7a Commissione Senato, 9 aprile 2002: relazione Asciutti
Edscuola - 10-04-2002
DdL A.S. 1306
Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di
istruzione e formazione professionale

DdL A.S. 1251
Legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione


(09.04.02) Riferisce alla Commissione il presidente relatore ASCIUTTI, il quale compie preliminarmente un excursus storico sulle riforme dell'ordinamento scolastico a partire dalla legge Casati del 1859 ai giorni nostri. Al riguardo, osserva che quando il ministro Gabrio Casati, nel novembre 1859, elaborò la prima e unica legge organica dell'ordinamento
scolastico italiano prima della riforma Gentile, non solo l'Italia stava vivendo il momento culminante del suo processo di unificazione, ma era anche
pienamente nel vivo il dibattito sulla istituzione delle regioni.
L'anno successivo il ministro Terenzio Mamiani, cui spettò il compito di attuare la legge Casati attraverso regolamenti e programmi, pensò di istituire una
commissione con il compito di discutere e preparare un ordinamento nuovo delle leggi scolastiche conforme ai voti manifestati dal Parlamento e ai
princìpi amministrativi del nuovo Regno.
Non si istituirono le regioni e non si modificò sostanzialmente la legge Casati, ma la successiva riforma scolastica, che porta il nome di Giovanni Gentile, vide la luce assieme al nuovo assetto dello Stato fascista.
In era repubblicana, nella XIII e ora nella XIV legislatura, il Parlamento pone nuovamente mano all'articolazione del sistema scolastico in concomitanza con un processo riformatore che ha
ridisegnato il rispettivo ruolo dello Stato e delle regioni e che ha preso corpo grazie alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione.
In altri termini, è la stessa storia dell'Italia che testimonia di come le classi dirigenti del Paese abbiano sempre interpretato il problema dell'organizzazione della scuola come un aspetto fondamentale dell'ordinamento dello Stato.
Tornando alla legge Casati, essa rifletteva la realtà piemontese e lombarda per cui era stata concepita. Sceglieva infatti risolutamente la strada dell'accentramento già delineata nel Piemonte sabaudo, divideva l'istruzione umanistica da quella tecnica considerando quest'ultima inferiore alla prima
e inoltre affidava l'istruzione professionale al Ministero dell'agricoltura e del commercio, il quale del resto dal 1861 avrà anche la responsabilità degli istituti tecnici.
L'istruzione elementare, affidata ai comuni, era divisa in due gradi, inferiore e superiore, ognuno formato da due classi distinte.
L'istruzione elementare era gratuita, con obbligatorietà del corso inferiore per tutti i fanciulli dai sei agli otto anni, e veniva impartita dallo Stato per mezzo dei comuni. Anche l'istruzione secondaria classica era articolata in due gradi: il ginnasio della durata di cinque anni e il liceo di tre.
Gli altri tipi di scuole erano le tecniche - la scuola tecnica e l'istituto tecnico entrambi di durata triennale - e le scuole normali della durata biennale o triennale per la preparazione rispettivamente dei maestri elementari di grado inferiore o superiore.
Infine, tutte le autorità scolastiche, oltre che i membri del Consiglio superiore dell'istruzione e di quelli
provinciali, erano di nomina regia o ministeriale, mentre la spesa per l'istruzione pubblica si concentrava sull'università e sull'istruzione secondaria classica, gravando totalmente sui comuni i costi dell'istruzione primaria, dal reperimento dei locali al pagamento dei maestri.
Un primo e rilevante intervento riformatore si ebbe poi nel giugno 1877 con la legge voluta dal ministro Michele Coppino, i cui punti caratterizzanti
erano l'obbligatorietà dell'istruzione elementare inferiore dai sei ai nove anni d'età, la sua gratuità e aconfessionalità.
L'applicazione della legge era graduale e subordinata al raggiungimento di una determinata proporzione
tra il numero dei docenti e la popolazione complessiva dei comuni, ma le autorità preposte avevano la facoltà di procedere a impostare d'ufficio la
spesa necessaria nei bilanci comunali al fine di ottemperare all'obbligo di istituzione e mantenimento delle scuole.
