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Tutte le bugie sull'ultimo viaggio di Enzo
Pino Scaccia - 14-06-2005
L'ultimo viaggio di Baldoni: tutte le bugie

[18 agosto] Quando e' buio da un pezzo passo almeno due ore al telefono con Enzo. Discutiamo. Discutiamo del viaggio a Najaf e di Beppe De Santis, il capo missione della croce rossa. Discutiamo anche di Ghareeb, il suo autista. C'e' qualcosa che non mi quadra. (...)Ci diamo appuntamento all'alba sotto il "Palestine", per me sarebbe un suicido andare all'ospedale. E' Enzo a convincere De Santis, che non vuole. Sento al telefono una battuta: "Ma il tuo amico Scelli non ti ha avvertito che andiamo a Najaf?" No, non mi ha avvertito. Anche perche' non lo sapeva: e non voleva.

[19 agosto] - Al mattino ci sentiamo con Enzo molte volte. Lo chiamo ogni dieci minuti. La partenza della colonna dall'ospedale avviene in nettissimo ritardo. "Quegli amici che ci devono accompagnare - mi spiega Enzo - non sono ancora arrivati, non riescono a uscire da Sadr city". Almeno so che andiamo con amici di al Sadr, e' un sollievo. (...) Una mina sulla strada, come ce ne sono in tutte le strade dell'Iraq. Un boato. Il nostro convoglio e' colpito. Abbiamo fatto appena quaranta chilometri. (...)Si decide comunque di andare avanti, verso Najaf. Onestamente io non sono d'accordo, ma sono l'unico. (...) All'ingresso di Najaf c'e' un grande cartellone con la faccia del padre di Moqtada al Sadr, ci sono anche i miliziani, incappucciati, a controllare gli ingressi. (...)Poi, improvvisamente l'inferno. Restiamo per un paio d'ore rintanati, praticamente prigionieri, ma in qualche modo protetti in una stradina della citta' vecchia, a duecento metri dal mausoleo. (...) Io telefono al tg e devo urlare per coprire il rumore degli spari. De Santis chiama Roma con il satellitare. C'e' Fabrizio Centofanti, il portavoce di Scelli, al telefono, amico di vecchia data. Me lo passa. Mi insulta: "Ma che cavolo state a fare li'? Non dovevate andare, tornate subito indietro". E io a spiegargli che mica dipende da me. Poi, finalmente riusciamo a liberarci dall'assedio. Enzo e' bravissimo e coraggioso: cammina a piedi davanti la colonna delle auto con una bandiera bianca e il pettorale della croce rossa. Fa da battistrada. Prima di far passare il convoglio si fa riconoscere, e' molto cauto ad ogni incrocio, il nervosismo e' tanto e quei carri armati si girano minacciosamente. Usciamo con qualche patema da Najaf, torniamo una decina di chilometri indietro e ci rifugiamo a Kufa, nella moschea. Non e' un posto qualsiasi: e' la residenza di al Sadr che gli americani hanno gia' piu' volte attaccato facendo molti morti. (...) Chiedo a Enzo le intenzioni della Croce rossa. E lui non ha dubbi, ha gia' parlato con De Santis: "Noi restiamo qui per la notte, torniamo domani". Allora decido di partire (...) Torna De Santis e mi fa:"Al Sadr vuole darci una lettera per il Papa. Devo aspettare domattina". Gli consiglio di chiamare Roma. Lo fa. Ancora Centofanti urla al telefono di tornare via di corsa. Me lo passa anche stavolta. Mi ribadisce la decisione di Scelli: "Maurizio non vuole sentire ragioni. Digli di tornare a Baghdad". De Santis sta li' davanti e gli giro l'ordine. Risponde: "Andremo via quando le condizioni di sicurezza lo permetteranno". Io non la penso come lui e mi sento piu' sicuro lontano da li'. L'auto e' trovata: e' la stessa che ha fatto da apripista nel viaggio d'andata. Quell'auto bianca. Enzo allora mi saluta, mi abbraccia. (...)

