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E venne l'ora di votare fave e cicoria
Repubblica Bari - 23-05-2005
È voga ormai accertata quella di combinare la politica con la botanica, almeno nell´onomastica e nelle metafore sbrigative dell´oratoria comiziante. È trascorso il tempo delle simbologie pletoriche e magniloquenti, la stagione antica delle Aurore sociali, dei Fasci contundenti, delle alacri Ruote dentate, dei muscolosi Proletari con Falci minacciose, delle Spade eloquenti e delle battagliere Aquile spadroneggianti su destini fatali e delle immancabili Vittorie alate. Tutto questo riposa illacrimato nel patetico baule della paccottiglia con i merletti pazienti di Zia Caterina e la collezione delle cartoline illustrate con le vedute di Chianciano e la stazione centrale di Abano. Nel sobrio vagabondaggio dei nostri antenati prevalevano le terme. E prevaleva una fantasia dislocata a metà tra tenerezze gozzaniane e truculenze dannunziane. Da questo derivava una simbologia politica altera di retorica ginnasiale e un poco tronfia, ma efficace a raccontare per la Storia e non per la televisione. Il connubio tra politica e botanica è recente e ambisce ad una bonarietà interessata e, spesso, non in perfetta buona fede. Ed ecco le Spighe, le Rose, il vecchio, caro Garofano, il Biancofiore, le Querce, l´Edera antica, le Stelle Alpine regionali e da gruppo misto.

Abbandonato l´obsoleto Alloro, da ultimo trasferito dalle fronti dei magnanimi ai fegatelli di maiale, scartati il gentile gelsomino e il ceduo mughetto destinati ad altri, più intimi usi o alle acque di colonia, come la verbena e la tuberosa, la scelta si fa ogni giorno più difficile per i nuovi, tantissimi partiti che il fallimento dell´impraticabile bipolarismo italiano sforna ogni giorno con insistenza. Lo seppero bene quelli della destra che, anni or sono saggiamente optarono per una dolce e inerme Coccinella che tentò di sostituire coscienziosamente Lupe bellicose e Aquile militanti. Non fu un successo, anzi: la coccinella arrancò e non passò la stagione. Stessa sorte toccò all´elefantino. Il pachiderma in dimensione vezzeggiativo non diede lo sviluppo e non ebbe mai le zanne.

Va da sé che a nessuno verrebbe in mente di ricorrere ad alberi ad alto fusto come il pino e l´abete, già titolari di altri prodotti come Napoli e lo sciroppo al mugolio o al troppo allusivo cipresso e dopo che i più adatti sono stati cooptati già da due formazioni antiche e nuovissime al tempo stesso: Quercia e Ulivo.

A me, che tra gli ulivi sono nato, sembra che mi spetti una specie di diritto d´autore come a tutti i Pugliesi i quali sono molto più preoccupati della crisi dell´Olivo che non di quella dell´"Ulivo", con tutto il rispetto per questi uomini alacri e tenaci.

Sarà che anche i contadini nostri sono alacri e tenacissimi e lo sono sempre stati nel curare l´Olivo nostro e l´oro che produce, l´olio bello e buono che per anni è stata la faticata ricchezza della nostra terra.

È il momento del fruttivendolo. Siamo alla cicoria. Rutelli la invoca e, in pochi minuti, invade l´immaginario collettivo dopo essere stata l´umile protagonista di tanti deschi contadini. Quale l´universo simbolico cui rinvia il vegetale fibroso? Ai più anziani ricorda anche il disgustoso sostituto del caffè bellico da tessera annonaria. Ai moderni palati suggerisce rudi diete, sane e coraggiose astinenze, frementi e silenziose vigilie, ma, soprattutto la grama attesa di tempi migliori e un provvidenziale rimedio per la stitichezza. Quale tema sceglie Rutelli per annettere valori simbolici? Voteremo per il partito della cicoria? Ma, poi, abbiamo notizie precise sul tipo di cicoria menzionata? Il botanico ne annovera numerose, la massaia ne riconosce almeno tre o quattro, l´intenditore predilige quelle selvatiche da raccogliere nei prati incolti e da spadellare con l´aglio dorato nell´olio (a proposito, a quando un partito dell´aglio?). E non sarebbe auspicabile anche l´alleanza politica e gastronomica della cicoria con le fave? In Puglia non ci lasceremo sfuggire il gustoso e sanissimo connubio. Ma se la cicoria ha trovato casa simbolica, le fave stenteranno, lo so. Nonostante il grottesco autolesionismo del centrosinistra sia incoercibile, non mi riesce di intravedere all´orizzonte politico una formazione detta della "fava" o della "favetta". Immagino, piuttosto, fazioni pronte a sbandierare le cime di rapa o "riso, patate e cozze". Si perde lo stesso, ma, almeno, si mangia bene.