Nello stesso periodo di tempo, gli istituti tecnici vennero riportati nell'ambito della pubblica istruzione, ma furono organizzati confermando il modello originale casatiano. Erano cioè divisi in cinque sezioni (fisico-matematica, industriale, agronomica, commerciale e ragioneria), di
cui solo la prima permetteva peraltro l'iscrizione alle facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali. Indi, nel 1879-1880, due successive circolari del Ministero dell'agricoltura e del commercio sollecitarono enti
locali e camere di commercio a creare scuole di arti e mestieri, cogliendo un'effettiva domanda proveniente dal mondo artigiano e dalla stessa classe lavoratrice.
In epoca giolittiana fu il settore elementare ad essere attraversato da importanti riforme, fra cui in primo luogo la legge Orlando del 1904, che estendeva l'obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età, ma solo nei comuni che avessero istituito il corso elementare superiore, e stabiliva che coloro i quali intendevano proseguire gli studi potevano sostenere, compiuta la quarta classe elementare, un esame speciale di maturità per l'ammissione alle scuole secondarie.
Successivamente la legge Daneo-Credaro del 1911 avocò allo Stato gran parte dell'istruzione primaria, ma tale passaggio venne limitato ai comuni non
capoluogo ed inoltre le scuole sottratte ai comuni vennero amministrate da un consiglio scolastico provinciale la cui composizione prevedeva comunque
una forte componente di membri direttamente designati dai consigli comunali.
Le ulteriori e profonde esigenze di rinnovamento che percorsero tutta l'istruzione non si tradussero invece in una proposta organica.
La crisi economica strisciante fra il 1907 e il 1911 e poi la guerra impedirono che si realizzasse nella sua massima ampiezza l'ipotesi di riforma che l'età
giolittiana aveva elaborato.
Dopo un ultimo tentativo nel dopoguerra di affrontare i problemi della scuola nel quadro dello Stato liberale da parte di Giolitti e Croce, il nuovo sistema di istruzione venne elaborato nell'ambito dello Stato fascista con i decreti legge che compongono la riforma Gentile.
In base al nuovo assetto, si propugnava una selezione delle classi dirigenti nell'asse portante liceo-università e attraverso la preminenza del liceo classico, unica scuola che apriva l'accesso a tutte le facoltà universitarie.
L'istruzione tecnica e professionale erano affidate ad altri Ministeri specifici, risultandone implicitamente la considerazione largamente minore in cui erano tenute.
Solo i ragionieri e i geometri rimanevano nel quadro
della pubblica istruzione.
Più nel dettaglio, l'istruzione elementare era
articolata in tre gradi: preparatorio, per i fanciulli dai tre ai sei anni, non obbligatorio; inferiore, della durata di tre anni; superiore, di due anni. Ma il corso elementare vero e proprio veniva stabilito in cinque anni, abolendo la possibilità, contemplata nella legge Orlando del 1904, di sostenere l'esame di ammissione alla scuola secondaria alla fine della
quarta classe.
L'istruzione obbligatoria veniva elevata al quattordicesimo anno d'età e prevedeva, oltre il livello della scuola elementare, la frequenza di un ulteriore corso integrativo di avviamento professionale
della durata di tre anni.
Le scuole secondarie erano a loro volta articolate
in una serie di gradi di durata diversa, a seconda della loro tipologia.
L'accesso ad esse era regolato secondo il criterio dell'esame di ammissione e prevedeva per ogni istituto un numero chiuso.
Il livello più basso dell'istruzione secondaria veniva impartito nella scuola complementare, nel
corso inferiore dell'istituto tecnico e dell'istituto magistrale, e nel ginnasio.
Il livello ulteriore si articolava nel corso superiore
dell'istituto tecnico e di quello magistrale, nel liceo scientifico, nel liceo classico e infine nel liceo femminile di durata triennale e senza
ulteriori sbocchi.
Ma il regime fascista, prima della sua caduta, intervenne ancora sul sistema d'istruzione con la Carta della scuola ideata da Giuseppe Bottai nel 1939,
che avrebbe dovuto costituire la risposta agli impetuosi processi sociali della seconda metà degli anni Trenta, che in termini scolastici si tradussero in un notevole sviluppo quantitativo dell'istruzione, soprattutto per quanto riguarda gli istituti tecnici industriali, i licei scientifici e le magistrali.
Il calendario dell'attuazione della riforma prevedeva la
predisposizione di cinque leggi fondamentali, da approvare gradualmente. Di queste l'unica effettivamente promulgata fu la n. 899 del 1940, relativa all'istituzione della scuola media di durata triennale valida per l'accesso alle scuole dell'ordine superiore, al liceo artistico e alle scuole dell'ordine femminile.
