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Fondamentalismi contro
Reporter Associati - 11-07-2005
Dalle bombe di Londra sono passate molte ore. Troppe perché sia naturale che i dettagli restino così imprecisati. Le esplosioni continuano ad essere tra quattro e sette, hanno colpito nodi fondamentali della metropoli come King's Cross, Liverpool Station y Russell Square ma non c'è neanche una vaga idea sul numero delle vittime. Come a Nuova York e a Madrid, l'ora dell'attentato fa in modo -lo afferma lo stesso sindaco di Londra Levingston- che tra le vittime non ci siano potenti ma lavoratori. Il primo ministro britannico, Tony Blair, riunito nel castello di Gleneagles in Scozia per il G8, prima di viaggiare a Londra nel pomeriggio ha dichiarato che i terroristi non fermeranno la determinazione dei britannici e che: "E' criminale che ci colpiscano mentre siamo qui per aiutare l'Africa". E' una scelta precisa; mentre le bombe di Madrid furono causate dall'aggressione in Iraq, ed era codardo ritirarsi, come poi fece il nuovo governo Zapatero, adesso l'Iraq scompare mediaticamente dall'orizzonte, e gli attentati colpiscono il "governo mondiale" del G8 nel momento in cui si dedica ad aiutare i bimbi africani.
Eppure, nonostante la rappresentazione di un facile e generoso compromesso sull'Africa, la povertà ed il clima sono passati in secondo piano, sostituiti dalle presunte buone ragioni della guerra infinita. Una guerra infinita che dimostra oggi il suo più completo fallimento. A quasi quattro anni dalle Torri Gemelle non solo non ha garantito la sicurezza dell'Occidente ma ha destabilizzato buona parte del pianeta.
CUI PRODEST? A chi conviente? E soprattutto, chi è stato? Sono le domande ineludibili di queste ore. A quest'ultima domanda ci sono solo due risposte possibili e una delle due è così terribile che fa perfino paura formularla. Ci sono due soli soggetti al mondo capaci di organizzare azioni di questa portata: la CIA e Al Qaeda. Nel suo mezzo secolo di esistenza, l'Agenzia ha maturato un curriculum sinistro. Ha organizato ogni tipo di violazioni dei diritti umani, colpi di stato in tutti i continenti, a volte violenti come quello di Jakarta che costò più di un milione di morti, ha creato artificialmente casus belli per giustificare guerre e conflitti, incluso quello in Iraq. La CIA ha senza dubbio la capacità tecnica ed organizzativa per realizzare le più sorprendenti azioni criminali della storia. La CIA esiste, ma non è ragionevole pensare che possa essere arrivata a tanto. Invece di Al Qaeda, che non siamo sicuri che esista, possiamo pensare che sia in grado di concepire attentati come quelli di Londra, che suppongono un'altissima capacità operativa, la necessità di coinvolgere decine di uomini, divisi in varie cellule, e di colpire con "precisione chirurgica" -la stessa dei bombardamenti occidentali- nel cuore della metropoli più vigilata del mondo, la Londra del primo giorno del G8.

Al Qaeda ha organizzato attentati in quattro continenti e in decine di paesi, da Bali a Casablanca, da Nairobi a New york a Madrid. Ed ha un importante livello di operatività in Iraq. A questo punto stiamo parlando della maggiore organizzazione segreta della storia, con migliaia di militanti addestrati e decisi a dare la vita per una causa che si diluisce dietro lo straordinario livello di violenza utilizzato da una conduzione solo militarista e fanatica. Quella di Al Qaeda non è la disperazione degli shahid palestinesi. Al Qaeda è formata da tecnici, ingegneri, analisti, agenti segreti, militari altamente specializzati e disposti a tutto. Se in Iraq l'obbiettivo è la liberazione del paese, gli attentati in Occidente obbediscono alla ricerca del gesto clamoroso, al "cercar la bella morte" fascista. Anche se quella di "fascista" è una categoria politologica occidentale, è tuttavia quella che meglio si adatta per qualificare l'ideologia di questa organizzazione, l'inclinazione militarista della quale contribuisce a silenziare tutte le voci della sensatezza, tanto in Oriente come in Occidente.