[22 agosto] Intanto, arriva una risposta. Quella ragazza che ho scoperto dentro l'ambulanza dopo la bomba e che a Kufa scaricava materiale e' una volontaria gallese amica di Ghareeb, si chiama Helen Williams. Anche lei ha un blog e racconta finalmente cos'e' successo nel drammatico viaggio di ritorno. "...poi è successo, proprio cinque chilometri prima rispetto a dove eravamo stati attaccati il giorno prima, che siamo stati attaccati ancora. Questa volta ho visto. (...) L'autista dell'auto bianca ci sorpassa, ferito al volto e ci urla di andare avanti'' Helen scrive ancora che quando sono arrivati a Baghdad ha chiesto notizie agli italiani della croce rossa: ma cos'e' successo poi a quella macchina? Ma loro gli hanno risposto bruscamente: "fatti gli affari tuoi". Ed anzi, l'hanno lasciata prima del check-point dell'ospedale, non l'hanno fatta entrare. Evidentemente nessuno aveva capito che si trattava di una testimone importante. Un errore grave perche' quella testimone ha completamente smentito i due rapporti ufficiali redatti dal capo missione. Il primo, falso, diceva che dopo l'attacco a Malmudyia la colonna della croce rossa e la Rai (cioe' noi) erano tornati indietro, solo Baldoni aveva proseguito con Ghareeb per Najaf. Una bugia colossale che aveva messo fuori strada tutti i giornali che ne avevano accreditato la versione, troppo frettolosamente, forse anche per risarcirsi dell'assenza in quello che era diventato un evento. Una bugia oltretutto inutile, un rapporto stupidamente falso perche' c'erano i documenti: quelle immagini fotografiche e televisive che dimostravano che a Najaf (e Kufa) ci eravamo andati tutti insieme, altro che Baldoni da solo. Poi l'altra bugia, piu' grave: nel secondo rapporto non c'era traccia del secondo "incidente". Una maniera di scaricarsi responsabilita' dopo aver trasgredito gli ordini di Roma.

Dal blog di Pino Scaccia

La ricostruzione di Fuoriregistro

Forse ritrovate e restituite alla famiglia le spoglie mortali di Enzo. Da l'Unità

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 da Megachip    - 14-06-2005
Iraq: “Abbiamo un lavoro da finire”

“I soldati americani ripetono di questi tempi una frase che mi fa venire i brividi addosso: abbiamo un lavoro da finire. E’ per questo che non vogliono più giornalisti in giro per l’Iraq”. Così diceva l’altra sera a Firenze il collega del Tg1 Pino Scaccia che abbiamo chiamato per presentare il suo splendido documentario sui reporter uccisi, il primo documento italiano di questo genere. C’è la guerra, questa sporca guerra in Iraq che già ucciso sessantacinque colleghi. Ci sono i morti per “fuoco amico” e quelli per mano di quei misteriosi tagliatori di gole che tengono ancora prigionieri Florence Aubenas, il suo collaboratore Hussein e i tre colleghi rumeni.

Una guerra “senza testimoni” sia nella prima fase puramente militare, dominata, ricorderete, da impenetrabili tempeste di sabbia, sia in questa seconda e più tragica dove i giornalisti sono stati di fatto espulsi da una oggettiva sinergia tra il malcelato fastidio dell’alleanza militare e l’aperta ostilità del fronte dei ribelli. Non sappiamo di Falluja, delle condizioni della società irachena, il numero dei civili uccisi. Non sappiamo cosa faccia il contingente italiano a Nassirya.

Ci dicono che è un contingente di pace, ma ci giungono notizie di conflitti a fuoco, di feriti. I nostri chiedono armamenti sempre più pesanti. Come potrà l’opinione pubblica italiana giudicare l’operato del nostro contingente e del nostro governo in Iraq? Lo farà solo su basi “ideologiche”, non avendo a disposizione quei dati di fatto che solo il lavoro (certo discutibile ma non eliminabile) dei cronisti può fornire.

Come si vede, la rimozione dei testimoni, degli inviati dallo scenario di un evento così importante, mette in discussione lo stesso principio di cittadinanza che sta alla base delle nostre democrazie. E i nostri colleghi protestano. Nonostante quella angosciante scia di sangue che ha travolto la nostra categoria, contestano la scelta di molti governi europei di lasciarli a casa, a guardare la guerra da lontano, scavando sulle agenzie e sui siti dei bloggers (sempre più importanti nell’attuale sistema dell’ informazione).

A rischio della vita vorrebbero ripartire, andare là in prima linea per vedere, registrare e raccontare.