Dopo la liberazione, il dibattito sulla scuola si sviluppò in seno all'Assemblea costituente. In quella sede il compromesso tra le istanze della sinistra e quelle dei cattolici produsse l'obbligo scolastico fino ai 14 anni, il diritto allo studio, ma per i più capaci e meritevoli, e la
libertà dei privati di creare scuole, ma senza oneri per lo Stato.
Per rinvenire tuttavia un significativo intervento legislativo occorre risalire fino al 1962, anno di approvazione della legge n.1859, firmata dal ministro Luigi Gui, che istituiva la scuola media unica e obbligatoria fino a 14 anni. Tale legge sanciva tra l'altro l'eliminazione dell'obbligatorietà del latino, prevedendolo come materia autonoma e facoltativa nella terza classe. L'esame di licenza era trasformato in esame di Stato e dava accesso a tutte le scuole e istituti di istruzione secondari di secondo grado, ma la
prova di latino era considerata obbligatoria per poter accedere al liceo classico. Infine, si sanciva che il diploma di maturità scientifica dava accesso a tutte le facoltà universitarie esclusa quella di lettere e
filosofia; eccezione che cadrà nel 1969, quando venne liberalizzato l'accesso a tutti i corsi di laurea ai diplomati di qualsiasi istituto di istruzione secondaria di secondo grado.
Nel frattempo, nel 1968, con la legge n. 444 lo Stato organizzò la scuola materna per l'accoglimento dei bambini nell'età prescolastica da tre a sei
anni, con fini di preparazione alla frequenza della scuola dell'obbligo.
Ancora una volta quindi i nodi da sciogliere rimanevano la secondaria e
l'università. E in effetti, dopo la legge n. 119 del 1969 che introduceva in
via sperimentale alcune innovazioni negli esami di Stato di maturità, dal
1970 si sono succedute nel tempo numerose proposte legislative per il
riordino della scuola secondaria superiore, nessuna delle quali è riuscita a
terminare il proprio iter legislativo: dal testo predisposto dall'allora
ministro Misasi nella V legislatura a quello, d'iniziativa della senatrice
Alberici e di altri senatori, approvato dal solo Senato nel settembre 1993.
Nel frattempo, ancora una volta il Parlamento legiferava in tema di scuola
elementare, approvando la legge n. 148 del 1990, che ha introdotto il
cosiddetto "modulo organizzativo" di tre insegnanti su due classi (o di tre
su quattro), ha previsto l'aggregazione delle materie per ambiti
disciplinari e ha reso obbligatorio l'insegnamento della lingua straniera.
E' infine nella XIII legislatura - come è a tutti noto - che ha visto la
luce la legge quadro di riforma dei cicli scolastici delineata dal ministro
Berlinguer e a sua volta preceduta dalla legge n. 59 del 1997, che ha
attribuito alle istituzioni scolastiche autonomia didattica, organizzativa,
di ricerca e di sviluppo dotandole peraltro di personalità giuridica, dalla
legge n. 425 del 1997, che ha riformato gli esami di Stato conclusivi dei
corsi di studio di istruzione secondaria superiore, e dalla legge n. 9 del
1999, con la quale l'obbligo scolastico è stato elevato da otto a dieci
anni, sebbene il medesimo obbligo d'istruzione sia rimasto di durata
novennale fino all'approvazione del nuovo sistema scolastico e formativo.
Oggi, prosegue il presidente relatore, a quasi un anno dall'insediamento del
Governo Berlusconi, il Parlamento si trova ad affrontare di nuovo il
problema del riordino dei cicli scolastici, che ormai necessita di urgente
risoluzione. Già in campagna elettorale la Casa delle Libertà aveva del
resto annunciato l'intento di rielaborare, di concerto con i diretti
fruitori del sistema scolastico, una riforma del reparto scuola largamente
attesa.
Altro elemento che impone la revisione del sistema scolastico è peraltro
l'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che,
modificando il titolo V della Costituzione, rivede le competenze di regioni,
comuni e province e vincola al rispetto dell'autonomia delle istituzioni
scolastiche.
