996, quando Emilio Fede , affiancato da un Pilo raggiante, inonda lo stivale di bandierine azzurre. Le bandierine caddero una ad una. E Pilo cadde con loro.
Luigi Crespi, un ragazzone ex comunista, lo sostituì nel cuore di Berlusconi e, via via che le bandierine azzurre continuavano a cadere ad ogni elezione, non solo fu anche lui archiviato, ma fece una rovinosa bancarotta, lui dice perché abbandonato dalla Banca Popolare di Lodi, che voleva fare un favore a Fazio quando il governatore litigava con Tremonti.
Sarebbe ingeneroso maramaldeggiare sui rovesci di fortuna dei sondaggisti del Cavaliere, se non fosse che il sociologo di Macomer, come soprannominarono Pilo i "colleghi" di più lunga esperienza, rispunta in una faccenda un po' pelosa nella quale è coinvolto nientemeno che l'ambasciatore Umberto Vattani.
Potente segretario generale della Farnesina e neopresidente dell'Ice, Vattani è accusato di peculato e molestie per una serie di telefonate pornoerotiche a una collaboratrice di Bruxelles. Ma dalle registrazioni di quelle telefonate fatte dalla Guardia di Finanza, come ha ricostruito Gianni Barbacetto sul "Diario", emergono storie di malcostume più corpose. Come, per l'appunto, quella che vede protagonista Gianni Pilo.
Con la società Enoi, che naturalmente non ha nulla a che fare con l'Eni, a parte l'assonanza probabilmente non casuale della sigla, l'ex sondaggista di Berlusconi ed ex deputato di Forza Italia, cui non si può negare la capacità di riciclarsi con rapidità, vuole commercializzare gas tunisino in Italia.
Al progetto lavorano con lui Pierluigi Polverari, ex deputato socialista, e Roberto Marraffa, avvocato ben conosciuto a Tribunale fallimentare di Roma.
Secondo l'accusa, basata su ore e ore di intercettazioni, l'ambasciatore Vattani aveva il compito di favorire per conto di Pilo e soci l'importazione di gas tunisino, in cambio di una percentuale sugli affari. Obiettivo successivo il gas iracheno.
Magari l'inchiesta su Vattani sfocerà nel nulla, ma il ritorno di Pilo nel ruolo di petroliere non può passere sotto silenzio.
Per la cronaca, l'ode sull'aria di macarena, che si può consultare su Internet, finiva così: «Oh Gianni Pilo Gianni Pilo Gianni Pilo/ Sondaggi su sondaggi tangenti e riciclaggi...» "

DUE

E perché scandalizzarsi più di tanto del gioco di squadra geometrico e possente dei due presidenti delle camere, camere basse comunque, che tali sono state ridotte nell'era dell'egoarca di Arcore, rese morte e senza uno scatto di dignità istituzionale - vedi anche questa " fiducia " posta su di un raffazzonato progetto di riforma dell'ordinamento giudiziario nel bel paese - perché dicevo ci si dovrebbe scandalizzare tanto?
Alla gente che ciabatta nel bel paese, stanca e distratta, hanno fatto capire trattarsi della riforma della giustizia. Mi chiedo: di quanto si accorceranno i tempi dei processi, quanto velocemente si smaltiranno le tonnellate di arretrati giudiziari che sommergono tutti i tribunali di tutte le contrade del bel paese, ora che il padano ministro ha partorito la sua riforma?
Sicuramente nulla cambierà per gli abitatori del bel paese che non facciano parte di una certa accolita; intanto si portano a casa altri successi legislativi che completano il quadro disastrato di questo distrattissimo bel paese.
Ma il bel paese, aduso agli ammiccamenti più strani in salsa politica, distoglie lo sguardo dai fatti o misfatti dei rappresentanti suoi nelle istituzioni svilite della seconda o terza repubblica; lascia fare il bel paese, non s'indigna di un presidente di una camera bassa che esprime solidarietà con pubblica dichiarazione ad un imputato riconosciuto colpevole e condannato da un legittimo tribunale della seconda o terza repubblica, che si è perso financo il conto; non s'indigna il bel paese dei suoi massimi rappresentanti chiamati a presiedere le camere, sempre camere basse comunque, quando all'unisono o come sola voce invitano i cittadini a non votare ed esprimere così il loro giudizio supremo ed inappellabile, da popolo sovrano, su di un lavoro compiuto da quelle stesse camere, così come previsto dalla legge fondamentale del bel paese.
Ma così girano le cose nell'era dell'egoarca di Arcore. Scrive Oliviero Beha in " Crescete & prosituitevi ".

" ( ... ) Pensate come siamo ridotti: affondiamo a livelli di sfiducia e diffidenza totale, pubblica e privata, pressoché in ogni momento della nostra giornata, e dovremmo invece basarci sul concetto di fiducia che ci viene macchinalmente proposto dalla pubblicità, dall'economia, dalla politica in tutte le salse e in ogni settore?
E' un cortocircuito che darebbe la scossa elettrica a qualunque Paese dotato di un minimo di dignità
Se non rischiamo una scossa del genere, noi della " serva Italia " dantesca, è semplicemente perché la nostra vita quotidiana è ormai a infimo voltaggio etico.
E' andata via la corrente. Che fare per riaccendere anche flebilmente un po' di luce? "

E' questo il vero miracolo realizzato a pieno nell'era dell'egoarca di Arcore: affondare il bel paese " ...a livelli di sfiducia e diffidenza totale, pubblica e privata, pressoché in ogni momento della nostra giornata... " affinché l'antipolitica l'abbia vinta, con buona pace dei soliti donchisciotte di turno ed una delega piena ai detentori del potere.
Leggiamo la nota di Marco Travaglio " Carriere della Pera ", apparsa sul quotidiano " l'Unità ", a proposito di quel perfetto, insuperabile gioco di squadra dei presidenti delle camere, comunque sempre camere basse.

