Il secondo ciclo: che ne è delle Indicazioni?
Maurizio Tiriticco - 27-03-2005
Da un impianto normativo assai discutibile…

E’ noto che alla vigilia di una scadenza elettorale ogni decisione politica importante viene congelata in attesa di… E ciò è accaduto anche per lo schema di decreto sul secondo ciclo. L’amministrazione ha accolto qualche istanza dei sindacati e delle Regioni, anche se il tessuto resta quello che è! Ma, basta qualche ritocco per migliorare il tutto? L’interrogativo è grande! Il fatto è che alcune delle questioni nodali, quali quella del destino degli istituti tecnici e professionali non appaiono assolutamente risolte! Gli otto licei otto sono quelli che sono: qualche ora in più, qualche ora in meno, qualche materia rivisitata, aggiunta o cancellata… insomma quisquiglie… puro cabotaggio…
E doveva essere così! Se si è chiamati a discutere solo sull’articolato del decreto, ne emergono solo correzioni parziali! Ma è l’impianto che doveva essere discusso. O meglio, quando ci si è avviati alla definizione dell’impianto e alla stesura dei singoli articoli, non si doveva permettere che il Miur si chiudesse a riccio e affidasse il tutto agli anonimi esperti. L’intera operazione doveva essere aperta alla “politica”, almeno al confronto con le Regioni in sede, anche informale, di Conferenza Unificata. E tale procedura non sarebbe stata affatto extra legem!
Mo così non è stato! Ed ora? I nodi sono tutti irrisolti e… ce la faremo per la scadenza autunnale? O i tempi stretti daranno luogo soltanto a soluzioni abborracciate?
L’ho sempre detto! Chi ha scritto la legge 53 ha tenuto conto solo parzialmente della riforma costituzionale, e l’ha scritta guardando più al passato che al futuro. Quindi, non è nata una legge di adeguamento costituzionale, come è scritto nell’epigrafe (delega al governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione), ma una legge di riforma della scuola che è un’altra cosa! Di fatto, la legge 53 non è stata prodotta da un nuovo Miur post-riforma costituzionale, ma dal vecchio Mpi, quando dal centro partivano le sperimentazioni assistite, importanti processi innovativi, ma sempre all’interno di una logica centralistica che allora comunque era pienamente giustificata.
Ma, dopo il Titolo V, ci si aspettava di più: che la legge delega, affrontando in toto un articolato e complesso insieme dell’intero sistema di istruzione, operasse scelte conseguenti: un primo ciclo finalizzato ad una acquisizione forte di conoscenze e competenze di base quali oggi sono da perseguire in una società complessa ed avanzata, ed un secondo ciclo assolutamente nuovo rispetto a quello ereditato dalla tradizione, ed equamente ripartito tra Stato e Regioni. Ma non è stato così!
Due sono stati gli “errori” di fondo compiuti! Il primo riguarda il primo ciclo: per gettare a mare la legge 30, si è tornati al passato riesumando il vecchio percorso scuola elementare e media. Il secondo riguarda il secondo ciclo: un copio copias degli ordinamenti ereditati dal Mpi: il classico, lo scientifico, il tecnico, il professionale, con l’aggiunta di pezzi più o meno rivisitati. Ed il tutto riscritto secondo la logica verticale di sempre: il classico come percorso autorevole, ricco e completo e gli altri come esiti di successive sottrazioni di contenuti e di obiettivi! Una logica ultragentiliana! E alle Regioni? Altro che serie B! Il vuoto assoluto! Si è replicata la logica della Costituzione del ’47: alle Regioni l’istruzione artigiana e professionale, che allora era in gran parte da inventare! Ed anche oggi alle Regioni resta ben poco da inventare, se tutto è fagocitato dai licei! E del nuovo Titolo V nessuna traccia!
Questo è l’impianto della legge 53 ed ora è difficile ed arduo schiodarlo! Che fare? L’unica strada è quella di implementare ciò che già si è avviato, con timidezza e tante difficoltà e, forse, non sempre con lusinghieri successi, quella dei percorsi triennali di cui all’accordo quadro del 2003 (ed ai successivi accordi del gennaio e dell’ottobre del 2004). E’ una strada in cui, con la logica del campus si possono aprire più filiere, più percorsi in sedi statali e in sedi regionali (è detto all’articolo 1, comma 14 del decreto), con i quali ci si dovrebbe muovere verso finalità comuni, ma con percorsi e obiettivi di apprendimento variamente articolati. Ne dovrebbero conseguire: un reale ampliamento e consolidamento delle conoscenze e competenze di base, quali oggi sono richieste dalla società della conoscenza; ed una accorta pratica orientativa e riorientativa degli studenti, implementata dall’alternanza e dai passaggi, per favorire le loro scelte ulteriori.
Ovviamente questi percorsi andrebbero rivisitati e riscritti caso per caso secondo la strategia del curricolo (tanto invisa all’attuale amministrazione). Si tratterebbe, comunque, soltanto di una cornice operativa in cui non sarebbe affatto esclusa anche quella di un biennio post-scuola media. Ma quello che io sempre temo in fatto di processi di insegnamento/apprendimento è la logica dell’ingegneria fine a se stessa che, al limite, potrebbe anche non favorire quella flessibilità necessaria ad una reale individualizzazione dei percorsi.

