tam tam |  grande cocomero  |
Il fenomeno del bullismo
Nuovo vivere oggi - 09-04-2005
GIOVANI PREVARICATORI E GIOVANI VITTIME

Aguzzini e vittime tra adolescenti, giovani che si trasformano in prevaricatori e altri invece che diventano vittime. Questo è il fenomeno del bullismo che sempre più spesso compare nelle cronache quotidiane. Non perché in crescita, ma solo perché scoperto, rivelato. Probabilmente un fenomeno che è sempre esistito, ma che spesso l'adulto inseriva nel processo di crescita e di maturazione e permetteva, quasi come una prova iniziatica per diventare adulto.
Ma quante vittime hanno subito le sue conseguenze nella loro vita anche adulta e quanti bulli hanno poi perpetrato il comportamento negativo da adulti.

Le dimensioni del fenomeno

Da alcune recenti ricerche emerge che il 15% degli studenti dichiara di essere stato picchiato, il 25% ha subito ricatti, il 50% dice di essere stato deriso e il 70% ha dichiarato di avere assistito a violenze sui compagni.
A volte le prepotenze sono avvenute tra singoli individui, ma molte altre sono state parte di un rituale di gruppo. Si è parlato del branco che ricerca i propri capri espiatori, si sottolinea ancora la connivenza del gruppo di compagni.
Quali sono le origini di tali comportamenti e quali sono le caratteristiche di questo fenomeno allarmante che si sta manifestando nelle scuole?

Solo da pochi anni in Italia sono state avviate ricerche su questi fenomeni. Tra le varie ricerche in Italia è stata presentato nel 2004 uno studio effettuato a Milano dalla Asl Città di Milano su 59 scuole elementari e medie della città.
Il bullismo fisico è quello che maggiormente viene perpetrato dai maschi mentre quello psicologico e verbale condiviso in pari modo da maschi e femmine. Un bambino su 2 subisce una violenza nel corso dei suoi anni di scuola (51,9%) nelle elementari, uno su tre nelle medie. Milano sembra essere una delle città più colpite da questo fenomeno in Italia.
Solamente il 55% degli alunni però è disposto ad aiutare i propri compagni colpiti dal bullismo.
Secondo i dati di una ricerca effettuata in alcune regioni italiane(1) emerge che almeno il 35% dei bambini ha subito qualche forma di violenza in aula, e un 23% ammette di esserne stato autore. Ancora sottolineata l’indifferenza del gruppo dei coetanei e degli insegnanti che si dichiarano impotenti nei confronti di tali eventi.
In un’indagine romana(2) si sottolinea che il luogo ideale dove sono avvenuti questi fatti è la classe e sempre in questa indagine è emerso che il 54% degli studenti romani ha subito uno o più soprusi(3).
Le maggiori denuncie del cosiddetto “bullismo a scuola” sono state sinora segnalate a Roma, ma anche in altre città cominciano a giungere dati di violenze e soprusi tra studenti, infatti ne sono stati vittime il 29,6% dei ragazzi intervistati a Firenze, il 33,1% delle ragazze e il 27,4% dei maschi nelle scuole di Cosenza, al 20,4% è stato rubato qualcosa da altri compagni, sempre a Firenze il 46,7% dichiara di essere stato offeso e di avere subito parolacce da compagni mentre a Cosenza il dato sale al 52,5%(4).
Questi fatti avverrebbero nel 41 % dei casi tra scuola materna ed elementari, nel 26% nelle scuole medie inferiori, e nel 33% nelle scuole superiori.
Questo fenomeno sicuramente non è un dato nuovo nella realtà della gioventù, ognuno forse può raccontare episodi di questo genere, di cui è stato vittima o che ha visto infliggere ai propri compagni, ma i dati recenti, sembrano mostrare un aumento di questa realtà sinora sommersa e forse troppo a lungo considerata un momento di “crescita” e un modo per “farsi le ossa” da una certa cultura autoritaria che ha permesso e spesso lodato “gli eccessi” della gioventù, sino a giungere a fenomeni come il nonnismo nel servizio militare.
I dati passati sono pressoché irreperibili, proprio perché questo fenomeno sinora era stato trascurato e considerato una questione di pari, ma oggi molti studi hanno evidenziato come la realtà dell’aggressione nel gruppo o tra sottogruppi sia un problema per una società che vuole garantire i diritti civili di tutti i suoi membri e che non può più tollerare che alcuni giovani frequentino il loro primo importante luogo di socializzazione con paura e ansia dovuto al prevaricare di alcuni nell’indifferenza sia di adulti che dei compagni.
Nell’affrontare il tema del bullismo quindi è importante ribadire quindi il “diritto fondamentale di ogni ragazzo nella scuola e, più in generale, di sentirsi sicuro e di non essere oppresso e umiliato”(5).
I primi studi sistematici su questo fenomeno sono stati svolti alla fine degli anni sessanta in Scandinavia ed è stato dimostrato in maniera convincente che il bullismo è un problema rilevante nelle scuole elementari e medie(6).
Secondo la definizione di uno dei maggiori autori scandinavi che ha trattato il bullismo si può dire che “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni”(7).
I primi dati mondiali hanno riferito diverse statistiche (anche diversificate in base alla definizione di aggressioni o bullismo che in ogni ricerca venivano date) sempre comunque preoccupanti: 6% in Finlandia, il 27% in Inghilterra, l’8% in Irlanda, il 13% in Giappone, il 15% in Norvegia, il 15% in Spagna, il 20% in Canada.