La precedente riforma tendeva a livellare il sistema mettendo in pericolo
perni fondamentali della formazione culturale che lo Stato deve invece
garantire. cpresentato dal Governo intende dunque
ripartire da alcuni precisi ed essenziali presupposti: il rispetto della
Costituzione, che sancisce il diritto allo studio per tutti; il rispetto
della più recente normativa di riordino delle specifiche competenze
legislative sulla materia, ripartite tra Stato e Regioni (come chiarito
dall'articolo 1); il rispetto del diritto dei giovani a formarsi sia
attraverso l'istruzione, sia attraverso la formazione professionale col
presupposto, anch'esso sancito per legge, che entrambi i canali
costituiscono due diverse modalità per giungere al medesimo obiettivo:
quello della crescita e della formazione di una precisa individualità
culturale e sociale.
Il rispetto di questi basamenti strutturali, insieme alle modalità
attraverso le quali la riforma si snoda, garantisce anche il sistematico
adeguamento a quello che è il panorama scolastico europeo, ad oggi
innegabilmente più idoneo del nostro a formare individui in grado di
affrontare in futuro le sfide del mercato globalizzato.
L'impegno del legislatore deve pertanto essere quello di costruire un
sistema che, tenendo conto dei presupposti appena citati, riesca a garantire
una elevata qualità culturale e professionale attraverso un sistema
unitario, ma al tempo stesso sufficientemente elastico da consentire ampia
flessibilità, nella cornice del valore legale dei titoli di studio.
L'articolo 2 regola il percorso di formazione scolastica attraverso due
cicli: uno primario, costituito dalla scuola primaria e da quella secondaria
di primo grado; uno secondario, costituito dal sistema dei licei e da quello
parallelo dell'istruzione e della formazione professionale.
Movendo da criteri che individuano il compito precipuo dell'istruzione nella
promozione in tutto l'arco della vita delle forme di apprendimento atte a
formare e valorizzare la soggettività e la spiritualità umana, nonché nella
valorizzazione delle attitudini e delle scelte individuali al fine ultimo di
strutturare una personalità consapevole di sé, ma anche della propria
appartenenza civile e storica, il disegno di legge n. 1306 interpreta ed
esaurisce appieno il significato etimologico del verbo educare. Perché
questo è il processo educativo in sostanza: una trasformazione progressiva
che, attraverso l'apprendimento, produce un risultato. In questo senso, il
sistema scolastico, che eroga metodi e contenuti di questo processo, deve
necessariamente essere di qualità elevata ed adeguato al compito che si
prefigge.
Secondo l'asse del provvedimento, il cammino formativo prende il via con la
scuola dell'infanzia, della durata di tre anni; essa per prima interviene,
attraverso adeguate metodologie, ad educare lo sviluppo del bambino in
termini di motricità, affettività e socialità: pone cioè le prime essenziali
condizioni per quello che sarà il futuro inserimento nel mondo scolastico.
L'intento annunciato di consentire l'ingresso in questa fase anche a bambini
che compiono i tre anni entro il 30 aprile dell'anno scolastico di
riferimento consente un ingresso anticipato con la prospettiva di condurre
l'alunno alla fine dei due cicli all'età di poco più dei diciotto anni. Si
tenta infatti di adeguare la scuola italiana a quella europea, anche se
esiste un cospicuo numero di nazioni nelle quali la durata degli studi
necessari per accedere agli studi universitari è di 13 anni, per cui
l'uscita avviene dopo i diciotto anni: la Germania, la Finlandia, la
Danimarca, la Svezia, il Lussemburgo. Anche paesi come la Francia, che pure
prevedono l'uscita prima dei diciannove anni, richiedono poi un bachillerato
triennale di ulteriore preparazione per l'accesso universitario che in
definitiva ritarda tale evento.
Al riguardo, il presidente-relatore mette peraltro a disposizione dei
senatori uno schema riassuntivo dell'articolazione dei cicli scolastici nei
principali paesi dell'Unione europea.
In considerazione delle scelte adottate nei vari paesi dell'Unione, il
presidente-relatore invita quindi a concepire una soluzione non tanto mirata
ad un pedissequo adeguamento all'Unione, ma fondata invece su due criteri
essenziali: il primo è la contestualizzazione del provvedimento con il
bagaglio culturale, storico ed economico del nostro Paese; il secondo
attiene una serie di valutazioni di carattere psico-pedagogico. Nella
valutazione dell'opportunità di anticipare l'età scolare va ad esempio
considerato che il percorso evolutivo dell'individuo necessita di un tempo
preciso (e quindi non contraibile) per raggiungere la maturità necessaria ad
affrontare le metodologie e i contenuti di studio che l'università impone.
