Come accade per un fiume, nel quale la direzione della corrente, la sorgente che essa si lascia alle spalle e la foce verso cui corre ti dicono qual è la riva che hai a destra e quale quella che ti si pone a sinistra, così, se vuoi capirli, ti devi immaginare i fatti della storia: non hai solo davanti a te carte che leggi. Quei fogli ingialliti pongono alle tue spalle fatti, cose, persone. Chi sono? Che vogliono? E dove conduce la corrente che li trascina?
Sessanta
25 aprile sono una lunga successione di eventi, un lungo incontrarsi e scontrasi di fatti e di persone: la storia della Repubblica, la mia storia, la nostra storia. E la foce alla quale la corrente ha trascinato ogni cosa ora è davanti a noi. Questa festa della Liberazione, occorre dirselo chiaramente nonostante l'amarezza, chiama ad un appello: la Costituzione della Repubblica, che di un 25 aprile fu figlia, è stata gravemente ferita ed occorre aiutarla. Se mi lascio alle spalle tutto quello che è stato, come fosse una sorgente, per la prima volta mi accorgo di non sapere dire quale sia la riva destra e quale la sinistra. So che alla foce rischia di annegare un mondo. Dovesse accadere, destra o sinistra conterebbe assai poco.
Com'è necessario che si faccia nei momenti eccezionali della vita, e come sa bene chi è stato educato ad una scuola di pensiero rigorosa, credo sia giunto il tempo di voltare le spalle alla foce e risalire, costi quel che costi, quali che siano i rischi e la fatica, il corso del fiume, andando controcorrente. Quattro anni di berlusconismo non avrebbero potuto aprire ferite così profonde nel corpo del Paese se non avessero trovato una lunga via spianata.
Qui a Napoli il nostro 25 aprile nasce nei giorni di una breve e vittoriosa Resistenza nel lontano settembre del '43. E' la nostra liberazione: la conquistiamo col sangue, in giornate irripetibili, tra la caduta di Mussolini e le Quattro Giornate. E, tuttavia, in quei giorni, mentre sorge l'alba della guerra partigiana e della lunga agonia del fascismo, nasce l'ombra che oggi si allunga mortale sulla Repubblica nata dalla Resistenza, l'ombra che oggi oscura il cielo e sessant'anni dopo chiama a far quadrato contro un nemico antico, un serpente velenoso che non potemmo o volemmo finire come meritava.
Il funzionario di carriera del regime, nella città che ha battuto e cacciato via i nazifascisti anticipando le avanguardie anglo-americane, è ancora lì al suo posto. Il prefetto
Soprano è al suo posto e manda i suoi rapporti mensili non più a Mussolini ma a Badoglio. E' cambiato tutto, perché non cambi nulla. Di una ripresa fascista, egli scrive, "
manca qualsiasi sintomo". Al contrario, prosegue, si registra "
da parte comunista una ripresa di propaganda, una concreta attività mirante alla ricostituzione del partito e alla applicazione dei suoi principi programmatici". Quarantanove comunisti sorpresi e arrestati sono il trofeo che il prefetto fascista consegna a Badoglio assieme ad un consiglio: inoculi nel corpo del Paese il sottile veleno che, mutando il corso degli eventi, produca la malattia che oggi conduce moribonda alla foce la nostra Carta costituzionale. Soprano, come più tardi Fini e Berluconi, sa che colpire la sinistra, nel 1943 come nel 2005, è colpire la democrazia. Lo sa così bene che sottilmente scrive al suo complice romano: "
pur col più completo rispetto delle sagge direttive di non riconoscere partiti né esponenti di partiti, mi permetto sottoporre alla superiore attenzione della E. V. l'opportunità di avviare, alimentare, ed orientare nuove correnti d'ordine verso la ricostituzione del vecchio, glorioso partito liberale, contrastando così il passo al sovversivismo e cementando la difesa della nuova vita costituzionale della Nazione".
Riciclare i fascisti nell'organismo sano del Paese che si ribella in armi è la sola garanzia che resti alla conservazione. L'epurazione mai attuata – Sforza, chiamato a realizzarla, si vide costretto a dimettersi – e una larga amnistia, troppo larga perché la democrazia in gestazione non ne debba averne poi a risentire, spianano più tardi la via ai piani di Soprano e Badoglio. I fascisti, graziati, tornano a circolare, e si riproducono gettando il seme da cui nascono Fini, Storace, Bossi e Berlusconi, eredi diretti di Almirante e Giannini. E' per loro mano che giunge gravemente ferita alla foce la Costituzione figlia della Resistenza. Per mano degli eredi diretti di quei fascisti coi quali occorreva chiudere i conti.
Non dirò della Bicamerale, dei "
ragazzi di Salò" e della incapacità della sinistra di capire quale fosse la posta in palio. Non lo dirò. Non serve. Ora occorre il coraggio dei momenti cruciali e l'unità è un valore. I conti, se sarà necessario, si faranno dopo e chi ha sbagliato darà conto, perché sconfitto Berlusconi non resti tra noi l'ombra del berlusconismo. A noi di sinistra tuttavia consiglio di leggere e studiare. In quanto a me, l'aspetto al varco per giudicare se mi è amica o nemica e le ricordo le parole d'un
maestro: "
questa amnistia [...] raggiunge lo scopo contrario a quello per cui era stata emanata: pensiamo, quindi, che verrà giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto contro il fascismo e costituirà colpa essere stati in carcere ed al confino per questo". (Sandro Pertini – intervento all'Assemblea Costituente all'indomani dell'amnistia ai fascisti avvenuta il 22 giugno 1946).
Quello che occorre ora è un Parlamento che abbia l'animo di ripristinare la legalità.