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Un colpo alla legalità
l'Unità - 25-06-2005
Uscire fuori dalla grazia di Dio. E dunque avere un collasso. O un infarto. O un'ischemia. O altro ancora. Insomma, come dice il popolo, "prendersi un fottone". È quello che è successo ieri mattina in Senato a Roberto Manzione, vicecapogruppo della Margherita. Il quale non ha avuto un generico malore in Aula, prima di essere portato in infermeria e poi in ospedale (auguri Roberto!).

Ma è uscito letteralmente dalla grazia di Dio, lui come altri, per quello che stava accadendo nella nostra cosiddetta Camera Alta. Per uno spettacolo che si ripete senza pudore da ormai quattro anni.

L'opposizione, dunque, stava facendo ostruzionismo su alcuni provvedimenti dall'inizio della giornata. La ragione? Da un lato intendeva rallentare fino alla fine il percorso della legge sull'ordinamento giudiziario, messa ieri in fondo all'ordine del giorno. Dall'altro voleva contestare l'ennesimo decreto-calderone varato dal governo. Un decreto sul quale l'ordine dalla Real Casa era "non fiatare". Tanto che a colpi di maggioranza si era deciso che ogni gruppo avesse a disposizione circa cinque (cinque) minuti in tutto tra discussione generale, presentazione degli emendamenti e dichiarazioni di voto. Da qui le ripetute richieste di verifica del numero legale. E da qui l'ennesima, indecorosa e impunita messinscena dei pianisti.
Costoro, in realtà, alla prima performance erano stati sfortunati. Il quorum non era stato raggiunto nonostante la loro indiscutibile buona volontà e le loro spericolate acrobazie. Poi però era andata meglio: il numero legale era stato raggiunto grazie alle luci che si accendevano miracolosamente nei posti vuoti. A volte protette da un giornale, altre riparate da un telefonino, altre perfino da un portafoglio, altre da un umano in piedi nella fila sotto. Sapienza della pianisti band.

Quanto alle richieste di fare controlli accurati rivolte al presidente Pera, quelle erano cadute nel vuoto, e perciò erano anche salite di tono. Il presidente però rimbrottava severo: tocca ai segretari d'aula fare le verifiche. E capitò appunto che, mentre dai banchi dell'opposizione si levavano grida di protesta per l'ennesima vergogna, proprio una segretaria d'aula indicasse luci truffaldine al presidente. Ma senza effetto. Al punto da denunciare al microfono (come mai è accaduto nella storia recente, ma forse nemmeno in quella antica, del parlamento) di avere riscontrato irregolarità nella votazione che il presidente aveva ignorato. Bastava far di conto: se nella votazione precedente il quorum era stato raggiunto per appena due voti, solo la truffa lo teneva in piedi. Tanto più che chi contava le presenze fisiche della maggioranza non riusciva mai ad arrivare a centodieci.

È stato a questo punto che Roberto Manzione ha protestato. Vivacemente, certo. Uscendo dal suo scranno e facendo un paio di passi nell'emiciclo, certo. Ma che altro bisogna fare se la legalità viene così palesemente calpestata nel luogo in cui si fanno le leggi? Che altro bisogna fare se la legalità viene tranquillamente violata sotto lo sguardo della seconda carica dello Stato?

Il presidente Pera ne ha tratto una conseguenza: che Manzione in pochi secondi dovesse essere richiamato una volta, due volte e infine espulso dall'aula. Ci pensino i commessi a portarlo fuori. Per averlo difeso dall'espulsione, in attesa di avere i tabulati che denunciassero le nostre ragioni (tra cui le "assenze con voto" di due capigruppo della maggioranza), il sottoscritto ha ricevuto da un esponente della maggioranza tutto ordine e legge una lapidaria minaccia. Il tempo di sentirla e decifrarla e Manzione, uscito in virtù dei fatti dalla grazia di Dio, era a terra con gli occhi sbarrati, la pancia che balzava in alto come uno stantuffo e le mani fredde. Paura, molta rabbia, pochi rinsavimenti.

Già, perché per capire il clima che si è ormai formato presso la Camera Alta è forse interessante sapere che cosa è stato detto soprattutto "dopo", in quei momenti che in un qualsiasi luogo civile avrebbero generato solidarietà e rispetto. Il ministro della Giustizia, piccato che potesse andarci di mezzo il suo provvedimento, ha subito dettato ai giornalisti che quella del senatore era "una sceneggiata", non potendo pensare, lui padano, che un salernitano (tale è Manzione) possa indignarsi fino a starne male per le pubbliche ingiustizie. Anzi, ha precisato che la sceneggiata era stata messa in onda proprio per intralciare la sua bella legge. Il capogruppo della Lega spiegava, invece, che non si possono interrompere i lavori solo perché uno non ha i "mezzi nervosi per poter reggere" alle tensioni del lavoro parlamentare (dal che bisognerebbe dedurre, con pari generosità umana, che Bossi non abbia il fisico per fare il leader politico...). Parlamentari della maggioranza irridevano ad alta voce, dopo formale applauso, alle condizioni di Manzione, nel momento in cui i medici ne stabilivano, preoccupati, il ricovero urgente al San Camillo.

E, naturalmente, come niente fosse accaduto per via della truffa sul numero legale, alle votazioni successive di nuovo riprendevano a votare gli assenti. Con serena impudenza. Senza il minimo senso di colpa. Senza sanzioni. Con protervia.
Una cosa però questo episodio la manda a dire anche alla minoranza. E qui occorre raccontare tutta la verità. Manzione era stato per tutto il giorno prima uno dei tre o quattro senatori che avevano retto l'opposizione parlamentare sull'ordinamento giudiziario. In quattro ci si è dati il turno a seguire l'ordine degli emendamenti, a chiedere il numero legale, a verificare che questo ci fosse a ogni votazione, a garantirsi che le proprie richieste fossero sostenute dai senatori del centrosinistra, a scegliere al volo gli emendamenti su cui intervenire, a prendere la parola sulle questioni di merito. A fare insomma un lavoro che dovrebbe essere organizzato su decine di persone. A farlo nell'interesse di tutto il paese e dei nostri elettori mentre i banchi dell'opposizione erano desolatamente vuoti. E quelle decine che non lo erano ospitavano, per una loro metà, solo telefonate e pensieri assenti. Ieri mattina sembrava ripetersi la stessa scena. Purtroppo tutt'altro che rara (ebbi già modo di denunciarla su queste pagine un paio d'anni fa) e ormai usuale in questo fine legislatura, in cui ogni tanto si finisce per sentirsi come dei liberi professionisti dell'opposizione.

Ecco, voglio dire, si esce dalla grazia di Dio perché si assiste da anni a cose che indignano (l'alternativa essendo una somma di cinismo e disincanto): ma anche perché ci si stanca oltre il tollerabile se la fatica dell'opposizione in parlamento si carica su una stretta minoranza di volonterosi. Forse l'Unione, oltre che incontrarsi per fissare ruoli, competenze, bandiere, programmi e stati maggiori, dovrebbe riunirsi almeno una volta per decidere come tenere alto l'onore in parlamento nell'ultimo anno di legislatura.

Nando Dalla Chiesa
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