Quanto al primo ciclo scolastico, esso comincia a sei anni (ma anche in
questo caso vi è la possibilità di iscriversi prima, qualora il compimento
dei sei anni avvenga entro il 30 aprile) e si snoda secondo due moduli, di
cui uno di cinque anni e il secondo di tre. Il primo modulo, quinquennale,
si articola in un primo anno (in cui si conducono gli alunni al possesso di
elementi cognitivi di base) e successivamente in due bienni didatticamente
distinti. Ritenendo inoltre che già da questa fase sia di fondamentale
importanza l'apprendimento di una lingua dell'Unione europea, come pure
l'approccio al mondo informatico, sono state inserite queste due discipline.
Gli obiettivi sono impegnativi poiché si intende promuovere prima attraverso
l'alfabetizzazione, poi attraverso l'acquisizione di conoscenze e di abilità
soggettive di base, quello sviluppo della personalità che proseguirà nella
fase successiva.
Il secondo modulo, triennale, consta di un primo biennio e successivamente
di un anno, volto sia al completamento didattico dei due precedenti che al
raccordo con il successivo ciclo scolastico, con funzioni di consolidamento.
Il ciclo superiore è finalizzato alla crescita soggettiva dell'individuo
attraverso le discipline di studio; ha la durata di cinque anni e si
sviluppa in due bienni più un anno di completamento e consolidamento del
percorso al termine del quale l'alunno dovrà sostenere un esame di Stato per
poter accedere all'università. Tale fase si conclude successivamente al
compimento del diciottesimo anno di età.
In questo periodo della vita evolutiva si accrescono e organizzano le
conoscenze e si tende soprattutto a far acquisire quell'autonomia di studio
che si proietterà in futuro in tutti gli aspetti della vita dell'individuo.
Il disegno di legge prevede l'introduzione di una seconda lingua dell'Unione
europea nonché l'approfondimento delle tecnologie informatiche. Esso
indirizza in particolare il secondo ciclo all'educazione personalizzata e
mira a potenziare le caratteristiche soggettive, tenendo sempre in
considerazione il contesto sociale e storico in cui l'individuo si realizza.
E' durante questa fase che può essere realizzata la scelta tra sistema di
istruzione e sistema di formazione: due percorsi assolutamente paralleli,
aventi la caratteristica di pari dignità e come tali tutelati per legge.
Questi due blocchi non sono intesi come due sistemi rigidi e a sé stanti, ma
per loro intrinseca struttura dovranno garantire la possibilità, in itinere,
di rivedere le proprie scelte ed eventualmente modificare il percorso di
studio. Tale elasticità consente anche l'alternanza tra scuola e lavoro
(come disposto dall'articolo 4) da effettuarsi sotto la diretta
responsabilità dell'istituzione scolastica, ma di concerto con le imprese,
nonché con enti pubblici e privati che siano disponibili ad accogliere gli
studenti per periodi di tirocinio. Anche da queste esperienze deriveranno
valutazioni che andranno a costituire il credito formativo dell'alunno.
I due canali sono diversi per durata (cinque anni il sistema dei licei e
quattro più uno facoltativo per l'istruzione e formazione professionale) e
per la natura dei programmi disciplinari, ma si concludono entrambi con
l'esame di Stato.
Nel nuovo scenario qui delineato, lo Stato ha il compito di dettare le norme
generali affinchè sia garantito a tutti e su tutto il territorio nazionale
il diritto allo studio; alle Regioni è trasferito il compito concorrente di
emanare dispositivi in ordine all'intero sistema educativo, ovvero
all'istruzione e alla formazione professionale garantendo la ottimale
validità e qualità del servizio sul territorio in accordo coi dettami
nazionali.
Attraverso l'articolo 4 viene inoltre ribadito quanto previsto dall'articolo
18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, che aveva previsto tirocinii e stages
di orientamento.
L'innovazione che vede la formazione professionale quale canale formativo
parallelo a quello dell'istruzione realizza appieno le possibilità di
realizzazione individuali: si avranno, per entrambi, percorsi che esiteranno
in titoli e qualifiche spendibili su tutto il territorio nazionale e utili
per l'accesso alla formazione superiore.
