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Balcani: la storia manipolata
il Manifesto - 07-05-2005
Balcani, la storia negata dei crimini italiani
Intervista a Costantino Di Sante che nella ricerca «Italiani senza onore» documenta tutti i «nostri» misfatti nella Jugoslavia occupata della Seconda guerra mondiale, e come i governi italiani insabbiarono tutto


Era ora. E' uscito in questi giorni un libro davvero unico, «Italiani senza onore, i crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)» (Ombre Corte, pp. 270, euro 18), completo di ogni documentazione inedita sui crimini di guerra commessi dalle truppe italiane in Jugoslavia durante la Seconda guerra mondiale, ed esaustivo della vicenda «diplomatica» che portò i governi italiani a guerra non conclusa e nell'immediato dopoguerra a cancellare quei misfatti. Su questo abbiamo intervistato l'autore della ricerca, il giovane storico Costantino Di Sante.

Lei paragona i crimini delle truppe e dei fascisti italiani nella Jugoslavia occupata a quelli del nazismo...?

Sicuramente l'occupazione dei territori dell'ex Jugoslavia è stata portata avanti con efferata durezza e i crimini commessi furono tutti al di fuori delle leggi internazionali, con incendi di villaggi, deportazioni, torture, rappresaglie, esecuzioni sommarie, stupri e violenze indiscriminate sui civili. Noi ci comportammo come paese occupante che tra le altre cose, non solo occupava quei territori e tentava di sfruttarli economicamente e come spazio vitale, ma anche con l'intenzione in più dell'annessione, in particolare della Dalmazia e della provincia di Lubiana. Insieme ad un tentativo di sbalcanizzazione che già 20 anni di fascismo di frontiera con un feroce razzismo antislavo aveva creato le condizioni per una effettiva durezza nei comportamenti sulla popolazione civile. E in molti atti ci siamo comportanti in maniera molto dura e simile ai luoghi dove hanno operato le truppe tedesche. Parliamo di centinaia e centinai di villaggi incendiati, parliamo di migliaia e migliaia di civili uccisi, deportati, internati nei campi di concentramento italiani, sia quelli realizzati lì sul posto - uno dei più famosi, Arbe in Dalmazia, oppure quelli nella nostra penisola. Persone cancellate già nelle liste d'internamento: venivano chiamate ex jugoslavi o «italiani per annessione». Questo la dice lunga sul tentativo di annettere e di cancellare la memoria di queste popolazioni. Nella ricerca mi hanno molto colpito i «tribunali volanti» che si recavano sui posti dopo un processo, se così si può chiamare, di pochi minuti, e si passava subito alla fucilazione. Quel che riassume la durezza di questa occupazione è ben rappresentato dalla «Circolare 3C» del generale Roatta del 1942 nella quale era previsto espressamente che il comportamento dei militari italiani doveva essere «testa per dente»: per un italiano ucciso tot jugoslavi da passare per le armi. Una logica d'occupazione per una guerra quasi coloniale, applicata in pieno in Africa. Ed è inoltre testimoniato dalla pratica diffusa di deportazioni e campi di concentramento per i civili. Primo fra tutti il campo di Arbe, in Dalmazia, la cui mortalità nell'inverno 1942-1943 non ha nulla da invidiare ai lager nazisti.

Come è potuto accadere che anche per i crimini di guerra italiani nei Balcani l'«armadio» sia stato sepolto?

I fattori sono tre. Il primo, che io documento in modo ampio, è proprio il modo con il quale lo stato maggiore dell'esercito, il ministero degli esteri e il governo dal 1944 in poi riuscirono a realizzare contro-documentazioni nei confronti delle richieste jugoslave alla commissione per i crimini di guerra di Londra. Ci fu un'azione «diplomatica» di riscrittura e travisamenti su come erano andate le cose. Il tentativo, riuscito, di far apparire, di fronte anche all'opinione internazionale, gli italiani come «umanitari», l'occupazione jugoslava come «tentativo di pacificare una guerra già in corso», gli occupanti quasi come vittime della guerra interetnica. i partigiani di Tito come «barbari».

Eppure, nonostante queste falsificazioni, anche quella reticente documentazione riconosceva che c'erano stati dei criminali di guerra italiani...

