Le gabbie salariali prossime venture.
Redazione - 04-06-2005
A volte il peggio ritorna. Erano state spazzate via dall'onda lunga del '68 insieme a mille altre forme di discriminazione sociale (una su tutte: quella sessuale). Ora se ne parla senza pudore e (presto?) diventeranno una realtà. Grazie alla ... concertazione.

Lo dice a ItaliaOggi il primo giugno Guido Fantoni, presidente dell'Aran, l'agenzia per la contrattazione nel p.i. : "Sì a salari differenziati per gli statali".

Attacchi ingiustificati, il modello del '93 deve essere rivisto

I salari dei dipendenti pubblici non crescono più delle retribuzioni dei privati. Gli attacchi ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego, anche quelli che arrivano da Bankitalia, "sono ingiustificati. Ma il modello contrattuale del '93 va cambiato lo stesso, per incentivare il livello decentrato. E dunque per differenziare i salari sul territorio". Non parla di gabbie salariali Guido Fantoni, presidente dell'Aran, l'agenzia governativa per la contrattazione nel pubblico impiego, a cui nei prossimi giorni dovrebbero arrivare le prime direttive per rinnovare i contratti dei circa 3,4 milioni di lavoratori della p.a. Fantoni invita però a non aver paura del concetto, "perché nella sostanza esistono già in alcuni comparti, come gli enti locali e la sanità, e non è detto che sia peggio".

Domanda. Il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, nella sua relazione ha parlato di aumenti nel pubblico impiego che sono stati, negli ultimi dieci anni, più alti di quelli del privato e soprattutto dell'inflazione, con una crescita sostanziosa nell'ultimo quadriennio. Un attacco, insomma, ai contratti che avete fatto sotto il governo Berlusconi.
Risposta. È la solita storia della media del pollo. Gli aumenti incriminati ricomprendono anche comparti per i quali non vige la contrattazione presso l'Aran, come la carriera diplomatica e prefettizia. Se guardiamo invece ai dipendenti contrattualizzati le cose stanno in modo diverso. Dal 2001 al 2004, le retribuzioni nella p.a. sono salite del 6,1% contro l'8,9% delle industrie e un tasso di inflazione effettivo che è stato del 5,2%. E poi c'è il discorso del secondo livello.

D. Ossia?
R. I livelli contrattuali sono due, quello nazionale e quello decentrato. Per i dipendenti delle amministrazioni centrali il secondo livello è finanziato dallo stato, e dunque è sotto controllo. Per questi, non ci sono stati sforamenti. Per gli altri, per esempio i lavoratori di enti locali e sanità, conta molto quanto le singole amministrazioni sono in grado di stanziare.

D. E dunque in questo caso gli aumenti di fatto possono essere più consistenti anche del privato?
R. È proprio così. Su questi contratti non c'è controllo.

D. Il governo ha scritto ai sindacati per aprire una trattativa anche sulla contrattazione integrativa per frenare il proliferare della spesa.
R. Il problema più che sindacati è di regioni e autonomie locali, sono loro che dovranno fare un passo indietro.

D. Il ministro della funzione pubblica Baccini ha annunciato che domani il consiglio dei ministri approverà le direttive per scuola, ministeri e aziende autonome. Siete pronti ad avviare le trattative?
R. Siamo sempre pronti.

D. I sindacati sperano in una rapida chiusura.
R. Nel momento in cui ci arriva l'atto di indirizzo convocheremo subito le sigle sindacali rappresentative. Poi bisognerà vedere i problemi che si presenteranno al tavolo. Ne spuntano sempre, anche quando sulla carta è tutto liscio.

D. Questa volta non si tratta solo di distribuire il 5,01% di aumento per il 2004/05. Ma anche di stabilire la quota per premiare il merito.
R. L'intesa di palazzo Chigi prevede un aumento non inferiore allo 0,5% per la produttività. Con i sindacati decideremo il come, a seconda dei settori. La scuola, per esempio, ha la sua specificità e lì premiare il merito sarà molto più difficile, se non impossibile per questo contratto.

D. Da più parti si torna a chiedere una modifica dell'accordo del '93 sulle dinamiche salariali e contrattuali.
R. L'attuale procedimento per il rinnovo contrattuale è barocco, lungo e incerto. Da tempo chiediamo interventi di razionalizzazione e snellimento delle procedure. L'accordo del '93, inoltre, è stato molto utile quando c'era da tenere sotto controllo la spinta inflazionistica dei salari. Ora il problema non è più questo.

D. Quale allora?
R. Le dinamiche salariali devono essere sviluppate utilizzando i due livelli contrattuali, quello nazionale e quello decentrato, per tenere sotto controllo la spesa pubblica e al tempo stesso tutelare i salari dei dipendenti pubblici contro l'inflazione.

D. Cosa significa?
R. Significa che mentre il livello nazionale dovrà garantire a tutti livelli standard di diritti e di retribuzione, il livello decentrato potrà prevedere condizioni aggiuntive e diverse.