Michele Mirabella
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 Pierangelo    - 28-05-2005
da l'Unità online - 27.5.2005

Cicoria per tutti

Il centrosinistra, grazie alla fantasia sfrenata di Francesco Rutelli pare che abbia trovato il vero, forte nucleo programmatico per la prossima campagna elettorale. Sarà la parola d'ordine, lo slogan, che attrarrà le grandi masse del Nord e del Sud. Altro che le promesse sgangherate della Casa delle libertà. Qui siamo alla summa d'ogni desiderio insoddisfatto dei ceti medi riflessivi e anche di quelli normali, nonché degli atipici precari o dei posti fissi volatizzati. Sarà la travolgente idea che provocherà un voltagabbana smisurato in ogni anfratto del centrismo, tra ex democristiani, ex liberisti, ex anticomunisti, ex pentapartitisti. Una spinta inesorabile alla crisi del berlusconismo.

Trattasi di un impegno limpido e chiaro: "Cicoria per tutti". Rutelli ha lanciato la suadente offerta nel corso di decine di telegiornali, impugnando il microfono e rammentando i suoi trascorsi, quando, appunto, mangiava cicoria tutti i giorni. Il conciso messaggio è entrato nelle menti, ha circuito i cuori, ha sedotto e convinto. Ed è stata l'unica vera cosa che si è capita bene della lunga discussione che ha visto come protagonista il leader della Margherita. Non si trattava di un addio all'Ulivo, come molti avevano sospettato, anche perché la decisione di presentare il simbolo della Margherita riguardava solo, come egli stesso ha chiarito, il 20 per cento delle prossime schede, nell'arcaico meccanismo elettorale italiano. Un qui pro quo. L'Ulivo sarà vivo e lotterà con noi nell'ottanta per cento dei casi.

Quel che conta è l'Annuncio magistrale sulla cicoria. Gli italiani hanno sobbalzato. È gente che va tutti i giorni al mercato e sa bene quale è il costo del prezioso ortaggio oggigiorno. Va a peso d'oro, come tutto il resto. E se quindi arriverà un governo progressista che la potrà distribuire a prezzi politici, l'esultanza sarà generale. La gente già ne fa incetta, quasi fosse Majurana. Meglio la cicoria rispetto al nulla che il governo concede per il rinnovo dei contratti di lavoro. I conti dello Stato non subiranno gravi flessioni e l'Unione europea non parlerà di caso Italia.

Berlusconi è già in preda al panico. Aveva accolto, in un primo tempo, insieme a Giorgio La Malfa, le parole di Rutelli come un segnale di "rompete le righe" nel centrosinistra. Ora ha capito il trucco e si rode le dita.

Bisogna anche sapere che la cicoria ha doti indiscusse. Nelle sue diverse espressioni. C'è la Cicoria catalogna (forse già presente nel programma di Zapatero), la Cicoria cimata, la Cicoria witloof (Belga). Hanno un effetto prezioso in comune: affrettano l'espletazione dei propri bisogni. Una mano santa. C'era bisogno di qualcosa del genere, per far fluidificare tante cose indigeste.

Bruno Ugolini

 Pierangelo    - 31-05-2005
e da Repubblica del 31.5.2005

LAPSUS

PANE E CICORIA
di STEFANO BARTEZZAGHI


Ancora una volta la bucolica ulivista si arricchisce di nuovissimi items. Non avevamo fatto in tempo a registrare la fantastica metafora cacciariana delle «capre pazze» (ah, quanto più preoccupanti delle lepri marzoline...) quando Francesco Rutelli ha incornato gli avversari con il subito famoso «discorso del pane e cicoria». Quali assonanze si mettono in moto, all´ascolto di tale semplice, eppure complessa, espressione?
La cicoria si lega immediatamente ad antiche usanze della sinistra (la moratoria, la sanatoria, la giaculatoria, il promemoria) e a lemmi meno frequenti, da quelle parti (come la gloria, spesso surrogata dalla vanagloria, e la vittoria). Ma anche alla cicuta e alla cicogna, protagoniste rispettivamente di una dolorosa vicenda di senso civico e di una pietosa menzogna per bambini.
La serie «pane e cicoria» ricorda vari «pane e...» cinematografici, da De Sica a Soldini e motteggi popolari come «pane, volpe e marmellata», presunta merenda di chi fa il furbastro.
Ma è poi un acuto lettore ad avere tratto la lezione decisiva, per via enigmistica. «Pane e cicoria» si anagramma in «acre piacione»: non è l´ossimoro perfetto?