Il bullismo in gruppo (8)

Al primo sorgere di studi sul fenomeno dell’aggressività nella scuola, si sottolineò in modo centrale il ruolo del gruppo.
Un primo lavoro che diede inizio alle ricerche e alla discussione su questo fenomeno, fu quello di Heinemann del 1972(9) che usava il termine mobbing da mob, che in inglese significa banda.
Da allora si è chiarita meglio la definizione di tale fenomeno e centrato anche l’attenzione sul ruolo sia del gruppo che del singolo.
Il lavoro di Heinemann parlava di aggressione in banda e ne studiava le diverse realtà.
L’autore (come nota Olweus nei suoi lavori successivi) si rivolgeva “principalmente alle varie forme di violenza nel gruppo, diretta in genere contro qualche individuo che non si adatta ad esso“(10).
Facendo anche riferimento agli studi etologici di Konrad Lorenz, Heinemann giungeva alla conclusione che i fenomeni potevano essere collocati nel ”tutti contro uno” In questi studi però si perdeva di vista il ruolo dei singoli prevaricatori, riconducendo al gruppo omogeneo e anonimo.
Inoltre considerare il fenomeno solo come derivato dal gruppo poteva sopravalutare situazioni temporanee determinate dove il gruppo agiva, infatti i gruppi spesso agiscono in situazioni particolari con reazioni emotive esplosive, limitate nel tempo, che non possono però dare una spiegazione al fenomeno del cosiddetto bullismo che invece è stato rilevato ben più ampio.
Un attento studio della condizione stessa della vittima è riuscito quindi ad individuare anche una altra caratteristica del fenomeno, che poteva prendere in considerazione non solo le dinamiche di gruppo ma anche quelle dei singoli, senza peraltro trascurare il ruolo dei gruppi o dei sottogruppi nel manifestarsi di questo fenomeno di aggressività.
Dal dibattito degli anni settanta si è quindi arrivati a includere nel concetto di bullismo o bullying sia l’azione del gruppo (il mobbing) sia quello del singolo individuo che prevarica le sue vittime.
Il ruolo del gruppo è comunque stato ancora oggetto di analisi e di studi proprio perché con i suoi meccanismi può agevolare le scelte comportamentali aggressive dei singoli.
Esistono infatti Modelli Aggressivi, quali il cosiddetto “contagio sociale”, con la presenza dei cosiddetti “bulli passivi” o gregari che si accodano ad un sottogruppo aggressivo.
Inoltre nel gruppo può avvenire un indebolimento del controllo e dell’inibizione nei confronti delle tendenze aggressive, che sono poi aumentate con le ricompense che si possono avere con la vittoria sulla vittima.
Il gruppo, è risaputo, riduce inoltre il senso di responsabilità individuale e quindi facilita la scelta di alcuni comportamenti negativi altrimenti non attuati.
In genere il bullismo si manifesta con azioni di piccoli gruppi, ma anche isolatamente tra due individui, l’aggressore e la vittima.
Alcuni autori italiani(11) hanno considerato che il fenomeno dell’aggressività a scuola e del bullismo è collegabile ad alcuni relazioni intercorrenti: 1) modelli culturali dell’aggressività presenti nel contesto sociale 2) fattori soggettivi 3) variabili situazionali che favoriscono l’insorgere ed il permanere delle condotte violente 4) le diverse manifestazioni dell’aggressività 5) le percezioni e i vissuti del soggetto verso il comportamento aggressivo 6) i feedback relazionali che pervengono al soggetto.
Il bullismo sarebbe quindi una “patologia relazionale del campo gruppale, che prende forma entro un gioco di collusioni reciproche improntate al mantenimento della dogmaticità e all’elusione della responsabilità”(12). Il ruolo del gruppo però è stato anche spesso sottovalutato. Secondo uno studio effettuato a Palermo(13) gli insegnanti riferirebbero che solo alcuni casi riguardano fenomeni di gruppo, mentre la maggior parte dei casi secondo quanto rilevato avverrebbe tra singoli. In questo caso gli autori hanno voluto sottolineare che questa opinione rappresenta un distanziamento difensivo dal fenomeno, che i professori attuerebbero.