DUE DEMONI Il G8 era stato preparato da Tony Blair in maniera diversa dai precedenti che volevano celebrare - e sbattere in faccia al mondo- la presunta superiorità del modello economico occidentale. Questo G8 era stato preparato come un grande circo di false promesse e di ipocrisia in difesa dei "bambini affamati in Africa" e dell'ambiente minacciato dal cambiamento climatico. Alla Cina, al Brasile, all'India -i veri motori dell'economia planetaria- era stato riservato un invito, ma tra i famigli, sullo strapuntino dei grandi, nonostante sia evidente come le gerarchie mondiali si stiano trasformando proprio in favore di questi paesi. George Bush si è presentato in Gran Bretaña con la scoperta dell'acqua calda, ovvero che l'effetto serra esiste. Ma solo per rimandare ogni soluzione ad un futuro remoto di progresso tecnologico -per il quale sicuramente la scienza statunitense starà alacremente lavorando- e per pensionare definitivamente il protocollo di Kyoto, perfettibile, ma l'unico dispositivo concreto che il mondo aveva saputo darsi finora.

Ad Edimburgo, 500.000 persone avevano sfilato contro il vertice. Per giorni un importante foro alternativo aveva proposto soluzioni intelligenti e giuste ai problemi del pianeta. Gli otto non le avevano ascoltate, autoconfinati com'erano nel castello incantato di Gleneagles. Tony Blair, con la complicità di Bob Geldof e altre stelle del rock, aveva manipolato il più grande concerto della storia -il live8- utilizzandolo come un preludio al G8, quasi una cerimonia inaugurale. Era una giocata intelligente, che aveva dato a molti ingenui la sensazione che veramente i grandi della terra fossero preoccupati di "aiutare" l'Africa. Bono, il capo degli U2, è arrivato ad elogiare apertamente e ripetutamente George Bush, del quale oramai si presenta come un intimo.

Così, il movimento contro la globalizzazione neoliberale, una volta di più presentato come estremista, si era già ritrovato in un angolo, stretto tra il "progressismo compassionevole" delle stelle dello show business mondiale oramai alleato con il "conservatorismo compassionevole" di Bush.
Con gli attentati di Londra il contesto peggiora ulteriormente. Già l'11 settembre i movimenti si erano visti obbligati a stringersi intorno non alle vittime, ma al governo degli Stati Uniti. C'era voluto un anno e mezzo per liberasi di questa sorta di sudditanza psicologica che impediva di distinguere vittime e carnefici. Solo nel febbraio 2003, nell'imminenza dell'aggressione all'Iraq, le cose erano tornate al loro posto.

Adesso si fa un nuovo passo indietro. Il terrorismo di Al Qaeda, chiunque ci sia e qualunque cosa voglia, si configura oggi come il più potente alleato del sistema anglosassone di terrore che regge il pianeta, da Abu Grajib a Guantanamo, da Falluja alle fosse comuni delle vittime delle dittature filostatunitensi che affiorano quotidianamente in America Latina, ai morti per fame indotti dal Fondo Monetario Internazionale.
Al Qaeda è quindi oggi la spalla e la copertura ideale di questo sistema di terrore. Ci sono due mostri, "due demoni", per utilizzare -e rifiutare- una categoria politologica rioplatense. Entrambi sono indesiderabili, ma il mondo viene obbligato ancora una volta con un appello perverso a scegliere da che parte stare. Se si critica uno si è necessariamente amici dell'altro. Cui prodest? A chi conviene?

Gennaro Carotenuto



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 Peacereporter    - 10-07-2005
I nostri valori.