Per ciò che concerne le verifiche del sistema educativo, di cui all'articolo
3, esse sono affidate al corpo docente, avranno carattere periodico e
verranno regolarmente certificate. La valutazione periodica verificherà il
passaggio alla fase didattica successiva e, in caso di mancata idoneità,
l'alunno sarà costretto a ripetere non l'intero biennio, ma solo il secondo
anno dello stesso periodo. In stretto riferimento con quanto appena detto si
manifesta la necessità di una significativa permanenza del corpo docente
tesa a garantire quella continuità didattica imprescindibile anche per una
corretta valutazione. In tale ambito concettuale, è sembrato inoltre
opportuno reinserire la tradizionale valutazione del comportamento generale
dell'alunno a fronte della sperimentata convinzione che tale strumento
offra, a lungo termine, un valido parametro di orientamento per i docenti,
per le famiglie e per lo stesso alunno. Inoltre viene affidato all'Istituto
nazionale per la valutazione del sistema di istruzione il compito periodico
di effettuare la valutazione dell'intero sistema attraverso la verifica del
livello di conoscenze raggiunte dagli alunni, allo scopo di monitorare la
complessiva validità dell'apparato scolastico e formativo: anche in questo
senso ci allineeremo ai metodi già in atto in vari paesi dell'Unione
europea. In ultimo, come già accennato, è previsto l'esame di Stato come
tappa conclusiva dei due cicli scolastici da svolgersi sotto il controllo di
una commissione esaminatrice e avente come contenuto prove stabilite
dall'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione: i
criteri di scelta delle prove si fondano sulla base degli specifici
obiettivi di apprendimento dell'intero corso, nonché in relazione ai
curricoli dell'ultimo anno.
L'articolo 5 entra nel merito della formazione degli insegnanti prevedendo
che siano i decreti legislativi emanati dal Governo e previsti dall'articolo
1 a disciplinarne i contenuti. Tale formazione dovrà realizzarsi nelle
università presso corsi di laurea specialistica, il cui accesso è
programmato in base ai posti effettivamente disponibili in ogni regione e
nei ruoli organici. Le classi dei corsi di laurea sono individuate
attraverso decreti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge
15 maggio 1997, n. 127; tali decreti dovranno inoltre regolamentare le
attività didattiche inerenti l'inserimento degli alunni portatori di
handicap prevedendo che la formazione possa essere realizzata anche
all'estero. Per accedere ai corsi di laurea specialistica si prevede il
possesso di requisiti minimi curricolari oltre ad una adeguata formazione
personale. Il conseguimento infine della laurea specialistica viene
determinato da un esame di laurea avente valore abilitante di uno o più
insegnamenti. Tutti coloro che, già docenti laureati, intendano immettersi
nei ruoli dovranno svolgere un periodo di tirocinio con appropriati
contratti di formazione-lavoro. In questo senso le università dovranno
definire l'istituzione e il funzionamento di apposite strutture di
formazione atte a sostenere i rapporti, mediante convenzioni, con le
istituzioni scolastiche.
Inoltre le università avranno il compito della formazione in servizio dei
docenti interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutoraggio, di
coordinamento delle attività didattiche e gestionali delle istituzioni
scolastiche e formative.
Per ciò che riguarda le regioni a Statuto speciale e le province autonome di
Trento e di Bolzano, l'articolo 6 mantiene la loro autonomia in conformità
ai loro statuti, alle norme di attuazione e alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n.3.
Infine, l'articolo 7 detta le disposizioni finali ed attuative individuando
le materie nelle quali lo Stato potrà intervenire mediante uno o più
regolamenti. Viene anche previsto che il Ministro relazioni ogni tre anni al
Parlamento sul sistema educativo di istruzione e formazione per permettere
la valutazione dell'efficacia delle nuove norme e, nel caso, per consentire
iniziative conseguenti.
Il comma 3 prevede altresì che, dall'anno scolastico 2002-2003, potranno
iscriversi alla scuola d'infanzia i bambini che compiranno i tre anni entro
il 28 febbraio 2003, mentre potranno iscriversi alla prima classe elementare
i bambini che compiranno il sesto anno entro il 28 febbraio 2003.
Successivamente, attraverso i decreti legislativi, saranno date disposizioni
per arrivare al regime di iscrizione fino alla data del 30 aprile prevista
dall'articolo 2.
Infine sono stabilite le disposizioni di carattere finanziario e sancita
l'abrogazione della legge 10 febbraio 2000, n. 30.
