Pierangelo - 21-06-2005 |
Riporto da Minimo Karma, il blog del collega Antonio Vigilante Il mondo c Dalle colonne del Corriere della Sera di ieri Francesco Alberoni si rivolge ai giovani per avvertirli che tutta questa tenerezza che i genitori e gli insegnanti mostrano nei loro confronti non è una cosa buona. E denuncia: “è la prima volta nella storia che una generazione arriva all’università senza aver incontrato fin da piccoli una serie progressiva di esami, senza aver imparato a concentrarsi, ad affrontare le sfide, a stringere i denti, a combattere e a resistere alle sconfitte e alle frustrazioni. È pericoloso.” È pericoloso, perché se non soffri non capisci nemmeno la sofferenza degli altri, se ogni tuo desiderio viene immediatamente soddisfatto alla fine non provi più desideri: una tragedia. Ed ecco gli esempi positivi di Alberoni: Bill Gates che costringe in figlio a lavorare per mantenersi agli studi e Giovannino Agnelli che girava con la Panda, mica con la Ferrari. Alberoni dice un sacco di sciocchezze, anche se si tratta delle sciocchezze che molti amano sentirsi dire. Dice schiocchezze, perché è semplicemente falso che oggi la vita sia per i ragazzi più semplice di un tempo. Questo sarà vero, forse, per qualche figlio di puttana della buona borghesia. Noi figli del proletariato meridionale ci facciamo un culo così oggi come ieri. Se Alberoni fosse un po’ più sociologo ed un po’ meno guru del capitalismo, parlerebbe della nuova emigrazione meridionale, di cui nessuno parla. Se Alberoni lo facesse un po’ meglio, il guru del capitalismo, capirebbe che alla fin fine va avanti non chi ha studiato per superare l’esame o il concorso, ma chi è riuscito a provare gioia per quello che studiava; non chi si è esercitato, ma chi si è divertito. In prima, quest’anno, abbiamo bocciato sette alunni. Sette su ventuno: un terzo della classe. E questo in un Liceo delle Scienze Sociali, vale a dire in una scuola che viene considerata più facile di altre. In terza abbiamo bocciato uno degli alunni più brillanti. Non aveva i numeri. F., una delle alunne bocciate in prima, mi interruppe un giorno che stavo spiegando Freud. Mi chiese a cosa serve conoscere Freud. Stando ad Alberoni, avrei dovuto spiegarle che non si tratta di Freud, che il caro Sigmund è solo uno strumento per prendere il diploma, e che il diploma serve per farsi strada nella vita; non senza qualche sofferenza, naturalmente. Non so se avrebbe funzionato, e questo perché F. vuole diventare parrucchiera, ed alle parrucchiere non è richiesta la conoscenza di Freud - non che non possa essere utile, certo. Non dubito, peraltro, che mi avrebbe fatto osservare che al suo paese, ma anche altrove, va avanti nella vita gente che non ha lauree né diplomi, che i più ricchi sono i più mafiosi, che i professori sono dei poveracci, mentre quel tale che non sa parlare nemmeno in italiano s’è comprato mezza città. A volte, quando sono in vena di metainsegnamento, disegno alla lavagna queste tre linee: La linea a indica il punto in cui sono i miei studenti: una specie di barbarie, a volte, per la quale i miei colleghi inventano espressioni squisite, come “soggetti non scolarizzati” o “materiale umano scadente”. La linea b indica la normalità, il solido mondo attuale. La freccia che va da a a b indica quello che potrei fare a scuola, e che in effetti faccio per una parte non trascurabile del tempo che passo a scuola: portare i barbari alla civiltà, scolarizzare, normalizzare, adeguare al mondo attuale. Sulla linea b potete figurarvi appollaiato e felice il signor Alberoni. La linea c è una forma di lusso pedagogico. Indica il mondo che non c’è e forse non ci sarà mai, ma dovrebbe esserci. Il mondo in cui la cultura non è uno strumento di competizione, ma la gioia di conoscere e creare, in cui il lavoro non è una maledizione, ma la costruzione comune di un mondo a misura di uomo, eccetera. Non vi sarà difficile capire che vuol dire quella linea che da a va a c, per poi tornare a b. Vuol dire: ecco, guardiamo un po’ insieme come dovrebbe essere il mondo, immaginiamo un’Italia in cui il signor Alberoni non scrive sul Corriere della sera, ma va a zappare la terra con i contadini o lavora alla Fiat con gli operai già bocciati dalla scuola pubblica italiana, e dopo questo lavoro di immaginazione torniamo alla realtà, apriamo il giornale, leggiamo le parole del signor Alberoni, e, valorizzando la nostra radice barbarica e non scolarizzata, troviamo per lui qualche aggettivo gentile. Antonio Vigilante |
ilaria ricciotti - 22-06-2005 |
Non sono affatto d'accordo con Alberoni. Gli studenti italiani affrontano a scuola ed in famiglia una serie di difficoltà ogni giorno e da soli. Forse le verifiche quotidiane a cui vengono sottoposti dall'insegnante non sono prove che suscitano ansia e apprensione? Il signor Alberoni faccia un sondaggio tra i giovani studenti delle scuole medie inferiori e superiori che sostengono gli esami, chieda ai loro genitori con quale stato d'animo affrontano questo tipo di verifica e poi ci riferisca! Per non parlare delle prove della vita di relazione che debbono affrontare in questo tipo di società, non certo creata da loro nè dai loro genitori o insegnanti, ma da coloro che la pilotano sia politicamente che economicamente e socialmente, e che si sta rivelando una società sempre più superficiale, consumistica, dell'apparire, egoista, qualunquista e senza valori. In un contesto come questo il signor Alberoni cosa consiglierebbe a mamma e papà, agli insegnanti e agli studenti per non soccombere? Per essere ogni giorno sempre più forti al punto da contrastare questa corrente che sta trascinando un po' tutti alla deriva, compresi noi adulti vaccinati ed abituati sia a soffrire che a lottare? |