tam tam |  riletture  |
Consiglieri o consigliori?
Scrive Ernesto Galli della Loggia nel suo pezzo "
" Credo che si tratti di un vero e proprio record: in oltre quattro anni di governo la destra, pur disponendo di tutte le risorse e gli allettamenti del potere, non è riuscita a portare nelle sue file, sottraendolo a quelle avversarie, un solo sindaco, un solo assessore regionale, un solo sindacalista, un solo deputato.
Fatto ancor più significativo: non un solo rappresentante di rilievo del mondo dell'industria e della finanza, non un solo esponente a qualsiasi titolo della società civile, un artista, un attore, che so, un sarto o un cuoco di grido, il presidente del Wwf, uno scrittore, un accademico di vaglia, un architetto: nessuno.
E' riuscita anzi nell'impresa di perderne qualcuno, dei non molti che aveva. Sia chiaro: non sto facendo l'elogio del trasformismo.
Voglio sottolineare piuttosto un aspetto tra i più evidenti del fallimento della destra di governo: la sua pressoché totale incapacità di stabilire rapporti positivi con il mondo a lei esterno, di influenzare, di attrarre, in una parola di essere inclusiva.
Un'incapacità che a sua volta molto probabilmente ne rimanda ad un'altra: a quella perfino di rendersi conto dell'esistenza del problema. ( ... )
"

Scrive bene l'illustre opinionista, ma la domanda fondamentale resta: ma questa maggioranza, questa destra, questo (mal)governo, possedevano la cultura del governare a nome di tutti i cittadini del bel paese, o semmai possedevano solo la cultura del (mal)governo della cosa dei pochi, del gruppo, della famiglia nella accezione più bieca di questo mondo?
Ha mai provato questa maggioranza, questa destra, questo (mal)governo ad allargare i suoi angusti e meschini orizzonti per includere l'altra metà del bel paese che seppur sconfitta aveva diritto ad essere ugualmente governata ed esigeva scelte che fossero indipendenti dal colore politico vincente del momento, ma che avessero la caratterizzazione di scelte fatte a nome del popolo italiano?
In quattro anni di (mal)governo o di governo a favore del gruppo, della famiglia, degli accoliti, non un solo passo in nessun campo è stato fatto per coinvolgere anche nelle scelte a più largo respiro i rappresentanti di quella altra metà del bel paese, che pur avendo negato il voto all'egoarca, si aspettava nei momenti alti e solenni della politica un coinvolgimento, tramite i suoi rappresentanti, che mirasse a rinsaldare i vincoli si appartenenza e di identità.
Nulla di tutto ciò; la capacità di includere questa maggioranza, questa destra, questo (mal)governo la ha esercitata solo ed esclusivamente verso le anime più imbelli dello scenario politico-istituzionale del bel paese, verso i voltagabbana, verso i saltimbanco di italica consuetudine, verso i peggiori dei " consigliori ", non abbisognando di consiglieri onesti, competenti, al servizio del bel paese nella sua interezza, sopra tutte le divisioni possibili di confraternite, parrocchie e via discorrendo.
Ne ha ben scritto Alberto Statera nella sua ultima corrispondenza dal titolo "Quella spina nel fianco che tormenta il Cavaliere" apparsa sul settimanale "Affari & Finanza", a proposito di una delle figure più equilibrate dello schieramento di maggioranza, e pertanto più inascoltata dall'egoarca e dal suo giro di "consigliori".

" Dopo il disastro elettorale è ormai una corona di spine. Ma alla primigenia "spina nel fianco" della Casa delle Libertà Berlusconi ha dato un nome e un cognome: non tanto Follini, che pure mal sopporta perché da giovane era quel professorino che gli faceva fare anticamera dai potenti democristiani cui andava a chiedere favori, bensì Bruno Tabacci.
Ex presidente della Regione Lombardia, dove era stato eletto alle 17 e 17 di un venerdì 17, astro nascente dell'ala tecnocratica della sinistra democristiana, quella allevata da Giovanni Marcora, l'antico partigiano bianco "Albertino", la carriera di Tabacci fu stroncata il 17 luglio 1992, quando il pool Mani Pulite lo accusò di ricettazione e illecito finanziamento dei partiti.
Assolto con tante scuse, Tabacci si era messo in testa di rifare la Dc, di restaurarne l'onore perché disse una volta "Citaristi (il povero segretario amministrativo pluricondannato) non è Previti e Andreotti non è Berlusconi" e perché non riusciva a dimenticare i leghisti che in Parlamento agitavano il cappio contro di loro, gli uomini di Fini che gli gridavano "Ladri, ladri!" e Emilio Fede che incitava dal teleschermo "Dagli al democristiano!"
A rifare la Dc ci provò con Cossiga fondando l'Unione democratica per la Repubblica, l'Udr, con lo scopo di allargare il fossato dentro l'Ulivo e preparare un Centro guidato da Prodi antagonista della sinistra, scomponendo uno dei due poli.
Ma fare progetti con Cossiga significa cadere nella neuropatia degenerativa. Passati sette anni, deputato dell'Udc di Follini e Casini, da presidente della Commissione Attività produttive della Camera, Tabacci , come il Conte di Montecristo, è tornato potente e spietato, scegliendosi il ruolo di certificatore ufficiale della "fine della galoppata", come la chiama Giuliano Ferrara, di Berlusconi e dell'odiato asse del Nord che lega a doppio filo il premier agonizzante al dentista bossiano che pretende di rifare la Costituzione dei padri nobili della Repubblica.
Vengo da un partito che ha superato le morti di De Gasperi e Moro ripete Tabacci figurarsi se può spaventarmi una dipartita, naturalmente politica, di Berlusconi.
Al premier l'hanno riferito i tanti zelatori ex democristiani e lui ha cominciato a detestare Tabacci, che lo tratta da "beduino", persino più di Follini.
Al quale Tabacci l'aveva detto: "Marco, non entrare nel governo, non ti daranno neanche una segretaria".
Con la "spina nel fianco", Berlusconi, come talvolta gli capita, ha fatto una sintesi perfetta. Se si va a rivedere l'attività di Tabacci negli ultimi anni, se ne ricava che non ha perduto occasione per criticare e ostacolare nel lavoro parlamentare le peggiori iniziative del governo: dalle rogatorie internazionali alla legge Gasparri sulle Tv, dalla salvaPreviti alla devolution, non ne ha fatta passare una.
Per non dire dell'opposizione alla conferma del mandato a vita del governatore della Banca d'Italia, contrattata personalmente da Berlusconi, tra l'altro per salvare dal fallimento, in nome dell'asse del Nord, la Banca della Lega, finita sotto le ali protettive della Popolare di Lodi, la banca dai conti un po' così guidata dal pupillo di Fazio, Gianpiero Fiorani.
C'è una cosa che Berlusconi forse non sapeva quando ha lanciato l'anatema della spina nel fianco, cioè che Tabacci incontra abitualmente Prodi, dal quale è molto stimato.
E' vero che la Lega ha già chiesto di sottrargli il collegio sicuro in cui è stato eletto, ma Tabacci non è un frollino che cambia casacca per questo.
La verità è forse proprio in quello che di lui e di Follini pensa il premier: non sono nostri, è gente di centrosinistra.
Nel tempo che gli resta a Palazzo Chigi, Berlusconi alle spine nel fianco dovrà abituarsi. Da Prodi è una processione, non solo di parlamentari forzisti, ma di banchieri, di manager pubblici e privati. Le spine nel fianco di Berlusconi già non sanno più dove metterle.
"


  discussione chiusa  condividi pdf