La Comunità di Pace San José de Apartado costretta ad abbandonare la propria terra
Scappano, ancora. Scappano dalla guerra, dalla violenza, dalle armi, dalle minacce. L’unico obiettivo è preservare la neutralità e quindi la vita, è mantenersi fuori da ogni schieramento, non essere coinvolti dagli attori armati che da quaranta anni insanguinano la Colombia. Hanno scelto la pace a tutti i costi e per questo sono pronti a tutto, a ogni sacrificio.
Senza pace. La Comunità di Pace di San José de Apartadó, ancora sconvolta
dall’impunito massacro di otto dei suoi, fra cui alcuni bambini, avvenuto circa un mese fa per mano paramilitare, è costretta a l’ennesimo sacrificio.
Dal 30 marzo la polizia sta entrando nel piccolo villaggio con un seguito di psicologi, sociologi, persone che filmano e distribuiscono volantini in cui si propone di collaborare con la polizia. Il tutto spinti dalla filosofia politica del presidente della Repubblica Alvaro Uribe, secondo il quale “nelle società democratiche non esiste la neutralità dei cittadini di fronte al crimine. Non c’è nessuna distinzione tra poliziotti e cittadini”. E loro non hanno avuto scelta: il 1 aprile è iniziato il loro esodo.
L'invasione. E così, frotte di poliziotti hanno ottenuto la licenza di invadere i territori ancestrali delle comunità contadine, cercando di convincerli a partecipare alla loro lotta per il potere, contro i guerriglieri.
“Il 30 marzo – raccontano dalla Comunità - sono rimasti fino alle 2 del pomeriggio e hanno distribuito volantini, sventolando opere educative con i bambini e opere sociali. Anche il 31 marzo ci siamo visti arrivare una moto con due uomini muniti di armi corte, poi il sacerdote della polizia che ha annunciando al megafono l’imminente arrivo degli agenti. Mezz’ora dopo un autobus carico di un centinaio di persone ha invaso il villaggio. Tra loro vari poliziotti con dolci e tamburi che invitavano la comunità a lavorare con la polizia e che filmavano noi e le nostre case. Quando alcuni bambini si sono rifiutati di prendere i regali e i dolci che stavano distribuendo, alcuni poliziotti e il sacerdote si sono arrabbiati urlando che l’avremmo pagata cara”.
Neutrali ad ogni costo. "Non possiamo convivere con loro, è impossibile – spiega Eillinton Cuesta Cordoba, leader campesino e vice-presidente del Consiglio Maggiore della Comunità del Rio Jiguamando e delle famiglie del Curvaradò, comunità di afrodiscendenti che vivono gli stessi drammi della gente di San Josè - Significherebbe prendere posizione di fronte alla guerra, significherebbe prendere parte al conflitto. Noi siamo fuori da ogni scontro. E vogliamo restarci. Dove ci sono poliziotti, ci sono paramilitari e dove ci sono paramilitari arrivano i guerriglieri. E’ un giro vizioso. E’ il gioco della guerra civile, di questa guerra civile, e noi non vogliamo giocare. Vogliamo essere rispettati nei nostri diritti, nella nostra terra, nella nostra vita. Ma questo Stato non sembra permettercelo. Vuole armare i nostri figli e rubare la nostra terra e le sue immense ricchezze. Il resto sono solo parole. Abbiamo bisogno che il silenzio venga rotto, che il mondo sappia questa verità, che è tutt’altro dalla propaganda uribiana ”.
La risposta del governo. “È veramente oltraggioso ciò che sta facendo il governo – raccontano ancora da San José de Apartado -. L’esercito ha massacrato otto persone e come risposta ci manda la polizia come ipotetica quanto improbabile soluzione ai nostri problemi. Ma si è completamente dimenticato delle quattro riunioni avute col vicepresidente proprio su questo argomento e del nostro fermo rifiuto a convivere con poliziotti o militari che siano? E’ chiaro dunque che non ha più alcun senso continuare a dialogare con il governo, perché tanto non ci ascolta. Ci siamo riuniti con i suoi delegati per ben due anni e il risultato è stato un grave incremento delle aggressioni e la chiara intenzione di distruggere il nostro processo di pace. Abbiamo il diritto di conoscere qual’è la posizione del governo di fronte alla comunità e se si prenderanno vere misure di protezione come ha ordinato la Corte Interamericana. Per ora l’unica risposta ottenuta è l’arrivo della polizia e le sue azioni psicosociali. Il governo ha preso una decisione di guerra verso una comunità che crede nella pace e che vive in essa. Da ora in poi quindi non parleremo più con lo Stato, ma solo con i difensori del popolo e con la procura nazionale affinché si arrivi a ottenere attenzione sul nostro villaggio e rispetto della nostra proprietà privata, continuamente violata.
Diritti calpestati. “Esigiamo il rispetto per il luogo in cui siamo e che è proprietà privata. Esigiamo il rispetto per il nostro processo, per le zone umanitarie e per le poche famiglie che hanno deciso di rimanere nel villaggio di San José. Non accettiamo l’infamia di coloro che vogliono dire che le famiglie sono state obbligate ad andarsene o che è stata semplicemente una decisione dei leader. Questa è una decisione collettiva e chiunque ha pieno diritto di non condividerla.
Chiediamo la solidarietà internazionale e nazionale in questi momenti in cui si pretende di realizzare la distruzione del nostro processo. Sappiamo che un giorno la storia giudicherà questi fatti, questi insulti, queste ingiustizie, questo Crimine di Lesa Umanità che si è perpetrato contro la nostra comunità. Arriverà anche il giorno in cui un governo rispetterà le iniziative di pace che nascono dalle comunità civili che soffrono la guerra, crediamo che ciò che hanno fatto con noi sia un errore storico per il paese e per l’umanità e questa un giorno si prenderà l’incarico di giudicarlo”.
Stella Spinelli
Peacereporter