Ancora. E' ancora guerra all'occidente.
Sta nella bocca e nelle penne di tutti. New York, Madrid, Londra. Il bersaglio del terrorismo è il "nostro modo di vivere". Il "nostro sistema", quello "democratico", è ciò che muove alla guerra il fanatismo religioso.
Nuove generazioni di terroristi, di fanatici, di militanti della nuova Jihad del dopo Bin Laden sono pronti a sacrificarsi anche in mancanza di un ordine di Al-Qaeda. Sono pronti a colpire i nostri "valori", quelli occidentali, quelli che addirittura riteniamo universali.
No. No, per fortuna non è così. Non c'è un solo occidente come non c'è un solo Islam.
C'è un occidente che in nome del profitto calpesta ogni diritto umano, rendendo la sanità, la scuola, la vita stessa una merce da pagare a caro prezzo.
C'è un occidente che per mantenere il proprio tenore di vita dice di essere disposto a tutto, a muovere guerre, a sterminare popolazioni, a radere al suolo città e paesi e villaggi pur di non rinunciare al gallone di benzina quasi regalato.
C'è un occidente che crede - esattamente come fanno i fanatici islamisti - che il proprio dio, il proprio sistema sociale, la propria cultura siano superiori alle altre, e in nome del proprio dio muove guerre dichiarate e guerre nascoste. Guerre armate e "conflitti non ortodossi". Esplode bombe da aerei nello stesso modo in cui le nasconde nelle banche, sui treni, nelle piazze.
Ma per nostra fortuna c'è un altro occidente, posto che il termine occidente abbia un qualche senso.
C'è chi crede che la guerra sia uno strumento da mettere al bando sempre e comunque. C'è un occidente che crede ancora nei valori espressi dalla dichiarazione universale dei diritti umani. C'è un occidente che crede che la salute, l'istruzione, il lavoro, persino la felicità, siano dei diritti.
Questo è quello che pensiamo noi, queste sono le cose in cui noi crediamo. E - ne siamo convinti - sono quello in cui crede la maggior parte dell'occidente. E anche dell'oriente, del nord e del sud.
Il resto è retorica, quell'arte terribile che è stata inventata - in occidente - per prendere per il naso il popolo.