Sono pazzi? Vi daranno una risposta semplice e disarmante , quella antica di sempre .” Forse sì, ma questo è il nostro lavoro”. L’hanno detto in coro tutti, dal “vecchio” Ettore Mo, a Porzio, Nicastro e Scaglione alla presentazione del rapporto annuale di Reporters Sans Frontiers organizzato dall’amico Mimmo Candito a Milano e al quale abbiamo partecipato anche noi di Isf per lanciare un segnale forte di unità della categoria. Già, perché la situazione è grave e non c’è più spazio per divisioni .

Negli ultimo quindici anni nel mondo sono stati uccisi millecinquecento giornalisti e non solo sugli scenari di guerra. Si muore per una notizia in Colombia, nella ex Federazione Russa di Putin, in Cina, nelle Filippine, in Messico, ad Haiti, a Cuba, in tutta l’Africa, in Iran… E noi lo sappiamo bene. E’ una lezione che comincia con Di Mauro, passa per Siani, Restagno e arriva fino ad Antonio Russo e Ilaria Alpi.

Ma l’omicidio del giornalista è solo l’ultimo grado di una strategia che ha mille altri passaggi precedenti, meno cruenti, meno visibili, ma non meno pesanti. In occasione di questo 3 Maggio ISF ha presentato in libreria e diffonderà in tutta italia il libro di Roberto Reale "Ultime Notizie". Roberto ha condotto per noi un’indagine imponente su centinaia di documenti inediti nel nostro Paese sui media negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Il risultato della sua fine analisi lancia un allarme rosso sulla professione.

Proprio nei Paesi di cultura anglosassone dove è nata la cultura e la pratica del giornalismo indipendente e dove abbiamo tutti imparato che il Quarto Potere era in grado di sorvegliare e anche condannare il potere politico quando usciva dalle regole democratiche, la situazione si è di fatto ribaltata. Persino i mostri sacri del giornalismo usa, gli stessi che all’epoca del Vietnam o del Watergate aveva messo al tappeto le bugie di Stato, stavolta o hanno taciuto oppure, se hanno provato a reagire, sono stati messi alla porta.

La riposta ? I media hanno rinunciato al proprio ruolo di garanti, alla rappresentanza dell’opinione pubblica. Il gigantismo finanziario dei grandi editori li ha risucchiati negli anni passati all’interno di quel gotha sociale dove convivono con i potenti della politica, anche loro sempre più “finanziarizzati”. Si è cominciato a censurare imbarazzanti denunce su operazioni immobiliari e finanziarie e si è finito col coprire le bugie sull’11 settembre e la guerra in Irak, cancellare le bare dei soldati morti, le proteste dei familiari, lo “sporco lavoro” ancora da finire.

In Gran Bretagna il laburista Blair ha massacrato la BBC colpevole di aver fatto il proprio dovere denunciando le mistificazioni sulle armi di distruzione di massa irakene. Un documento del Pentagono pubblicato da Reale, ma anche l’acuta saggezza di Mimmo Candito , l’esperienza del “vecchio” Mo e la nostra coscienza, ci fa ormai intravedere un futuro prossimo “senza giornalisti”. Lo stanno costruendo pezzo a pezzo le nuove derive tecnologiche, le nuove guerre “atipiche”, la progressiva concentrazione sopranazionale delle proprietà mediatiche ma anche il nuovo assetto delle nostre democrazie sempre più “plebiscitarie”, leaderistiche e sostanzialmente “autoritarie”. Infine, lo fanno intravedere, la debolezza dimostrata dal mondo del giornalismo rispetto all’assalto sempre più pesante del potere economico e di quello politico.

Se il Quarto Potere è sconfitto in Usa, là dove era nato e divenuto potente, cosa avverrà da noi, dov’era sempre rimasto zoppicante o in Paesi che si affacciano oggi ai principi del liberalismo? Se il giornalismo espelle, come ha già fatto e continua a fare, la società , i soggetti sociali, dalla rappresentazione mediatica, se abdica all’inchiesta sociale e rinuncia quindi alla propria terzietà rispetto al potere, perde anche ogni contrattualità il proprio peso reale.

Raccontare una realtà fatta solo di potenti ( politici, finanzieri, presunti intellettuali) e di poveri criminalizzati ( o vittime o carnefici) riducendo la società ai risultati di qualche sondaggio non è cedere a un peccato mortale che avvicina il giornalismo a un ufficio stampa? E’ questa l’amara lezione di questo 3 maggio.