Infatti, anche se la commissione jugoslava ne indicava 750 (180 quella greca, 140 quella albanese) e invece la controdocumentazione ministeriale italiano dell'epoca ne riconosceva solo 40. Così, nonostante il dichiarato tentativo di dipingere gli italiani come «brava gente», differente anche quando compiva efferatezze, si riconoscevano colpe e responsabilità ben precise. Ma c'è un altro fattore da considerare, quello degli alleati angloamericani che avevano vinto la guerra. Fino al 1947, cioè fino alla firma del trattato di pace, sono anche loro decisi a far sì che si svolgano i processi contro i criminali italiani. Poi tra il 1947-1948 c'è la questione internazionale del confine orientale che diventa «il confine» tra i due blocchi, con l'Italia ormai frontiera della nuova guerra fredda. Dall'altra c'è la pressione che si esercita sul governo di Tito, mentre ancora non sono sedati i focolai di guerra in Jugoslavia intorno al 1947, tanto è vero che si pensa ad intervento militare alleato, che non avverrà anche per l'appoggio dato dall'Urss a Tito. Ma nel `48 si rompono i rapporti tra Tito e Stalin e, nonostante Tito continuerà a chiedere più di ogni altro paese occupato dagli italiani, la consegna dei criminali di guerra - fatto decisivo per la pacificazione interna jugoslava - non ci sarà nessuna consegna o riconoscimento dei crimini.

Perché non c'è mai stata una Norimberga italiana?

Uno dei motivi è che l'Italia si è trovata nella doppia condizione di paese sconfitto ma co-belligerante. Grazie all'azione dei partigiani in primo luogo ma anche del governo del sud e dei rapporti con gli alleati che riprendono dopo l'armistizio. Nonostante che, inizialmente, il trattato di pace che viene firmato preveda che l'Italia debba pagare non solo i danni di guerra ma anche dar corso ai processi con l'estradizione dei propri criminali, prevedendo quindi di fatto una Norimberga anche per l'Italia. Ma su questa esigenza ineludibile, prenderà il sopravvento la logica geopolitica di comodo di un'Italia primo baluardo verso la cortina di ferro. E poi, come processare l'Italia per i crimini italiani proprio mentre molti ex responsabili di crimini di guerra hanno trovato una nuova collocazione nell'Italia che si sta avviando verso la democrazia? Un altro effetto che peserà sarà l'amnistia interna, la mancata epurazione che farà sì che anche dal punto di vista internazionale diventerà difficile estradare criminali dall'Italia rispetto a quello che accadrà per altri paesi belligeranti durante il periodo dell'Asse, come Germania nazista e Giappone imperiale. Un altro elemento ancora, non secondario, è quello che l'Italia subito dopo la guerra diventa un paese crocevia di rifugiati e di ex criminali di guerra, in particolare ustascia e cetnici ma non solo, anche di criminali nazisti che trovano immediato rifugio per poi riuscire a raggiungere l'America latina in particolare. Un crocevia apertamento protetto, o quanto meno tollerato, se non proprio aiutato dagli alleati e dalle stesse autorità italiane. Tanto è vero che Tito richiede non solo i criminali di guerra italiani ma anche i propri connazionali che in Italia hanno trovato rifugio. Per dire la complessità, l'Italia sarà poi il paese che riceverà i rifugiati dall'est che durante la guerra fredda riparano in Italia. Questo fenomeno inizia allora. L'intelligence alleata capisce il suo ruolo decisivo - c'è il problema di quello che sta accadendo anche in Grecia con la guerra civile che continua nel dopoguerra, si teme che in Italia accada la stessa cosa. E ci sono state le elezioni amministrative nel `46 con al vittoria del Fronte popolare. Tutte condizioni che fanno sì che fino al 1947 sono gli alleati a decidere le sorti dell'Italia.

Nel tempo in cui vengono istituzionalizzate le falsificazioni sulla vicenda delle foibe, c'è spazio per una storia consapevole che denunci ogni rimozione?

Siamo circondati da programmi tv di storia, talk show ecc, ma c'è poca conoscenza storica. Oppure la consapevolezza non ha lasciato veri sedimenti. Tutto viene semplificato da slogan per la battaglia politica quotidiana. Per evitare una storia distorta è necessario - oltre che illuminare la zona d'ombra del confine orientale - offrire ricerche esaustive, fatte su fonti accertabili e documentabili. Perché la storia è complessità e contestualizzazione.


TOMMASO DI FRANCESCO

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