Maso Notarianni

direttore di PeaceReporter


 Da L'Unità    - 10-07-2005
Il niente e la speranza

di Furio Colombo


Si è appena diradata la polvere delle spaventose esplosioni di Londra e subito si vede un paesaggio devastato. Non parlo delle conseguenze di vili attentati, di cui non sappiamo quasi nulla. Parlo del modo in cui esseri umani responsabili a cui sarebbe toccato di dare un senso di presenza, di guida, di coraggio, si sono comportati, le cose che hanno detto, i gesti simbolici che hanno fatto.
È inevitabile notare la divisione profonda fra chi governa e chi è governato. In Inghilterra tutti coloro che parlano perché sono stati protagonisti e hanno rischiato di essere vittime delle esplosioni, i pochi che i cronisti televisivi hanno trovato nelle strade deserte, isolati, spaventati, parlano con dignità del terrore che hanno provato, dello shock che hanno subìto, dell’orrore e della sorpresa per il momento spaventoso che hanno vissuto.
In Europa, altri cittadini hanno improvvisato, come a Roma, fiaccolate e manifestazioni per dire “siamo tutti insieme”. Non volevano dire: “andiamo tutti insieme a combattere”. Chi? Dove? Parlavano di solidarietà e di identificazione fra vittime.
Ma non sembra che in alto questo sentimento sia stato capito. In Inghilterra si comincia con le parole della regina. Dice: “Non ci piegheranno. Non cambieranno il nostro stile di vita”. La frase era così dolorosamente banale, di fronte a quei morti ancora senza numero e ai settecento feriti, che dopo poche ore si è cominciato a tradurla o a ripeterla con una modifica: “il nostro modo di vivere”, per far capire che non si parlava della sfida per difendere l’ora del tè. Si parlava della vita democratica.
Nelle prime ore anche il Vaticano è intervenuto con una frase infelice e (per fortuna) subito cambiata. Definiva l’attentato un atto di “guerra anti-cristiana”, come se quei morti e quei feriti fossero un simbolo non dei diritti umani e civili conquistati insieme da tanti uomini e tante culture diverse, ma la esclusività di una Chiesa, come se l’attentato fosse un segno indirizzato, chissà come, dalla sotterranea londinese a Piazza San Pietro.
In Inghilterra si sente la voce di Blair. Possiamo, dobbiamo perdonargli, in queste ore di immensa emozione, di essere stato meno straordinario e preciso del solito nel linguaggio, che è il suo grande strumento. Ma quella sua esortazione alla “vittoria finale” (“vinceremo perché siamo più forti”) è come il lapsus rivelatore di una dichiarazione che lo fa apparire cittadino del passato. La regina parla di stile, il Primo ministro di vittoria immancabile, facendo capire lo spaesamento di tempo e di luogo in cui sembrano vivere. C’è shock ma non c’è traccia di consapevolezza della tragedia immensa e senza volto che ci riguarda tutti. C’è una sterilizzata mentalità militare che invoca stile e disciplina per riorganizzare le file dopo un colpo subìto. Del resto la visita della regina ai feriti, col dono di mazzetti di fiori alla sovrana, con sorrisi distanti e benevoli, con vezzosi inchini di corte delle infermiere meglio educate, hanno subito dato all’evento un’aria “1918” senza alcun rapporto con il fatto appena avvenuto.
Ma la situazione difficile che potremmo intitolare “Il giorno dopo le stragi di Londra” si fa più penosa se ci si sposta in Italia. Qui non solo si trova il vuoto - un vuoto arido e privo di quell’immediato slancio di solidarietà che è stata la prima risposta americana alle Torri. Qui, in Italia, sui giornali, nelle interviste, nella rassegna di “dichiarazioni degli esponenti politici” si trova un triste brancolare nel buio in cui si dicono e si ripetono i peggiori luoghi comuni. Non riguardano il terrorismo, una maledizione sconosciuta e neppure scalfita dalla guerra catastrofica scatenata fino ad oggi, una maledizione che ormai condiziona la nostra vita.
Qui si tratta della loro esposizione in vetrina con l’unica preoccupazione di farsi trovare dalla parte giusta. Si discute, in modo quasi pettegolo, dei veri nemici (la delinquenza dei dimostranti del G8, l'atteggiamento imbelle della sinistra, che invoca il ritiro dall’Iraq). E non si accenna a coloro che con felpata e perfetta organizzazione, hanno dislocato e fatto scoppiare sincronicamente le bombe. Non una parola o un’idea sul che fare adesso, qui, nelle nostre città, contro questo pericolo che sentiamo vicino.