D. Queste, dal punto di vista economico, si chiamano gabbie salariali.
R. Nei comparti gestiti dal regioni e autonomie locali gli stipendi sono già diversi, a parità di funzione e di anzianità di servizio. Per esempio, in un comune del Nord, più ricco di uno del Sud, i dipendenti guadagnano di più, proprio con la contrattazione decentrata. Non bisogna avere paura delle parole.
interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Filippo    - 04-06-2005
Il commento-premessa della redazione è fuorviante.
In nessun punto dell'articolo si parla di "concertazione".
Se mai della contrattazione integrativa, che è tutt'altra cosa.
Inoltre questa è solo l'opinione di un rappresentante dell'ARAN.
Su Italia Oggi si trova una risposta del sottosegretario alla funzione pubblica, che riporto di seguito, non perchè sia condivisibile ma per completezza di informazione" e che dice esattamente il contrario.
Per cui dire che le gabbie salariali "diventeranno una realtà. Grazie alla ... concertazione" è quanto meno una forzatura della realtà.
Si ha l'impressione che ogni cosa debba venire usata a fini polemici e ideologici.

Learco Saporito, sottosegretario alla funzione pubblica, risponde a Guido Fantoni dell'Aran.

Statali, gabbie salariali improponibili

Va ampliata la durata dei contratti. All'Agenzia un ruolo tecnico

Niente gabbie salariali nel pubblico impiego, ´sono contrarie al principio di coesione sociale che ci impone l'Unione europea'. Sì invece a una revisione del modello contrattuale, che preveda un recupero dell'inflazione effettiva e non più di quella programmata. Ma la durata dei contratti economici, in cambio, dovrebbe passare dai due ai tre anni. E il governo potrebbe trattare direttamente con i sindacati, lasciando in un angolo l'Aran.
Sono le linee guida sulle quali si sta muovendo la funzione pubblica in vista del rinnovo dei contratti dei circa 3,5 milioni di dipendenti pubblici. In vista del prossimo consiglio dei ministri che dovrebbe licenziare le prime tre direttive per il contratto di ministeriali, scuola, aziende autonome, Learco Saporito, sottosegretario alla funzione pubblica, risponde a quanti, compreso Guido Fantoni, il presidente dell'Agenzia governativa competente a rappresentare il governo nella trattativa con i sindacati (si veda ItaliaOggi di ieri), aprivano a salari differenziati sul territorio.

Domanda. Anche nel governo si è tornati a parlare di gabbie salariali.

Risposta. Spesso molti dimenticano che stare in Europa impone vincoli non solo al bilancio. La coesione sociale, per esempio, è un principio che non possiamo permetterci di violare. Dare salari diversi a dipendenti dello stesso settore ma che lavorano in città diverse è inconciliabile con l'essere membri dell'Unione europea.

D. Eppure ci sono dipendenti che già oggi, soprattutto negli enti locali, non hanno lo stesso trattamento.

R. Questo attiene all'autonomia negoziale che gli enti hanno a livello decentrato. Ma le regole nazionali devono essere uguali per tutti e anche per le autonomie dovrebbe valere lo stesso principio europeo. È un fronte sul quale dovremo intervenire.

D. Quali altri modifiche apporterete all'accordo del '93?

R. Innanzitutto rivedendo l'iter contrattuale, che è troppo lungo e farraginoso. Ci vogliono procedure più snelle, con pochi organismi che hanno voce in capitolo. Per esempio, non si capisce perché lo stesso tavolo necessario a fare l'accordo politico con i sindacati non possa essere utilizzato anche per attuare quell'intesa politica e tradurla in un articolato.

D. Questo significherebbe tornare a una contrattazione sindacati/governo e abolire l'Aran.

R. L'Aran è una struttura che ci costa circa 15 milioni di euro l'anno e che non si capisce bene che ruolo abbia. Anche perché a ogni intoppo, sono di nuovo i ministri a dover reintervenire. Credo che una trattativa con un pool di ministri, competenti per i singoli comparti possa essere molto più efficiente, con l'agenzia che torna a svolgere la sua funzione di supporto tecnico.

D. I sindacati chiedono da tempo di rinnovare i contratti alla luce di tassi di inflazione non più programmati, ma effettivi o comunque più vicini a quelli reali.

R. È una richiesta fondata, soprattutto se pensiamo di allungare la durata delle intese economiche. È possibile portarla da due a tre anni solo se i tassi di inflazione sono assimilabili a quelli reali. Non si possono tenere a stecchetto i lavoratori per tre anni.

D. Quale dovrebbe essere la ripartizione di competenza tra contratto nazionale e decentrato?

R. Garanzie uguali per tutti con il nazionale, produttività attribuita al decentrato. Con il contratto nazionale dovremo però fissare parametri efficaci di valutazione del merito, che consentano in base a una vera maggiore produttività del dipendente e dell'unità lavorativa di guadagnare a ragione più di altri. Finora, invece, i finanziamenti per la produttività sono stati utilizzati per progressioni verticali.

D. C'è timore tra i lavoratori anche per l'annunciata sterzata alla mobilità.

R. Timori infondati. A fronte del blocco delle assunzioni, l'amministrazione ha la necessità di utilizzare al meglio il personale spostando gli esuberi lì dove c'è carenza. Ma lo faremo solo con regole concordate con i sindacati. E comunque non ci saranno mai trasferimenti coercitivi o punitivi.