Il Presidente relatore giudica conclusivamente il disegno di legge n. 1306
idoneo a mettere mano ad una riforma indispensabile per rendere il nostro
sistema scolastico attuale, valido e competitivo, senza per questo mettere
in secondo piano la nostra tradizione culturale, storica e sociale. A tal
fine, opportunamente esso considera l'individuo quale soggetto attivo del
complesso processo di strutturazione della personalità, prevedendo uno
sviluppo graduale e sequenziale delle capacità di apprendimento, ed afferma
inequivocabilmente il diritto di tutti allo studio, anche attraverso
l'innovativa attribuzione della piena dignità alla formazione professionale,
evitando la ghettizzazione di coloro che scelgono un percorso
anticipatamente pragmatico rispetto a quello squisitamente intellettuale.


Il Presidente relatore si sofferma quindi sul disegno di legge n. 1251, il
quale dispone da un lato l'abrogazione della legge n. 30 del 2000 di
riordino dei cicli dell'istruzione, ma dall'altro ne conferma l'impostazione
prospettando l'adozione di un sistema fondato su due cicli, primario e
secondario, rispettivamente di sette e cinque anni, il secondo dei quali
articolato nelle stesse aree previste dal testo elaborato dall'allora
ministro Berlinguer, e prefiggendosi dunque di abbassare l'età del diploma a
diciotto anni.
Per quanto concerne invece i punti in cui il provvedimento si discosta dalla
legge attualmente in vigore sui cicli scolastici, il presidente-relatore
segnala, all'articolo 1, l'espresso richiamo all'obiettivo di formare la
persona ai valori di cittadinanza europea e mondiale e l'estensione
dell'obbligo scolastico al diciottesimo anno d'età e, all'articolo 2,
relativo alla scuola dell'infanzia, l'esplicito riferimento a un piano
pluriennale di investimenti che consenta di estendere a tutto il territorio
nazionale la presenza di scuole dell'infanzia statali o comunali.
Le differenze riguardanti la scuola di base attengono l'introduzione del
concetto di pari dignità - nell'ambito dei nuovi mezzi espressivi da
apprendere - per ogni forma di linguaggio e di espressione artistica,
compresa la musica, e la soppressione dell'indicazione orientativa per la
successiva scelta dell'area e dell'indirizzo in sede di esame di Stato
conclusivo.
Due sono anche le innovazioni previste in tema di scuola secondaria, poiché
vengono meno sia le attività complementari e le iniziative formative da
realizzare - laddove sia richiesto - già al secondo anno del ciclo, sia
l'acquisizione di crediti a seguito della frequenza positiva di segmenti
della formazione professionale. In altri termini, la possibilità di
effettuare esperienze professionalizzanti esterne alla scuola viene limitata
all'ultimo triennio.
Vengono inoltre ampliati l'ambito di intervento del programma quinquennale
che dovrà essere presentato dal Governo al Parlamento e gli obiettivi da
realizzare usufruendo dei risparmi conseguenti alla riduzione di un anno del
percorso formativo. Sotto il primo profilo, il predetto programma dovrà
anche individuare i criteri per la generalizzazione dell'insegnamento della
musica nel ciclo di base e nel ciclo secondario, nonché per la formazione
della cittadinanza europea e mondiale. Dal punto di vista invece
dell'utilizzazione di maggiori somme eventualmente disponibili, oltre alla
istituzione di periodi sabbatici, il disegno di legge Cortiana propone
periodi di formazione e aggiornamento dei docenti anche all'estero, di
tutoraggio degli studenti che passano dalla scuola all'università o alla
formazione superiore e infine di supporto contrattualmente incentivato in
aree territoriali critiche di particolare marginalità sociale.
Del tutto innovativi rispetto alla legge n. 30 del 2000 sono poi l'articolo
5, afferente il raccordo della scuola con la realtà territoriale da
realizzarsi attraverso percorsi interdisciplinari dedicati alla conoscenza
del territorio di appartenenza, anche al fine di favorire l'esercizio
consapevole del diritto di cittadinanza attiva e di partecipazione
democratica a livello locale, e il comma 9 dell'articolo 7, che prevede, in
caso di inadempienza o inefficienza delle amministrazioni competenti
relativamente all'adeguamento infrastrutturale, l'intervento sostitutivo del
Governo mediante la nomina di commissari ad acta.

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