Il silenzio del gruppo

Il gruppo non è solo autore, spesso, di atti di bullismo, ma ne è anche complice connivente quando i compagni della classe non si oppongono o non si “intromettono” in questi fenomeni. Infatti “Il fenomeno del bullismo è concepibile come un fenomeno di gruppo, che coinvolge oltre al bullo ed alla vittima anche i coetanei spettatori delle prepotenze, sia che questi non intervengano sia che agiscano a favore della vittima o del prevaricatore”(14).
Da qui quindi il presupposto che gli interventi devono avvenire a livello di singoli, di classe e di scuola con la elaborazione di strategie personali e collettive di riduzione del fenomeno.
Infatti oggi tutte gli interventi attuati in Scandinavia e nei paesi anglosassoni sottolineano il ruolo positivo del gruppo: La mediazione viene dai pari. Non la repressione ma il ruolo del gruppo dei pari nella sconfitta del bullismo(15).

Il fenomeno del bullismo

Analizziamo ora brevemente come gli autori hanno inquadrato sinora tale fenomeno in base agli studi effettuati.
Come già rilevato il bullismo può essere attuato sia da singoli che da gruppi di alcuni ragazzi/e. Si può distinguere un bullismo diretto, con azioni aggressive, e un bullismo indiretto che provoca in genere l’isolamento della vittima dal gruppo. Nella maggior parte dei casi gli atti di prevaricazione avvengono in gruppi di 2 o 3 ragazzi. Per definire infine l’azione come atto di bullismo si è concordi nel ritenere che l’atto debba prevedere una asimmetria nella relazione, dove ovvero i più forti si impongono su un debole.
I maschi sono maggiormente esposti al bullismo rispetto alle femmine, anche se le ragazze sono maggiormente esposte al bullismo indiretto. I maschi inoltre sono per la maggior parte gli attori di atti di bullismo rivolto alle femmine.
Dagli studi effettuati in Scandinavia emerge che circa il 50% delle vittime afferma che gli insegnanti non sono quasi mai intervenuti, inoltre circa il 70% degli studenti affermano che non si è mai parlato in classe del fenomeno e nelle stesse percentuali, si afferma che il ruolo genitori è stato assente.
Questo dato dimostra l’assenza dell’intervento da parte degli adulti che devono trovare un ruolo consapevole per facilitare nella scuola “armoniche relazioni sociali nei gruppi”
Gli atti di bullismo avvengono nella scuola, contrariamente a quanto si possa credere. Non è infatti vero che il bullismo si attui soprattutto nei percorsi di tragitto casa-scuola.
Dai dati delle ricerche viene inoltre smentito l’altro mito che questi episodi avvengano soprattutto nelle grandi città. Le ricerche nel nord Europa infatti evidenziano che gli atti avvengono sia nelle grandi città che nelle piccole località di provincia. Anzi sembra che le città ne siano meno colpite, probabilmente perché nelle grandi città si è creata una maggiore consapevolezza del problema del bullismo, contrariamente a quanto avviene in provincia.

