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Londra, 7 luglio 2005: voci per, voci contro.
Una voce contro. E' di un tale odontoiatra della inventata padania, ministro alle riforme del governo dell'egoarca di Arcore, aduso a parlar fuori dai denti, come di mestiere, che nel generale sconforto non trova di meglio che indicare il " sano " ricorso alle potenti risorse estreme della civiltà occidentale e cristianizzata:

" ( ... ) L'Occidente sta perdendo la sua battaglia. Prepariamoci a mostrare i denti. La pace nel mondo, paradossalmente, nella seconda guerra mondiale la si è ottenuta soltanto dopo l'orrore di Hiroshima e Nagasaki: ( ... ) "

Quale città potrebbe essere scelta come prossima Hiroshima? Non c'è che l'imbarazzo della scelta. Prevenire è meglio che curare, e pertanto al pari di una carie meglio subito darsi da fare per estirpare sul nascere il focolaio d'infezione, magari con un buon uso dei potenti ferri del mestiere.

Una voce per. E' del primo ministro inglese Tony Blair, nelle ore successive alla tragedia subita dal suo composto e dignitoso Paese:

" ( ... ) Sappiamo che questa gente opera in nome dell'Islam, ma sappiamo anche che la maggioranza schiacciante dei musulmani, qui e altrove nel mondo, sono persone rispettabili e rispettose della legge, che odiano questo genere di terrorismo tanto quanto lo odiamo noi. ( ... ) "