 Redazione    - 04-06-2005
Che il modello contrattuale sia allo studio non è un mistero per nessuno. E neppure che tra Governo e parti sociali si stabiliscano preintese ed accordi.
Ognuno ha le sue motivazioni ed i suoi punti di vista, come accadeva già più di un anno fa a proposito del contratto artigiano. Per quanto ci riguarda non abbiamo fini polemici od ideologici, solo la voglia di capire. Ringraziamo quindi per la segnalazione, che dà possibilità al dibattito di continuare.

 da Cgilscuola news    - 04-06-2005
Un buon accordo che sblocca i contratti nel pubblico impiego

Nella notte di venerdì 27 maggio è stato siglato l’accordo per il rinnovo dei contratti pubblici che prevede aumenti contrattuali medi del 5,01%. Per la FLC significa affrontare il biennio economico di Accademie e Conservatori, Scuola, dirigenti, Università; ed anche per la Ricerca e l’ Enea, i cui contratti sono scaduti da 40 mesi, c’è l’impegno ad accelerare la conclusione del contratto quadriennale. In termini generali l’incremento del 5,01% per il biennio economico 2004-2005 corrisponde ad incrementi retributivi a regime (cioè alla completa attuazione del contratto) di 99 euro mensili, considerando la media fra tutti i comparti contrattualizzati. Si, perché il governo, per una lunga fase della trattativa, considerava gli stanziamenti anche per i lavoratori non contrattualizzati. Fatta questa chiarezza per la scuola gli importi medi sono di 104 euro mensili, mentre per l'Università, la Ricerca e l'Afam gli importi saranno proporzionalmente più elevati. In ogni caso gli arretrati devono decorrere dal 1 gennaio 2004. Le organizzazioni sindacali svolgeranno le assemblee di consultazione dei lavoratori su quello che hanno giudicato, in questo contesto, un buon accordo, rispettoso dei conti pubblici ma assai attento alla implacabile erosione dei salari dei lavoratori. Un accordo che ha fatto anche giustizia delle tante bugie sparse in questi mesi, dalla consistenza delle risorse inserite nelle leggi finanziarie alle responsabilità dei lavoratori che, andando tre giorni in vacanza, fanno crollare il PIL, per non parlare delle signore che non sanno far la spesa. Un accordo cui si è giunti con tante mobilitazioni e scioperi, cui ha contribuito la determinazione e la responsabilità delle confederazioni sindacali. Un accordo che deve riconoscere il valore del lavoro pubblico, finora considerato solo uno spreco da un governo che si è prodigato finora, nei nostri settori, solo con i tagli.

 Giuseppe Aragno    - 04-06-2005
Caro Filppo,
solo per essere precisi. Leggi, per favore, quanto afferma Maroni su La Padania del 29 maggio 2005.

Finalmente le gabbie salariali
Maroni: «Sì ad un rinnovo costoso sulla P.a. per ottenere meritocrazia, mobilità e salari differenziati»