Caratteristiche degli attori

Quali sono le caratteristiche dei giovani coinvolti nel bullismo?
Un primo dato importante è quello della stabilità nel tempo. Infatti il comportamento aggressivo è una caratteristica piuttosto stabile. Una persona che si atteggia a bullo o che ne è vittima lo rimane a lungo nel tempo, anche per diversi anni.
Un altro dato fondamentale è quello che il fenomeno non tende a scomparire spontaneamente.
È opinione diffusa che questi atti aggressivi siano collegati ad una normale competizione scolastica. Non esiste invece, dai dati rilevati, nessuna correlazione tra successo scolastico o insuccesso e atti di bullismo. Sicuramente questi atti invece agiscono sul successo scolastico in quanto creano sia nelle vittime, che negli attori un insuccesso nel rendimento scolastico.
Nei primi studi si parlava di vittime collegate a caratteristiche esteriori sfavorenti, ma in realtà emerge solamente una caratteristica nella vittima, ovvero quella di una disparità di forza fisica, I tratti fisici giocano un ruolo assai minore rispetto a quanto si potrebbe ipotizzare.
Alcuni studi olandesi hanno invece individuato un possibile ruolo dell’immigrazione nel creare vittime di atti di prevaricazione.
Secondo Olweus le vittime possono essere suddivise in due grandi gruppi: le vittime passive o sottomesse, che appaiono più ansiose e insicure dei loro compagni, reagiscono spesso piangendo all’aggressione, dimostrano una scarsa autonomia, si considerano fallite, e spesso nel gruppo sono isolate e abbandonate. Questi soggetti mostrano spesso reazioni di insicurezza e mostrano una notevole difficoltà a reagire agli insulti. Spesso tali caratteristiche ansiose e sottomesse sono anche associate a una debolezza fisica che rende sicuri nel loro agire gli aggressori.
Altro gruppo di vittime sono quelle cosiddette provocatrici che dimostrano una combinazione tra un modello reattivo ansioso e un altro aggressivo.
Le caratteristiche del bullo invece possono essere riassunte in un forte bisogno di potere e dominio, condizioni familiari spesso inadeguate, mostrano un comportamento strumentale che è centrato alla ricerca di vantaggi, spesso ricompensato dall’atto aggressivo con un accresciuto prestigio nel gruppo. Il bullismo può essere interpretato come aspetto di un più generale comportamento antisociale(16).
Questi fenomeni possono essere ricondotti a stili educativi che possono influenzare il futuro comportamento prevaricante. Sono presenti spesso quattro fattori: l’atteggiamento emotivo dei genitori, stili educativi permissivi e tolleranti, l’uso coercitivo del potere, il temperamento del bambino(17).
Altri fattori favorenti sono quelli di conflitti tra genitori che coinvolgono i bambini e genitori che attuano comportamenti ricattatori e violenti, imitati dai figli.
Sembrano invece non collegabili alla origine di comportamenti prevaricanti: le condizioni socioeconomiche, il grado di istruzione della famiglia, il tipo di abitazione e il fenomeno appare decisamente trasversale socialmente.
Come già citato in precedenza il fenomeno del bullismo è inserito in precisi meccanismi di gruppo, come i modelli aggressivi del contagio sociale, che genera i bulli gregari, la ricompensa della vittoria che rinforza il comportamento (specialmente se si assiste alla latitanza degli adulti), e la riduzione del senso di responsabilità personale, che il gruppo riesce a creare , riducendo i sensi di colpa nei confronti di un comportamento altrimenti ritenuto negativo.
Si è parlato spesso dell’induzione di tali atti possano avere i mass media e gli spettacoli televisivi violenti, ma unico dato accertabile è quello che ovviamente personalità che agiscono atti di bullismo preferiscono guardare film violenti o leggere fatti “neri” e non è dimostrabile invece sinora una genesi di tali atti dovuta ai mass media. Sicuramente infine agisce molto oltre alle condizioni sociali, anche il temperamento più aggressivo del bambino che trova nel sociale dei rinforzi alle sue tendenze interne.
Nell’affrontare il problema dobbiamo domandarci “che tipo di opinione sui valori sociali può acquisire uno studente che viene ripetutamente prevaricato da altri studenti senza che gli adulti intervengano?”(18).
L’intervento contro il bullismo deve partire da un lavoro nella scuola, nella classe e con i singoli. Solo con progetti di discussione sul problema e con la sensibilizzazione di insegnanti e allievi si potranno vincere le basi di gruppo che possono far emergere questi fenomeni.
È da rilevare che non esiste alcuna prova che un atteggiamento tollerante e permissivo possa essere utile ai ragazzi aggressivi per togliersi di dosso i comportamenti negativi che hanno manifestato, come in precedenza si ipotizzava.
È importante invece che il ruolo del gruppo scolastico, compresi insegnanti e genitori, ma soprattutto il gruppo dei pari possano essere un valido strumento contro questi atti di prevaricazione.
Occorre costruire una resistenza contro questi fenomeni aggressivi (resiliance) che può originare dallo sviluppo di fattori protettivi. Sviluppare quindi un buon rapporto amicale, la costruzione dell’abilità di negoziazione e risoluzione del conflitto, un rinforzamento del senso di autosufficienza ed infine un buon rapporto comunicativo con genitori(19).