Una voce per. Da " La guerra dei mondi " di Furio Colombo

" ( ... ) Nella vita reale fa testo ciò che ha detto in queste ore il Primo ministro iracheno: «Quel che è accaduto a Londra dimostra che tutto il mondo può diventare come l'Iraq».
Poiché la fonte è insospettabile la frase è terribile, perché descrive l'esito di una guerra, qualunque sia stata la sua ragione.
Si direbbe che avevano visto giusto sia i giovani di tutto il mondo che avevano invaso le piazze con le loro bandiere di pace, sia i militari (certo quelli americani) che quella guerra non la volevano fare e non vorrebbero continuarla.
Si direbbe che hanno avuto torto i politici che hanno usato tutta la loro forza di propaganda e di organizzazione per realizzare una impresa che adesso appare senza fine.
Ma il momento tragico e l'occasione immensamente dolorosa, richiedono di concentrare l'attenzione sulla prossima mossa. Qui la realtà non ci serve, perché nella realtà non si è visto né ascoltato alcun progetto sul modo di fronteggiare il terrore.
Ci serve, forse, pensare a come letteratura e cinema americani hanno affrontato - prima di adesso - l'incubo della vita resa incontrollabile da un nemico vile, potente e sconosciuto.
Se chiediamo aiuto per un momento al mondo della immaginazione, occorre distinguere fra fantascienza (libri e film che rappresentano gli incubi) e ciò che è ispirato alla fantapolitica, legata alla realtà. E' importante questa differenza, perché fa luce anche sulle nostre vicende.
Nelle "Guerre di mondi" (mi riferisco a Spielberg ma anche a decine di altri film) il nemico può e deve essere annientato esattamente per la ragione che è di un altro mondo.
Distruggere radicalmente e totalmente il suo mondo è una strategia, non importa quanto violenta, che accade a carico di qualcosa la cui radice è distinta, diversa da noi, oltre che immensamente pericolosa.
Per quanto quella guerra si combatta qui, il suo scopo è distruggere là, presso il territorio alieno e sconnesso dal quale giunge il pericolo. Il suo esplodere riguarda la nostra salvezza, ma le conseguenze di ciò che siamo determinati a fare per difenderci non ci riguardano.
Se ne va un mondo, che non è il nostro. Lo distruggiamo per proteggerci, ma anche per stroncare ogni futuro pericolo.
Il percorso di tutti i film di fantapolitica cominciano spesso nello stesso modo (un pericolo spaventoso, visibile solo nelle sue conseguenze di sangue), una reazione, sia politica che popolare, che spinge all'annientamento totale di quel pericolo.
Ma sempre (mi riferisco a ciò che è stato pubblicato o è uscito sugli schermi americani almeno in tre decenni) l'eroe che sta guidando eserciti e masse alla guerra dei mondi viene fronteggiato da un altro eroe, altrettanto credibile, che rappresenta non la corsa della vendetta ma la diga della ragione.
Di solito l'anti-eroe è molto osteggiato e poco creduto all'inizio, perché ha già fatto presa l'idea semplice e assoluta di distruggere il male alla radice.
La ragione dell'anti-eroe è sempre la stessa. Attenzione ci stiamo sparando sui piedi. I loro ma anche i nostri. Attenzione, ci stiamo accingendo a una tragedia troppo grande, che forse liquiderà il nemico ma liquiderà anche noi. La strada è più lunga, più faticosa e meno adatta agli scatti di nervi. E' basata sull'agganciare quella parte dei nemici che non sono nemici, a trovare il sostegno nella salute mentale che esiste anche fra coloro che, in apparenza, sembrano ostili, a rifiutare la strada dello sterminio, perché porta anche al nostro sterminio.
Non sembri futile questo fare per un momento riferimento all'immaginazione invece che alla realtà.
Il fatto è che una parte della realtà, nella vita che viviamo e nel mondo di cui siamo testimoni, sembra congelata nel silenzio. Conosciamo (e ragionevolmente discutiamo) gli eroi concitati che guidano alla guerra totale. Intravediamo, tra mille ombre e mille ambiguità, i volti e le voci sinistre del terrore in sequenze e messaggi che appaiono pura follia. Conosciamo anche la decisione tenace di chi vuole tenersi fuori. Ma siamo ancora in attesa di quel tipo di anti-eroe, che vuole stare dentro non per distruggere tutto, ma per salvare tutto.
E' il vecchio discorso del fare politica e diplomazia invece di guerra, che sembra seppellito dalla violenza dei fatti (da una parte e dall'altra tutto continua ad esprimersi con cieca violenza) e da uno scetticismo diffuso.
Abbiamo visto generali americani dire al loro Senato, nei giorni scorsi, (e di fronte alla presenza imbarazzata del loro ministro della Difesa) che «una situazione così precaria e così sanguinosa, ingiustamente definita "la fine della guerra", non può continuare mentre di giorno i kamikaze si fanno esplodere contro di noi e di notte i nostri aerei bombardano villaggi e quartieri di città irachene contro di loro».
Potremmo dire che la politica era al lavoro, mentre Londra veniva attaccata. Proprio nel giorno delle tremende esplosioni stava cominciando in Scozia il G8.
Qualcuno, scioccamente, chiamerà in causa i giovani delle manifestazioni di opposizione (stranamente definiti tutti "black bloc" dalla stampa italiana. Ma se erano black bloc non sarebbe quella scozzese, una occasione preziosa per fare ciò che non si è fatto a Genova, alzare i passamontagna e vedere chi sono?).
Quelle manifestazioni sono già politica invece di guerra. Però pensate se qualcuno, fra i leader del G8, avesse improvvisamente sollevato il discorso al livello di una politica nuova, chiara, inequivocabile, al punto da far alzare la testa al mondo. Pensate se l'anti-eroe che ho rievocato, ricordando i film americani di fantapolitica, fosse comparso in carne ed ossa tra i grandi del mondo, per orientare le teste sconvolte e colme di ansia del mondo.
E per togliere la terra sotto i piedi del nemico invisibile! Non è accaduto. Accadrà?"


Saranno le " voci per " così potenti e ragionevolmente persuasive tanto da rendere non udibili le deliranti " voci contro ", che immancabilmente si ingegneranno per seminare a piene mani paure ancestrali, per creare il nemico nuovo da annientare, per invocare " misure urgenti per " che si riveleranno poi essere invece " misure contro " tutte le libertà civili e democratiche del mondo occidentale?
E' l'ultima speranza a cui aggrapparsi affinché sciagurate decisioni di " prevenzione " non abbiano a trovare disattenti ascoltatori.

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