Igor Iezzi

«Costoso»: così il ministro del Welfare, il leghista Roberto Maroni, ha definito l’accordo raggiunto l’altra sera tra governo e parti sociali per il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Ma le contropartite ricevute hanno spinto la Lega Nord a dare il proprio consenso: entra finalmente la meritocrazia nella pubblica amministrazione, verrà introdotta la mobilità per il personale e si procederà a riformare il modello contrattuale, prevedendo anche le gabbie salariali. «E’ costoso, - ha ammesso Maroni, riferendosi all’accordo raggiunto - noi avremmo preferito mantenerci nel limite della legge finanziaria».
Ministro, si riferisce alla famosa soglia dei 95 euro?
«Esattamente. Qui si parla di 100 euro per i ministeriali e qualcosa in più per gli altri. Però abbiamo detto sì per due motivi. Primo: le contropartite ottenute nell’ambito del contratto. Secondo: Berlusconi ci ha garantito che gli aumenti contrattuali non assorbiranno le risorse per ridurre l’Irap alle imprese e il costo del lavoro alle pmi».
Come aveva richiesto la segreteria politica della Lega?
«Sì, e ci è stato confermato dal Presidente del Consiglio. Quindi, alla fine, abbiamo dato l’ok avendo queste garanzie e queste contropartite, tre in particolare».
Quali?
«Si introduce per la prima volta nella P.a. il concetto di meritocrazia. Questo è il superamento di un vecchio tabù, d’ora in avanti sarà consentito premiare, incentivare, motivare chi vale, chi se lo merita, come avviene normalmente nel privato. Questo sarà una forte spinta per rendere più efficiente la P.a.».
Lei parla dello 0,5% destinato “alla incentivazione della produttività dei dipendenti” che verrà dato ai meritevoli?
«Questa è la prospettiva. L’accordo prevede almeno lo 0,5%».
La seconda contropartita quale sarebbe?
«Con il blocco del turn over prevediamo che entro il 2007 ci sia una diminuzione di almeno 60mila unità nel pubblico impiego».
Ma funziona o viene vanificato dalle eccezioni, sempre presenti nel nostro Paese?
«Funziona solo parzialmente. Noi lo abbiamo messo subito nella finanziaria del 2002, ma poi le eccezioni sono state eccessive: in alcuni casi giuste, come per esempio per le forze di polizie, in altri casi immotivate. Il nostro obiettivo è stato in parte mancato perché mancava un sistema di mobilità, che impediva di spostare un dipendente da un ufficio ad un altro. Questa rigidità incredibile ha di fatto reso meno efficace il blocco del turn over. Per poter evitare che si siano uffici scoperti nelle regioni del Nord e uffici in esubero di personale nelle regioni del Sud abbiamo introdotto il meccanismo della mobilità».
La mobilità metterebbe fine ai trasferimenti ingiustificati?
«Certo, ci consentirà di evitare che un pubblico dipendente venga in un ufficio del Nord e un mese dopo lo lascia scoperto: parlo, per esempio, delle poste».
La terza contropartita qual è?
«L’impegno dei sindacati, con l’esclusione della Cgil, a rivedere le regole sul modello contrattuale. Questa è una cosa importante perché significherebbe riformare il modo di arrivare al rinnovo della parte economica, attualmente ogni due anni, e di quella normativa, ogni 4, che obbligano a rincorse faticose per adeguare i contratti».
Stiamo parlando del patto del luglio ’93 voluto dall’allora presidente del Consiglio Ciampi?
«Infatti, sia per il pubblico che per il privato. Anche questo è sempre stato un tabù che la Confindustria ha cercato di superare lo scorso anno prendendosi subito pesci in faccia da parte della Cgil. Noi abbiamo raccolto la disponibilità di alcuni sindacati a rivedere il modello contrattuale.
All’appello manca la Cgil, ma ci interessano gli altri».
Su questo ci sono stati forti scontri tra Cgil da una parte e Cisl e Uil dall’altra.
«Appunto. Nuovo modello contrattuale vuol dire, ed è questa la novità importante che alla fine ci ha fatto dire sì ad un rinnovo costoso, tenere conto delle differenze territoriali. Verrà applicata una raccomandazione dell’Ocse secondo la quale nel pubblico impiego bisogna tenere conto delle differenze regionali in termini di produttività e di costo della vita. La strada ovviamente è ancora lunga ma è significativo che ci sia la disponibilità a rivedere un sistema, quale quello di oggi, che dà aumenti indistinti per tutti e quindi crea un’ingiustizia. Se il costo della vita è più alto al Nord piuttosto che al Sud, dare a tutti lo stesso aumento significa penalizzare chi lavora da noi e favorire chi lavora in altre regioni».
Il discorso delle gabbie salariali, che lei chiama in altro modo...
«Che io continuo a chiamare così. Come sempre quando la Lega parla chiaro e dice pane al pane e vino al vino tutti si stracciano le vesti salvo poi arrivare a dire le stesse cose. Quando abbiamo parlato di federalismo, quando parliamo di dazi e di gabbie salariali, e lo facciamo dal ’92, sono tutti pronti a darci addosso perchè usiamo termini politicamente scorretti salvo poi riconoscere, come ha fatto autorevolmente l’Ocse, che abbiamo ragione. Chiamiamola fiscalità di vantaggio, chiamiamola territorializzazione, nuovo modello contrattuale ma di fatto sono le gabbie salariali».
Il concetto è lo stesso.

