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Il prof è depresso, allarme educazione
La Sicilia.it - 05-05-2005
Palermo. Alzi la mano chi, nella sua carriera scolastica, non si sia imbattuto in un insegnante un po' "originale": per il modo di vestire, per l'atteggiamento, per quelle piccole o grandi manie che inevitabilmente vengono a galla quando, per lavoro, si hanno ore ed ore di rapporto diretto con altre persone, e per di più con bambini o giovanissimi.
Ma adesso la letteratura sul tema si arricchisce di un testo che fa discutere: «Scuola di follia», dossier su 33 casi clinici di patologie psichiatriche esplose in cattedra, scritto dal medico Vittorio Lodolo D'Oria, già consulente del ministero per l'Istruzione.
Casi clinici, si diceva, esaminati ufficialmente dalla Commissione medica per l'inabilità al lavoro per richieste di pensionamento anticipato o per cambio di mansioni. Casi però che devono far riflettere, su un'eventuale sovraesposizione allo stress di chi per ore fronteggia classi di 25, 30 bambini scatenati, di adolescenti pressati da mille esigenze. Insomma, i "prof" sono più esposti al rischio depressione rispetto ad altre categorie? E quanto incide questo su un ruolo delicato qual è quello di educare dei giovani?

Cerchiamo di capire qual è la situazione in Sicilia.

Dati, sul tema specifico, non ce ne sono. In generale però il trend di pensionamenti anticipati, di richieste di prolungare la permanenza in servizio pari quasi a zero, di trasferimenti di mansioni è in linea col resto d'Italia. «I casi - dice dal suo osservatorio privilegiato il direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale, Guido Di Stefano - ci sono, ma non sono catalogati. L'analisi di questo testo, comunque, non stupisce. È sotto gli occhi di tutti che chiunque, sul lavoro, trasferisce lo stress e il logoramento dell'ambiente che lo circonda e in cui vive. Per il docente è lo stesso, ma a complicare le cose c'è la necessità di avere a che fare minimo con 25 ragazzini scatenati».
«Abbiamo fatto di recente, per altri motivi, un test, da cui emerge tra l'altro che il 25 per cento degli insegnanti ritiene di avere difficoltà emotive nel rapportarsi alla classe. Sono sicuro che se facessimo questa stessa analisi distinguendo tra chi lavora in città e chi invece insegna - senza viaggiare - nei comuni più piccoli, verrebbe fuori che è la città che aumenta lo stress. Poi si aggiungono altri elementi. L'incertezza che la classe docente ha vissuto negli ultimi 15 anni, con le riforme che vanno e vengono, l'avere il docente perso, nell'immaginario collettivo, l'autorevolezza di prima, il rapporto conflittuale con i genitori che considerano l'insegnante il "cattivo" che boccia il figlio. E poi c'è il tipo di approccio. Ritengo che sia necessario riflettere, puntare a forme di sostegno, dare più certezze e mettere dei paletti. Credo che per cercare di risolvere il problema bisogna investire sulla formazione, puntando non tanto sul sapere ma sulla comunicazione».
Un esperimento che in passato, a Palermo, è stato fatto. Come racconta Alessandra Siragusa, insegnante di lettere al liceo scientifico «Basile», ma qualche anno fa assessore comunale all'istruzione. «Ricordo - dice - che ci siamo posti il problema, per quanto di nostra competenza, alias gli asili nido e le materne. Puntammo sulla formazione, organizzando incontri, training, attività. E i risultati ci furono Il mestiere di docente, almeno per chi lo fa con dedizione, è certamente usurante, perché si ha a che fare con casi umani vivi e multiproblematici. L'impatto emotivo è pari a quello di chi fa l'assistente sociale. Va comunque distinto lo stress dalla pazzia che è un'autentica malattia della psiche che va curata».
Un'analisi più critica da Enza Albini (Cgil): «Sono contraria - afferma - alla medicalizzazione e alla psichiatrizzazione del problemi della categoria. Attenzione a trasformare frustrazione e disagio, che esistono e che sono più che legittime, col mettere il "bollino" di folli ai docenti. Non è giusto, sarebbe davvero il colmo. Bisogna anche riflettere su un altro dato: la figura dell'insegnante, rispetto al passato, è cambiata. Prima infatti il docente aveva un ruolo eminentemente didattico e contenutistico. Poco alla volta invece è finito col diventare il terminale di responsabilità che altri soggetti - la famiglia, le stesse istituzioni - gli hanno scaricato addosso e che non è facile fronteggiare. A questo poi si è aggiunta una generale caduta di autorevolezza. Invece di gettare la croce addosso ai docenti si dovrebbe lavorare alla valorizzazione del loro ruolo. Non è giusto esasperare la situazione, farla apparire più grave di quanto effettivamente è. Non è accettabile lo stereotipo di insegnante stressato per definizione».
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 Vittorio Lodolo D'Oria    - 05-05-2005
Spero solamente che tutti i docenti abbiano la possibilità di leggere il libro che mi permetterei di consigliare come libro di testo a chiunque volesse intraprendere la professione di insegnante.
Rifiutare di affrontare il problema perchè si ha paura di un ennesimo stereotipo negativo per la categoria, corrisponde a perpetuare il problema peggiorandolo.
Il mio invito è dunque a leggere il libro senza preconcetti di sorta e poi discutere serenamente su come correre ai ripari per docenti ed utenza.
Il concorso di tutti è d'obbligo (leggere la dedica del libro).
Un saluto a tutti gli amici di Fuoriregistro.