" Ci son voluti quattro anni, ma ora finalmente si comincia a capire chi sono Pera e Casini, a lungo scambiati per il volto moderato, «istituzionale» e presentabile del centrodestra, con cui «dialogare» e a cui appellarsi nei momenti difficili.
L'ex bancario di Lucca e l'ex portaborse di Forlani, inopinatamente assurti a seconda e terza carica dello Stato, non sarebbero lì se Berlusconi non ce li avesse paracadutati.
Lui non ha neppure bisogno di rammentarglielo: lo sanno benissimo. Gli impiegati si vedono nel momento del bisogno, e Bellachioma ultimamente ha molto bisogno.
Bisogno di tener buona la Lega con la boiata Castelli perché gli voti la salva-Previti. Bisogno dell'emendamento anti-Caselli, molto più urgente della boiata Castelli onde evitare che un giudice antimafia vada alla Procura antimafia.
Bisogno di screditare Ciampi con una bella guerra preventiva: visto che la boiata Castelli è incostituzionale, anche e soprattutto nell' emendamento anti-Caselli, c'è il rischio che Ciampi la rimandi indietro un'altra volta; dunque si attacca Ciampi, si costringe l'opposizione a difenderlo, e se poi boccia la boiata la si butta in caciara e si dice che l'arbitro è venduto.
E lo si leva di mezzo dalla prossima corsa al Quirinale. L'altra volta Bellachioma lo accusò di «ascoltare le sirene della sinistra». Ora si insinua addirittura l'attentato alla Costituzione, sventolando la spada di Damocle dell'impeachment.
Perché questo - checché ne dica il «Corriere» che riduce tutto al solito «scontro fra politica e magistratura»- è il senso dell'«alzamiento» sudamericano del rag. Pera e, con toni più forlaniani, di Piercasinando.
I dioscuri, dandosi la battuta come i De Rege, accusano il Csm di «uscire dalla Costituzione» (Pera) e di insidiare «l'autonomia del Parlamento» (Casini) discutendo la norma anti-Caselli. Par di sognare: questi due bellimbusti, non più tardi di un mese fa, andarono in pellegrinaggio in Spagna per attaccare le Cortes sulla legge dei matrimoni gay e insegnare agli spagnoli come devono votare, violando palesemente l'autonomia di un Parlamento straniero.
Poi tornano in Italia e accusano falsamente Ciampi di aver fatto in Italia ciò che loro han fatto in Spagna.
Infatti la discussione al Csm sull'emendamento l'ha messa all'ordine del giorno Ciampi, in ossequio alla legge 195/1958 sul Csm (art. 10: «Il Csm può fare proposte al Ministro della giustizia... su tutte le materie riguardanti i servizi relativi alla giustizia. Dà pareri al Ministro sui disegni di legge concernenti l'ordinamento giudiziario, l'amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto attinente alle predette materie»).
Ma che sarà mai una legge per i massimi vertici del potere legislativo: loro sono amici di Dell'Utri, Previti e Cuffaro, per citare i migliori.
Se i De Rege fossero davvero convinti che Ciampi esce dalla Costituzione e mina l'autonomia del Parlamento, dovrebbero subito dimettersi o aprire la procedura di impeachment contro Ciampi per attentato alla Costituzione.
Ma sono un ragioniere e un democristiano. Alludono. Tirano la pietra e nascondono la mano. Intanto il doppio avvertimento è partito. Se il capo dello Stato continua a difendere la Costituzione, sappia che sarà solo. E avrà contro, oltre al capo del Governo, anche quelli di Camera e del Senato.
Sotto i loro occhi e i loro nasi, in questi quattro anni, sono passate vagonate di leggi incostituzionali. La Castelli, la Gasparri-1 ed Eurojust (bocciate dal Quirinale), le rogatorie (incompatibile con i trattati europei), la Bossi-Fini (amputata dalla Consulta), il Lodo Maccanico e il condono edilizio (polverizzati dalla Consulta), lo spalmadebiti del calcio, il conflitto d'interessi e la Tremonti-bis (censurati dall'Europa). E si attendono notizie su falso in bilancio, Moratti e Gasparri-2.
Un fiume di liquami inonda dal 2001 Camera e Senato, ma Pera e Casini respirano sempre a pieni polmoni con aria soave ed estasiata, come chi passeggia in un'aiuola di rose e bocciuoli. Intorno a loro si approvano leggi vergognose con metodi illegali, cioè col voto decisivo di decine di pianisti al posto degli assenti, e le due cosiddette cariche istituzionali si voltano dall'altra, o espellono chi denuncia lo scandalo. Chissà dov' erano, mentre in una baita del Cadore quattro buontemponi coi pantaloni alla zuava devastavano la Costituzione. La riscoprono oggi, all'improvviso, per difenderla dalle minacce di quei sovversivi di Ciampi e del Csm.Se questo è il dopo-Berlusconi, che Dio ci conservi Berlusconi. "

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