«Noi abbiamo l’intima soddisfazione di aver detto anni fa le cose giuste anche se adesso chi allora fu miope le chiama in un altro modo».
Su tutto ciò, però, dovrà iniziare adesso una trattativa con le parti sociali?
«Inizieremo subito. Questa settimana scriveremo una lettera ai sindacati, quelli che erano presenti, per chiedere la disponibilità ad aprire questo confronto. Sappiamo già che la Cgil dirà di no, sappiamo anche che altri sindacati diranno di sì. Il rinnovo che abbiamo firmato questa notte è per il biennio 2004-2005 e scade il 31 dicembre. Inizieremo il confronto in vista del nuovo contratto».
A gennaio si riparte con nuove estenuanti trattative?
«In vista di questo rinnovo facciamo partire subito il tavolo di confronto con chi ci sta. Io spero che questa nostra iniziativa possa avere dei riflessi anche sul modello contrattuale dei privati. Spero che anche i contratti privati, quello dei metalmeccanici, dei chimici, dei tessili, tengano conto dei livelli territoriali, che possono essere la provincia, il distretto, la regione, un’area diversa. Il concetto è che bisogna superare questo sistema che non tiene conto delle differenze esistenti a livello territoriale. E’ un tentativo, una strada che noi avevamo già immesso nel 2001 nel libro bianco sul mercato del lavoro di Marco Biagi e che Confindustria ha tentato di percorrere lo scorso anno senza riuscirci per il veto della Cgil».
E se arrivasse anche a voi un veto?
«Noi non intendiamo subire veti, come abbiamo fatto per il Patto per l’Italia firmato senza l’accordo della Cgil: non ci spaventa il no di questo sindacato».
Nessuno stop se al primo tavolo non siederà nessun cgiellino?
«No, anzi credo che la Cgil non risponderà o risponderà, come ha già preannunciato, dicendo che non sono disponibili a modificare, a discutere sul nuovo modello delle regole per il contratto. Altri sindacati hanno annunciato che risponderanno in termini favorevoli e quindi, a seguito di questa formale risposta, noi apriremo il tavolo di consultazione e di dialogo con chi ci sta. Non faremo come Confindustria che di fronte al veto della Cgil si è fermata. No, noi abbiamo un’altra concezione delle relazioni sindacali».
A proposito di meritocrazia, a chi spetterebbe il compito di decidere chi è meritevole? In Inghilterra ci pensa una commissione indipendente. Da noi non si corre il rischio che gli stessi sindacati premino i loro iscritti?
«Noi vogliamo evitare, parlando di produttività e di merito, quello che è successo con i rinnovi fatti
negli anni passati quando gli aumenti per merito sono stati distribuiti a tutti in modo indistinto. Vogliamo introdurre elementi di premialità per chi merita, lo facciamo d’accordo con i sindacati ma sapendo bene di cosa stiamo parlando. Non a caso a quelle trattative per la prima volta ha partecipato, con un ruolo da protagonista, il ministro per l’innovazione e le tecnologie Lucio Stanca che ha avuto modo di spiegare ai sindacati la nostra posizione, cosa si intende per merito. Lui, che è stato amministratore delegato della Ibm Italia, sa bene come si fa a introdurre e definire sistemi di valutazione oggettivi che premino per davvero chi se lo merita. Sarà una trattativa non facile ma non può portare a quel rischio».
Se non trovate un accordo?
«Se non ci saranno strumenti di valutazione efficaci, quell’aumento per la produttività e per il merito semplicemente non verrà dato. Questa è la nostra intenzione. Non vogliamo che si ritorni ad una distribuzione a pioggia e non lo vogliono neanche i dipendenti pubblici, molti dei quali si sentono mortificati e demotivati perchè non hanno possibilità di vedere premiato il loro impegno. Nel mondo della pubblica amministrazione, soprattutto a livello delle realtà locali, troveremo un alleato forte».
Chi sono i vincitori e gli sconfitti di questa trattativa?
«La trattativa non è stata gestita nel modo migliore, forse si poteva chiudere a meno. Però ci sono state spinte forti a concedere persino di più rispetto a quanto abbiamo dato. Era strano vedere nel governo qualcuno che faceva le parti del sindacato e non del datore di lavoro: si è mai visto il datore di lavoro chiedere di concedere di più? Una strana commistione che ha reso tutto più difficile. Non so se ci sono vincitori e vinti, noi ci riteniamo parzialmente soddisfatti, al di là del costo che graverà sulle tasche dei cittadini, e sarà bene che i cittadini non dimentichino che dovranno pagare loro. Siamo riusciti ad ottenere in cambio qualcosa che se applicata, questa è la vera sfida, potrà davvero segnare una svolta. Non dubito che ci saranno, da qui in avanti, tentativi di bloccare l’accordo. Il nostro impegno è quello di dare seriamente e completamente seguito a quanto deciso. Solo grazie a questi contenuti fortemente innovativi abbiamo dato il via libera, altrimenti ci saremmo arroccati su ciò che era stato stabilito in finanziaria».
Riuscirete a finire le ulteriori trattative per il maggio del 2006?
«Dobbiamo. Ripeto, ci sono tante insidie, ma la nostra ferma volontà è di superarle tutte e di dare attuazione, vera e non solo finta, agli accordi entro la fine di quest’anno.

http://64.233.183.104/search?q=cache:Ybic37x2UiEJ:www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo/53001.page+gabbie+salariali&hl=it&start=2&ie=UTF-8




 Filippo    - 05-06-2005
Ho letto cosa dice Maroni.
Non credo che ciò che dice Maroni sia necessariamente ciò che sta per accadere, e soprattutto non ho capito cosa c'entra con la concertazione.
Visto che MAroni stesso dichiara che vorrebbe procedere anche "contro" il parere dei sindacati.
Concertazione significa che qualcuno ha concertato o sta concertando.
E si è trovato d'accordo (avete scritto: "questo potrebbe accadere grazie alla concertazione").

E questo è ciò che contestavo nella premessa della redazione.