Vittorio Lodolo D'Oria

 ilaria ricciotti    - 08-05-2005
Perchè quando si affrontano temi inerenti i propri limiti come insegnanti, nessuno risponde, esplicitando le sue riflessioni ed opinioni in merito?
Tacere, a mio avviso, vuol dire o nascondere i problemi o che essi non ci sono e che i ragazzi , i genitori, noi stessi e quanti si occupano di scuola, quando affermano che molti insegnanti sono scarichi, si sbagliano, stanno bleffando.Ma siamo sicuri che spesso non abbiano ragione?
E' ora che con umiltà gettiamo la maschera!
Quella maschera che spesso abbiamo indossato o indossiamo, costretti da un'istituzione scolastica che non garantisce i diritti di nessuno.Che è diventata un'azienda dove non c'è più posto per le relazioni umane.

Quando gli esperti poi parlano di questo disagio, non dovrebbero limitarsi a SEGNALARLO, ma ad individuarne le cause intrinseche ed estrinseche e ad indicare più di una strategia per curarlo.

 da La Stampa    - 10-05-2005
Sono seicento (su 25 mila circa) gli insegnanti di Torino e provincia che negli ultimi anni sono stati sottoposti a una visita medico-legale (il 2,4%). Tra loro, un numero rilevante di casi di disagio psichico. “I casi accertati di patologie psichiche sono il 25%, quelle di patologie psichiche associate ad altre è del 24%”, spiega Cosimo Scarinzi, segretario Cub Scuola, il sindacato che ha invitato a Torino Vittorio Lodolo D’Oria, medico milanese, autore di “Scuola di follia” (Armando Editore). “Le malattie psicotiche sono il 5,4%, in media con le altre categorie di lavoratori. È interessante notare che le colleghe e i colleghi affetti da questi disturbi hanno in media 23,2 anni di servizio”. Scarinzi sottolinea la “mancanza di efficaci strategie per contrastare le situazioni di disagio”.
I dati fanno soprattutto riflettere sulle responsabilità – rispetto al diffondersi di un disagio più o meno conclamato – imputabili alle condizioni della scuola oggi. Giorgio Maccagno, dirigente dell’istituto professionale per il Turismo e commercio “Boselli”: “Disagio? Come potrebbe non esserci? Abbiamo precari con vent’anni di insegnamento… In certe persone si comincia a sentire un’insofferenza che si tramuta, dal punto di vista didattico, in primo luogo nell’incapacità di capire i ragazzi. Certo, i nostri primini possono essere anche “destabilizzanti”, con una visione del mondo che ubbidisce a regole difficili da capire. Io però, se non capisco, mi pongo il problema. Uno che non se lo pone va in crisi e basta”. Maccagno ha una ricetta: “Noi cerchiamo di creare un ambiente con ampi margini di tolleranza. Se oggi rimproveriamo l’allievo, questo magri non viene più a scuola: non si risolve niente con l’autoritarismo. Il pericolo sta nel pensare a una scuola che vuol produrre a tutti i costi qualcosa: questo può essere mortale. Non si deve abbassare il livello, occorre trovarne altri: una scuola basata sulla conoscenza, come ai miei tempi, non funziona più, mentre una basata sulle competenze sì. Ma questa scuola in generale è di là da venire. Basti pensare che gli allievi di quinta, sono trattati come quelli di 14 anni.”.
Giuseppe Bertero, dirigente dell’Itg “Guarini”, sottolinea le difficoltà: “Docenti sottopagati, cattedre a 18 ore, assenza di organico funzionale. Da un lato i docenti hanno il desiderio di fare progetti, gli stimoli ci sono, ma con quali risorse fisiche, economiche e mentali?”.
Ancora: “Dovremmo essere messi in condizione di pensare a dare crediti e non solo lottare contro i debiti. Con l’organico funzionale e cattedre di 16 ore si potrebbe insegnare per moduli e gruppi, come all’università. Ma oggi l’autonomia è zoppa. Se funzionasse meglio, i docenti avrebbero meno ansia”.
Il preside dell’Itis “Avogadro” si è trovato a gestire la patologia vera e propria. “Di fronte a queste situazioni – sempre segnalate da studenti e famiglie, che chiedono di cambiare il docente – i presidi si trovano in bilico tra pavidità socialmente dannosa e arroganza civilmente scorretta”, dice Giulio Cesare Rattazzi. Il passaggio obbligato è la visita medica. “Se risulta positiva, può esserci lo spostamento ad altra mansione. Oppure la sospensione. È l’amministrazione scolastica a decidere. Comunque, lasciare che il docente continui ad insegnare è un danno sociale”. Rattazzi aggiunge: “Su questi problemi dovrebbe esistere un’osservazione sociale fatta da altri ambiti. Non è giusto lasciare solo il preside, anche perché nel caso di docenti di ruolo l’iter per venire a una soluzione è molto garantista”.
La professoressa Giovanna Lo Presti, rsu Cub all’Itis Peano – dove si è tenuta una presentazione del volume di Lodolo D’Oria – è su altre posizioni: “Se l’insegnante oltrepassa il bordo e perde il controllo della situazione, l’istituzione si dimostra impietosa e non tiene alcun conto del fatto che le condizioni ambientali lavorative siano state tra le concause del burn out. Il dirigente sempre più spesso interviene su chi ha problemi nervosi con provvedimenti disciplinari, con sanzioni anche pesanti. Inutile sottolineare i danni ulteriori che ciò può produrre su persone già fragili. A volte basterebbe modificare in meglio le condizioni “ambientali” per recuperare un lavoratore, ma soprattutto una persona.

Maria Teresa Martinengo