Probabilmente mai la classe dirigente del nostro Paese - o almeno la parte di essa che guida il governo - si è comportata in modo così squallido e così inadeguato, giornalisti e politici. Pensate che il peggio non è Calderoli (“prepariamoci a mostrare i denti”), il peggio non è l’invocazione ad incrementare la caccia ai clandestini (i disperati salvati al naufragio sul gommone), dopo che l'inchiesta americana sulle due Torri ha dimostrato (e probabilmente dimostrerà l’inchiesta inglese) che eventi tragici e accurati come questi sono sempre realizzati da persone in perfetto “status” legale, che si muovono alla luce del sole e non hanno nulla da temere, mentre aerei europei carichi di disperati partono verso non identificati territori di morte, per “rimpatriare i clandestini”. Il peggio non è neppure Berlusconi che espone il petto, si mette subito accanto a Blair e a Bush, e intanto compie il gesto furbo (ma pur sempre apprezzabile) di annunciare il ritorno a casa di 300 soldati. Mentre il mondo sosta angosciato sulle macerie londinesi da cui non sono ancora stati disseppelliti i morti, sulla mancanza di un minimo di strategia difensiva, sotto la guida di un governo che si era fatto credere - e che tutti credevano - impenetrabile e imbattibile e comunque fautore di una strategia - la guerra preventiva - definita la sola utile per sradicare il terrorismo; mentre persone perplesse e intelligenti, nei governi del mondo, si domandano dove, come, si intercetta un simile nemico senza buttare all’aria ciò che quel nemico vuol buttare all’aria (il rispetto dei diritti umani e civili di tutti gli uomini e donne presenti in un Paese a qualsiasi titolo), in questa Italia devastata non ancora dalle bombe ma da una penosa mancanza di ritegno e di rispetto per noi stessi, ci sono state nell’ordine queste tre prese di posizione.
Uno: urge la nomina a senatore a vita di una signora, che essendo brava ed esasperata scrittrice, porterà con sé la formula di salvezza (parole di Luca Volonté, il capogruppo Udc alla Camera, dunque politico rilevante nell’area cosiddetta moderata e cristiana). Due: “Gliela faremo pagare” (titoli di Libero, La Padania e altri giornali del circo di destra che non hanno sospeso lo spettacolo neppure in segno di lutto). Tre: diamo il via alla guerra di religione (e qui non ci si riferisce alla gaffe subito corretta della diplomazia vaticana, ma alla stampa autorizzata del circo personale del presidente del Senato Marcello Pera).
Forse qualcuno ricorderà il vecchio e celebre film americano “L’asso nella manica”: mentre un uomo giace semisepolto sotto una frana, un giornalista ambizioso organizza un grande show di radio e televisione, in luogo del salvataggio, così che tutti, con i loro peggiori sentimenti (compresa la finta condivisione prima del dolore, poi del lutto) possano partecipare. Aggiungete al senso di squallore di quello spettacolo le continue bordate di insulti a Zapatero, il traditore e l’infame, e minacce a tutta l’opposizione se - mentre si ritirano i primi 300 soldati secondo il modello Berlusconi di fare e disfare, usare e obbedire - deciderà di votare contro la permanenza degli altri italiani nei bunker blindati, immensamente pericolosi ma totalmente inutili, di Nassiriya.
Osservate questo spettacolo desolante e vi rendete conto che, nel momento peggiore della breve ma tribolata storia dell’Unione Europea, l’Italia sta rispondendo con il suo peggio di stupidità, di egoismo, di povertà politica, di mancanza di ritegno e pudore di fronte a un massacro. Che cosa resta di quella “speranza dell’umanità” a cui Blair, con una sua frase felice, ha accennato alla chiusura del suo modesto G8?
Resta, e non vi sembri assurdo, non tutto l’aiuto economico promesso e necessario all’Africa, ma un po’ di aiuto. Non la guerra alla povertà di cui si era dato l’annuncio, ma qualche cancellazione di debito e qualche sostegno. Non l’affarismo ottuso che vuole sfruttare fino all’ultimo ciò che resta del pianeta, ma una dichiarazione di principio che riconosce almeno gli immensi problemi che quell’ affarismo crea, e che generano alcuni dei nostri mali peggiori. Naturalmente la speranza delle donne e degli uomini della terra, sia nelle parti agiate che in quelle povere, è molto più alta.
Sta cercando i suoi leader per esprimersi. Finora ha trovato persone modeste che invece di darsi da fare per circondare e isolare l’estraneità profonda del terrorismo a tutto ciò che è umano, pensa di fare la faccia feroce e vuole rispondere allo stesso modo, e per giunta alla cieca. Perché loro vedono noi ma noi non vediamo loro. Eppure, rifiutando le mappe del mondo che da tempo non distinguono più fra Occidente e barbari, e non distinguono più fra cristiani e infedeli senz’anima, ricalcano i percorsi che hanno preceduto le crociate. E sognano, predicano, se possono, impongono, terrore contro terrore.
E’ un percorso del quale c’è da avere paura. E infatti tutti abbiamo paura. E’ l’unico sentimento che, in questa epoca balorda, ci unisce. E allora, sia per vivere che per morire, non sarebbe meglio far vedere, con civiltà, con intelligenza, con buona comprensione dei fatti e rispetto per le persone, che non siamo affatto pronti a ricevere e ad accettare, da alcuno, alcun messaggio di morte, e che ci sentiamo uguali non agli “occidentali” che invocano sangue, ma agli altri Europei, agli altri Arabi, agli altri cittadini del mondo che a milioni rifiutano il terrorismo, e non vogliono la guerra che nutre il terrorismo, e dunque insieme alle altre democrazie, con o senza radice cristiana, che al terrorismo sono estranee, alla civiltà del mondo che rifiuta la morte come conquista?