Sempre per documentare, comunque, anche se non direttamente attinente, questo è un altro pezzo del dibattito (dal Corriere di Oggi)


Contratti, l’invito di Bombassei e il gelo di Epifani

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
SANTA MARGHERITA LIGURE - Sul rinnovo del modello contrattuale il tentativo di dialogo imprese-Cgil è subito fallito. Ci ha provato il vicepresidente di Confindustria per le relazioni sindacali Alberto Bombassei.
«Invito la Cgil a riprendere la discussione interrotta un anno fa», ha detto intervenendo al convegno dei giovani imprenditori di Santa Margherita, «perché al di là delle diverse posizioni e di totale rispetto, in un momento così difficile per il Paese la classe dirigente ha il dovere di sedersi e cominciare a discutere».
Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, seduto accanto non fa una piega. «Non pongo veti», risponde pacato e irremovibile, «ma pretendo che si rispetti l’opinione della Cgil». E l’opinione del maggior sindacato italiano è che «la media dei redditi non si deve abbassare assolutamente». Lo scambio di battute avviene nel corso di una tavola rotonda sul «futuro dell’impresa familiare». A Epifani viene chiesto di rispondere anche ai quesiti che l’editorialista ed esperto di questioni sindacali Pietro Ichino ha posto ieri sulla prima pagina del Corriere della Sera. Di spiegare, in sintesi, perché continua ad opporsi al rinnovo del modello contrattuale a quasi un anno di distanza dalla famosa «rottura» consumata nello scorso luglio.
Il leader sindacale non entra nel merito delle tecnicalità poste da Ichino ma afferma chiaramente di non «avere obiezioni a sviluppare di più il secondo livello purché si mantengano le protezioni in alto e si aumentino quelle in basso».
Epifani riesce anche ad incassare un applauso dalla platea attenta degli imprenditori under-40. Lo fa quando spiega che oggi il problema, più che le imprese, ce l’hanno quei lavoratori che a fatica arrivano a guadagnare mille euro al mese per 40 ore la settimana.
Bombassei scuote la testa e mormora che alla fine si arriva sempre lì, «sui contratti tante parole, poi si parla solo di soldi». Il vicepresidente di Confindustria ricorda che il costo del lavoro «è uno dei problemi che frenano la competitività e se ci fosse ora un accordo tra le parti sociali sulle cose da fare si avrebbe più peso per farci ascoltare dalla politica».
E se Bombassei continua sostenendo che le imprese non investono «perché il loro capitale è remunerato troppo poco», Epifani smonta il ragionamento puntando sul «disastro industriale di questo Paese». Che definisce «paradossale». Secondo il sindacalista infatti ci sarebbero tutte le condizioni per crescere.
«Il costo del denaro è uguale a zero, hanno chiesto flessibilità e ne hanno quanta ne vogliono, i costi sono più bassi della media europea, eppure si va indietro». Per Epifani «c’è qualcosa che non va nella cultura di impresa, perché se nessuno rischia e investe è chiaro che alla fine le aziende chiudono». Come dire, un dialogo tra sordi.

R. Ba.

 Mario Liguori    - 05-06-2005
Credo che sul territorio nazionale si debba aver diritto, a parità di lavoro, alla parità del potere di acquisto. La parità del salario su tutto il territorio non garantisce ciò. Io insegno a Brescia e non vedo perchè il mio stipendio debba valere meno in termini reali rispetto a quelli di qualsiasi altra località. Ovviamente calcolare in maniera accurata le differenze del costo della vita è sicuramente complesso, ma è una cosa che andrebbe fatta per una elementare questione di giustizia sociale. Come al solito, fissarsi su posizioni esasperatamente ideologiche conduce a gravi errori sul piano pratico e della vita di tutti i giorni. Un saluto a tutti

 Giuseppe Aragno    - 05-06-2005
No Filippo, scusa.
Tu dicevi che sulle gabbie salariali - cito testualmente - c'è "solo l'opinione di un rappresentante dell'ARAN". E non è vero. Maroni non è l'usciere del Ministero. E le sue parole sono chiarissime: "le contropartite ricevute - scrive - hanno spinto la Lega Nord a dare il proprio consenso: entra finalmente la meritocrazia nella pubblica amministrazione, verrà introdotta la mobilità per il personale e si procederà a riformare il modello contrattuale, prevedendo anche le gabbie salariali".
In quanto alla "concertazione", Maroni è ancora più chiaro: "Noi - sostiene infatti il signor ministro - abbiamo raccolto la disponibilità di alcuni sindacati a rivedere il modello contrattuale. All’appello manca la Cgil, ma ci interessano gli altri". Come vedi, "qualcuno ha concertato o sta concertando".


 Grazia Perrone    - 05-06-2005
La richiesta di rivedere (al ribasso) la politica contrattuale ha origini antiche. A ricordarcelo è Savino Pezzotta in un'intervista (appartenendo alla vecchia scuola conservo ancora il ritaglio di giornale) pubblicata sul Corsera del 25 agosto 2004 di cui riporto ampi stralci.

(...)"Dopo la firma del Patto per l'Italia era stato lo stesso Pezzotta a dire: "E adesso riformiamo il modello contrattuale". Modello che ha ormai 11 anni e che già nel 1997 la commissione di verifica nominata dal governo Prodi, presieduta da Gino Giugni (...) aveva suggerito di correggere. Giorgio Santini segretario confederale Cisl descrive il modello (contrattuale) Cisl con un'immagine: "Si tratta di passare da un ponte a due arcate a un ponte ad una sola arcata". Oggi c'é il contratto nazionale che dura quattro anni per la parte normativa con all'interno due periodi di due anni ciascuno per la parte economica. Secondo la Cisl bisogna passare a una durata unica, di "tre o quattro anni", sia per la parte normativa sia per quella economica. Questo contratto nazionale dovrebbe garantire aumenti in linea con l'inflazione programmata [1], "che però deve essere realistica", ma niente di più. Il resto, sarebbe di competenza del contratto decentrato da collocare a metà della vigenza di quello nazionale. Nel contratto aziendale o territoriale, o regionale dovrebbero esserci gli aumenti legati alla produttività e "forse" anche il recupero dell'eventuale scarto tra inflazione reale e quella programmata .