L’ha chiarita qualche tempo fa Bruce Springsteen in un’intervista alla rivista Rolling Stones: “ La stampa ci ha tradito . I media hanno abbandonato il Paese”. Ora il Boss porta in tournée il suo ultimo disco. “ Ma che fai se quello che fai per sopravvivere / uccide le cose che ami / la paura è potente/ ti rende il cuore nero, credimi/ prenderà la tua anima piena di Dio / e la riempirà di diavoli e polvere”.

"Diavoli e polvere", già... Nella sporca guerra in Iraq, ma anche nel grigiore del nostro lavoro di tutti i giorni.

Stefano Marcelli (*Segretario generale di "Informazione Senza Frontiere")

Megachip

 Pino Scaccia    - 15-06-2005
I resti recuperati in Iraq non sono di Enzo Baldoni

L’ultima beffa I test del Dna effettuati finora hanno dato esito negativo. A questo punto l'unico risultato è che i resti umani portati da Maurizio Scelli nei giorni scorsi all'attenzione degli inquirenti della procura di Roma non appartengono a Enzo Baldoni, il giornalista ucciso il 26 agosto del 2004. Le analisi avrebbero escluso la compatibilità del codice genetico tra Enzo e suo padre. Il risultato, secondo indiscrezioni, era già noto da ieri, ma era rimasto non confermato a causa di ulteriori riscontri che sarebbero stati effettuati su altri resti giunti all'attenzione degli investigatori nelle ultime ore.

Un’operazione non facile anche perche’ i due frammenti di ossa sono in stato di cattiva conservazione. Le analisi non sono comunque terminate. "Pensavamo di essere riusciti a farla finita, e invece pare di no...": sono le prime parole di Antonio Baldoni alla notizia. "Proseguiremo comunque la battaglia – ha detto il padre di Enzo - per riavere il corpo di nostro figlio”.

Allora non sono di Enzo i resti, anche se ancora c’e’ una piccola speranza. Sono invece di Santoro gli altri. A questo punto, visto che ovviamente Scelli ha agito convinto di essere riuscito finalmente nell’impresa di recuperare il corpo di Baldoni altrimenti non avrebbe mai azzardato una mossa che poteva rivelarsi controproducente, le ipotesi sono due. O gli irakeni che hanno consegnato quei reperti si sono sbagliati (si tratta di due italiani) oppure hanno rifilato l’ennesima fregatura. Questo, in un caso o nell’altro, e’ drammaticamente l’Iraq.

Ha ancora diversi punti oscuri la vicenda di Salvatore Santoro, ucciso in Iraq il 16 dicembre scorso, a cui appartengono i resti secondo le analisi dai carabinieri del Ris. Santoro, nato a Napoli il 10 gennaio 1952, risiedeva da anni (fino al 2003) in Gran Bretagna. In Iraq, aveva un passaporto italiano. Secondo le ricostruzioni, Santoro sarebbe stato ucciso a un posto di blocco di insorti iracheni nei pressi di Ramadi ,in territorio sannita, dopo che avrebbe cercato di superarlo senza fermarsi e avrebbe investito un miliziano. L' uomo sarebbe stato catturato e poi ucciso.




Pino Scaccia



 dal blog di Pino Scaccia    - 17-06-2005
"Accadono cose che e' difficile comprendere: non ho mai capito perche' Enzo Baldoni fu ucciso ". Cosi' il direttore del Sismi Nicolo' Pollari, parla del giornalista italiano ucciso in Iraq. L'occasione e' la presentazione del libro "La nuova guerra mondiale" di Antonio e Gianni Cipriani, dedicato al terrorismo. Pollari racconta anche un episodio curioso: durante la trattativa per ottenere la liberta' di alcuni sequestrati un funzionario del Sismi e un rappresentatne del governo vennero presi in ostaggio per alcune ore. Pollari, pero', non ha voluto fornire dettagli sulla figura del rappresentante del governo.

Mai saputo che un rappresentante del governo italiano fosse andato in Iraq per trattare. Ricordo che ministri e sottosegretari si sono fermati ad Amman o a Kuwait city. A meno che non si tratti dell’ambasciatore a Baghdad. In ogni modo, se neppure il Sismi ha capito perche’ Baldoni e’ stato ucciso siamo proprio messi male: la verita’ non la sapremo mai.

Pino Scaccia