breve di cronaca
L'Aran
www.lavoce.info - 06-04-2005
La legge n. 29 del 1993 "privatizzò" il rapporto di lavoro nel pubblico impiego e istituì anche l’Aran, che rappresentò una vera e propria invenzione istituzionale.

La "Confindustria" del settore pubblico

Aran sta per Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni. Non è una "authority", quindi, bensì un ente che rappresenta le amministrazioni pubbliche nei negoziati coi sindacati. Qualcuno l’ha definita come la "Confindustria" dei datori di lavoro pubblici. Obiettivo del legislatore era di de-politicizzare la contrattazione collettiva nel pubblico impiego e creare una distanza di sicurezza tra Governo e i tavoli contrattuali.

Prima del 1993, le risorse necessarie per i rinnovi contrattuali venivano indicate nella Legge finanziaria e successivamente il ministro del Tesoro e il ministro della Funzione pubblica avviavano le trattative coi sindacati. Raramente le indicazioni della Legge finanziaria venivano rispettate. I tetti venivano in genere sorpassati e talvolta si assisteva a una gara fra Governo e i sindacati per stabilire chi era il più generoso coi pubblici dipendenti. Quel sistema è stato cambiato, ma non tutte le procedure sono state sostituite. Le risorse necessarie per i rinnovi vanno sempre inserite nella Legge finanziaria. Il Governo però non contratta più; deve solo inviare all’Aran delle direttive (che devono essere di carattere generale) sugli obiettivi da raggiungere nella contrattazione e indicare anche il vincolo di bilancio finanziario da rispettare. Poi inizia il negoziato fra Aran e sindacati, che, per la parte economica, riguarda la modalità di distribuzione delle risorse disponibili.

Di fatto, si è consolidata anche una prassi di contrattazione, di tipo informale, fra sindacati e Governo sull’entità del "budget"da inserire nelle direttive da inviare all’Aran. Di conseguenza i tavoli negoziali sono diventati due, in successione: il primo informale e il secondo formale. Ne è derivato un sistema di contrattazione dai risvolti incerti e complicati, che incentivava comportamenti opportunistici e processi di de-responsabilizzazione istituzionale.

Condizioni disattese

Per riuscire a tenere in piedi un sistema di questo tipo occorreva che fossero rispettate alcune condizioni. Almeno due, in particolare.
La prima era che l’Aran fosse sufficientemente autorevole per far sentire la propria voce nel momento in cui correva il pericolo di essere scavalcata dal Governo, continuamente tentato di riprendersi in mano la contrattazione su tutti gli aspetti rilevanti del negoziato.
La seconda condizione era speculare rispetto alla prima: riguardava la volontà politica del Governo di resistere a questa tentazione e quindi di rispettare i ruoli istituzionali, senza approfittare della propria posizione di forza (si ricordi che il Governo nomina il presidente dell’Aran e lo può anche confermare nel ruolo). Purtroppo, queste due condizioni sono venute progressivamente a mancare. L’Aran ha continuato a svolgere con serietà e competenza un ruolo tecnico, ma sempre più di carattere esecutivo, come fosse diventata una direzione generale del ministero della Funzione pubblica. La responsabilità di fatto del negoziato si è spostata sul Governo che è diventato il vero interlocutore negoziale su tutto il contratto e non solo sulle risorse complessive da destinare alla contrattazione. Gli avvenimenti recenti e in particolare il fatto che l’ultimo contratto sia scaduto da quindici mesi, hanno ulteriormente aggravato la confusione dei ruoli sul piano istituzionale.
I sindacati, dal canto loro, mentre fino a qualche tempo fa pensavano di sfruttare l’esistenza di due tavoli di contrattazione (per rilanciare sull’uno quello che non riuscivano a ottenere sull’altro), ora si trovano in difficoltà, perché entrambi i tavoli sono come spariti. Infatti, da un lato, il Governo non ha accettato, almeno sinora, di confrontarsi col sindacato sul complesso di risorse da destinare ai rinnovi. Dall’altro lato, i sindacati trovano l’Aran praticamente "chiusa", perché senza direttive dal Governo, i negoziati non possono nemmeno partire. Anche se, come tutti si augurano, si trovasse una soluzione al rinnovo contrattuale, è del tutto evidente che il sistema, così come era prefigurato dal legislatore riformista, esce ulteriormente indebolito da queste ultime vicende e l’Aran rischia di diventare una istituzione "usa e getta". Se il legislatore dovesse rimetter mano al disegno del 1993, dovrebbe per lo meno porsi l’obiettivo di fare chiarezza sui diversi ruoli istituzionali da svolgere e di individuare meccanismi idonei che inducano a rispettarli.

Carlo Dell'Aringa

* E' stato Presidente di ARAN.

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