[1] Questa prassi sociale inaugurata, nel 1993, con il Patto di stabilità - in gergo tecnico - si chiama concertazione

 Filippo    - 05-06-2005
Per quelche vedo io c'è un evidente tentativo del centro destra di riristinare le logiche del patto per l'Italia e di isolare la CGIL.
Riporto a questo proposito un brano di un articolo di Repubblica di alcuni giorni fa:


Come ai tempi del Patto per l´Italia la Cdl cerca sponde nella Cisl e nella Uil
"Isolare ancora Epifani e la Cgil" l´ultima mossa del centrodestra
il retroscena

ROBERTO MANIA


ROMA - «Ma sì, la tentazione c´è». Alla fine il ministro, uno di quelli che nelle ultime notti ha fatto tardi per trattare con i sindacati il rinnovo del contratto del pubblico impiego, l´ammette: la discussione sulla riforma del sistema contrattuale serve soprattutto a mostrare che nel centrosinistra c´è un´ala "conservatrice", e che questa è, "ancora", la Cgil. Così, paradossalmente, la questione rischia di essere più politica che sindacale. Nessuno, infatti, può pensare con realismo di poter rivedere le regole della contrattazione senza l´assenso della confederazione guidata da Guglielmo Epifani. Ma scoperchiare i dissensi - decisamente più sindacali - che permangono tra Cgil, Cisl e Uil può servire nel gioco della politica, con intrecci sorprendenti.
La "tentazione" era già emersa prima delle elezioni regionali. A metterla in campo erano stati i due esperti di relazioni sindacali del Polo, i due ex socialisti, al tempo vicini a Gianni De Michelis, oggi in Forza Italia: l´economista Renato Brunetta, consigliere economico di Palazzo Chigi, e Maurizio Sacconi, sottosegretario al Welfare, braccio destro di Roberto Maroni. La lanciarono ma non riuscirono a trarne benefici perché troppo a ridosso dell´appuntamento elettorale. Poi il contesto è cambiato. Soprattutto è arrivato lo strappo della Margherita di Francesco Rutelli nello schieramento avverso. Uno strappo per accentuare l´identità del partito. «È evidente - ragionano molti esponenti della Casa delle libertà - che Pezzotta sia stato incoraggiato nel suo duello con Epifani proprio dalla mossa di Rutelli». Il leader della Cisl non è iscritto alla Margherita e si inalbera se solo si collegano le sue azioni alle posizioni dei diellini. Pur tuttavia tutto il gruppo dirigente cislino fa riferimento alla Margherita. Pezzotta è stato tra gli invitati al seminario di Frascati. Il legame tra Franco Marini e la Cisl non si è mai interrotto. Come quello di Sergio D´Antoni (ultimo arrivato tra i dl) che ieri è sceso direttamente in campo per difendere le scelte di Pezzotta da quelle della Cgil. In più Pezzotta vede alle porte l´appuntamento (a luglio) con il congresso dove punta ad arrivare marcando la sua diversità dalla confederazione di Epifani."

Per come la vedo io, soffiare sul fuoco di queste divisioni dando per già avvenuta questa rottura è un atteggiamento autolesionista.

 Giuseppe Aragno    - 07-06-2005
Caro Filippo,
una breve replica per provare a fare, il punto, poi ognuno resterà sulle poszioni di partenza.
Siamo partiti da una tua critica: la redazione fa affermazioni fuorvianti, perché
a) non c'è stata concertazione.
b) non si pensa alle gabbie dalariali.

Uno scambio d'opinioni e qualche precisazione e tu non te la senti più di insistere: non puoi più sostenere che le gabbie salariali nascono dalla... Redazione di Fuoriregistro. Insisti però, con minore convinzione sulla concertazione.

Viene fuori apertamente che si concerta e tu non ne parli più: come potresti? Il problema che poni ora non è più quello iniziale. No. Ora il problema è che la Cgil rischia di rimanere isolata. Fuoriregistro non è più fuorviante, perché di gabbie salariali si discute davvero e la concertazione è un dato di fatto. Il problema allora qual è? E' che se uno dice: le cose stanno così, dà una mano alla destra.
Che facciamo, chiudiamo gli occhi e mettiamo la testa nella sabbia?



 Filippo    - 08-06-2005
Caro Aragno

Il punto io lo vedo così:

Ora questo articolo è in archivio, e non so perchè è stata tagliata la premessa della Redazione.

Nella premessa c'era scritto - riassumo a memoria :
Le gabbie salariali per fortuna non c'erano più.
Ma forse torneranno grazie alla concertazione.