Stop al bullismo! Un intervento a Milano

Il progetto STOP AL BULLISMO! Strategie per ridurre i comportamenti aggressivi e passivi, è un intervento rivolto alla Scuole elementari e medie inferiori promosso dalla ASL di Milano(20).
L'intervento si pone L'OBIETTIVO di informare e offrire conoscenze e strumenti agli insegnanti, ai gruppi classe e ai genitori delle scuole dell'obbligo per:

- ridurre le prepotenze, l'aggressività e le manifestazioni di bullismo in ambito scolastico
- migliorare l'autostima, l'autoefficienza e la motivazione degli alunni
- sviluppare le competenze sociali
- saper gestire i rapporti difficili
- condurre la classe in modo efficace
- migliorare le abilità comunicative tra alunni e tra alunni e insegnanti
- promuovere una cultura scolastica basata sui valori della democrazia, della legalità e della solidarietà
- intervenire specificamente in scuole - classi che segnalano episodi di bullismo
- rilevare e monitorare il fenomeno del bullismo

L'intervento è rivolto a tutti gli alunni della classe e non direttamente ai bulli e alle loro vittime perché è necessario agire sulla comunità degli "spettatori" per ottenere un cambiamento stabile e duraturo. È modulato sulle singole realtà socio-ambientali e scolastiche e progettato insieme agli insegnanti.

Gabriele Codini

Note:

-----------------------

(1)Fonzi A., Il bullismo in Italia: il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Psicologia e Scuola, a .18, n.87, 12/1 1997-1998

(2)ANSA UNICEF, Scuola : prepotenze in classe, fenomeno in crescita. Ansa 1 ottobre 1997

(3)“Ass. differenza donna” indagine del 1997 su 1500 studenti di cui 500 a Roma nelle scuole medie inferiori e superiori.

(4)“Ass. differenza donna”

(5)Olweus Bullismo a scuola. Giunti ed. 1996

(6)idem

(7)Olweus, 1986

(8)tratto in parte dall'articolo di Gabriele Codini pubblicato su Rinnovare la scuola “Il bullismo come fenomeno di gruppo”, Rinnovare la scuola, n.8, luglio/ottobre 1999, ppgg. 51-60.

(9)Heinemann P.P. Mobbing. Gruppvald bland barn och vuxna, Stocholm, natur Och Kultur, 1972

(10)Olweus D., L’aggressività nella scuola , Bulzoni editore, ed italiana 1983 originale 1973.

(11)Di Maria Franco, Oltre la violenza. Una ricerca/intervento sul bullismo. Parte prima: inquadramento multidimensionale del fenomeno. In Psicologia e scuola, a.18 n.88, 2/3 98 ppgg 3-14

(12)idem

(13)Di Maria Franco, Oltre la violenza. Una ricerca/intervento sul bullismo. Parte prima: inquadramento multidimensionale del fenomeno. In Psicologia e scuola, a.18 n.88, 2/3 98 ppgg 3-14

(14)Menesini E., Prevaricatori e vittime tra i banchi di scuola: Bullismo: che fare?” Psicologia contemporanea, n.149, 9/10 1998 ppgg 38-44

(15)Baldry Anna Costanza, Bullismo a scuola e mediazione fra i pari. In La sfida della mediazione, a cura di G. Pisapia, Milano Cedam 1997

(16)Olweus, già citato

(17)Olweus D. idem

(18)Olweus

(19)Fonzi A., Caprara G.V., Abilità prosociali e prevenzione del rischio. Dossier in Età Evolutiva n.60, 6-1998

(20)dal sito della ASL città di Milano


  discussione chiusa  condividi pdf