Siccome non siamo bambini, parliamoci con serietà.
Dalla lettura di quella premessa si evince che la concertazione ha permesso o sta per permettere che tornino le gabbie salariali.

E poichè si concerta in due, bisogna pensare che in due stiano mettendosi d'accordo.

Ora - premesso che (e me ne darai atto) la CGIL non intende concertare e non sta concertando (ti segnalo l'intervista alla Maulucci sul sito di Repubblica oggi) - a me risulta che OGGI - PER ORA neppure gli altri stiano concertando, e che la rottura a cui puntano governo e confindustria di nuovo non sia ancora consumata.
Che ci sia chi lavora per questo non mi stupisce.
MA siccome io mi auguro che questo tentativo non abbia successo, mi pare che l'ambiguità iniziale non abbia senso.
Perchè è una di quelle consuete frasi che producono disinformazione, confusione, sfiducia.

Banalmente - se fossi stato al vostro posto avrei scritto:

Le gabbie salariali non ci sono più.
Ma c'è chi lavora per farle tornare.
E avrei cercato di mostrare "chi" e "chi no".

Saluti


 Grazia Perrone    - 09-06-2005
La nota redazionale (che ho scritto io e che
trovi qui) recita testualmente: “A volte il peggio ritorna. Erano state spazzate via dall'onda lunga del '68 insieme a mille altre forme di discriminazione sociale (una su tutte: quella sessuale). Ora se ne parla senza pudore e (presto?) diventeranno una realtà. Grazie alla ... concertazione. (…)”.

In nessuna parte è citata esplicitamente la Cgil ... ragione per la quale non comprendo la tua “forzatura” polemica.

Un dato è certo: alcuni Sindacati hanno dato la propria disponibilità a rivedere il “Patto di stabilità" siglato (anche dalla CGIL) nel 1993.

Se – e quando – la medesima Organizzazione si opporrà a questo disegno di revisione contrattuale troverà – su Fuoriregistro – tutto lo spazio necessario e che ci chiederà di occupare. Come è sempre avvenuto e come ha sempre fatto.

Una sola cosa, però, su Fuoriregistro, non è consentita ad alcuno. Ed è un principio che la Redazione difenderà con i denti ... se necessario: scrivere sotto ... dettatura.

 Giuseppe Aragno    - 09-06-2005
Caro Filippo,
poche parole per chiudere. Non si può andare avanti in eterno. Non ho dubbi: tu al nostro posto avresti scritto ciò che ti sarebbe sembrato giusto. Noi, ovviamente, avremmo commentato.
Il fatto è che tu non resti al tuo posto. Tu occupi il nostro e ci dici cosa avremmo dovuto scrivere. Ti ringraziamo - e ti dco di più: non ce ne meravigliamo -ma preferiamo fare da soli. E' un diritto al quale non rinunciamo.
C'è un dato di fatto, Filippo. Lo sostiene autorevolmente Maroni, lo dice Pezzotta, tu lo confermi e Cisl e Uil non smentiscono: si sta discutendo col governo di gabbie salariali. Si concerta, Filippo. Tu lo ammetti, ma poi ci tieni a dire che la Cgil non ci sta e che ancora non c'è un accordo. Bene. Si concerta ugualmente. Tu inviti al silenzio: temi rotture. Noi invece parliamo e temiamo ben altro: l'unità a qualunque costo non è il nostro ideale. Hanno già isolato la Cgil ai tempi del Patto per l'Italia, scrivi preoccupato. Noi temiamo altro: ci preoccupa che dopo la rottura tutto è rimasto com'era.
La isolano un'altra volta, scrivi intimorito: zitti per favore. Noi pensiamo invece che solo parlando, solo denunciando, si possa uscire dall'isolamento. Pensiamo anche che occorrerebbe dire pubblicamente a Pezzotta che se va avanti così si assume la responsabilità della rottura dell'unità sindacale. A che serve l'unità se sulle grandi questioni la Cisl sta puntualmente dalla parte del governo?
Il silenzio che tu suggerisci, il vecchio silenzio che ci ha condotti dove siamo, è un suicidio.
Un'ultima cosa. Qui, su Fuoriregistro, la Cgil è di casa. Cerca spazio, si sistema, si fa la sua brava pubblicità, poi "sparisce". Un suo dirigente provinciale, Francesco Mele, dissidente naturalmente, pone su Fuoriregistro problemi serissimi: silenzio di tomba. Grazia Perrone denuncia contraddizioni e comportamenti intollerabili, io invito la Cgil ad intervenire, a non "usare" Fuoriregistro solo per fare spot pubblicitari, e che accade? Patroncini, Dacrema, Coronella, Panini e compagni, che sono sempre così loquaci, sono tutti ammutoliti. E tu, tu che addirittura giungi a suggerirci la "linea" e parli di "disinformazione", tu pure stai zitto. State tutti zitti.
Il punto vero, Filippo, è questo. Il silenzio cui ricorrete quando i fatti vi chiamano a parlare.
Il problema non è che concertate. No. Il problema è che sconcertate.
Voi, Filippo, pensate davvero che la gente sia così stupida da non capire?