…a quali Indicazioni nazionali?

Negli ultimi tempi la discussione si è incentrata tutta sul decreto, ovviamente! Però, non bisogna dimenticare che con gli allegati B, C , D ecc. (l’allegato A è quello del Pecup, altro capolavoro di questa amministrazione!) ci verranno sciorinate puntualmente le Indicazioni nazionali le quali daranno il là alle concrete attività di insegnamento/apprendimento! E il mio timore è che allegati non discussi divengano poi “transitoriamente”… vincolanti come è avvenuto per il primo ciclo!
Per quel che ho potuto leggere, anche qui siamo ad un nuovo copio copias! La struttura delle Indicazioni sembra la stessa di quella del primo ciclo: ritornano gli ologrammi, gli OSA, gli obiettivi formativi, le UA (guai a confonderle con le unità didattiche!!!), i PSP, il tutoring, e tutto quell’armamentario metodologico di cui non c’è assolutamente traccia nella ricerca educativa e psicopedagogia! E ritorna il portfolio, che nel decreto figura all’articolo 12, comma 2, come una delle funzioni del “docente in possesso di specifica formazione” al quale viene anche assegnata la “cura della documentazione del percorso formativo compiuto dallo studente”. La cosa strana è che del portfolio, che nel secondo ciclo assumerebbe una reale funzione di documentata testimonianza dei crediti e delle competenze via via acquisite dallo studente in funzione del profilo culturale e professionale che sta costruendo, si parla assai poco. Si dicono le stesse cose che già sono scritte nelle Indicazioni del primo ciclo, di quel corso di studi dove del portfolio non si è mai avvertita una assoluta necessità.
Ma la cosa più preoccupante delle Indicazioni è che nel copio copias ancora si afferma che “le tabelle degli obiettivi specifici di apprendimento hanno lo scopo di indicare con la maggior chiarezza e precisione possibile i livelli essenziali di prestazione (intesi qui nel senso di standard di prestazione del servizio) che le scuole della Repubblica sono tenute in generale ad assicurare ai cittadini per mantenere l’unità del sistema educativo di istruzione e di formazione” (corsivo e parentesi sono nel testo). Il che significa ancora una volta che gli OSA – come per il primo ciclo – non costituiscono obiettivi di apprendimento, ma standard di riferimento.
Il che rinvia ad un discorso più generale che in parte già è stato fatto da me e da altri per le Indicazioni del primo ciclo e che qui è opportuno riprendere.
I LEP, di cui al Titolo V, sono i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere erogati dai pubblici servizi nelle singole Regioni: nessuna Regione può erogare servizi al di sotto di questi livelli. Per quanto concerne il sistema di istruzione e formazione, le prestazioni non riguardano tanto le finalità e i contenuti degli insegnamenti (gli apprendimenti sono un’altra cosa!) che le istituzioni scolastiche (ambito pubblico statale) e formative (ambito pubblico regionale) sono tenute a perseguire e ad offrire, ma anche e soprattutto l’insieme delle risorse da impegnare, delle strutture amministrative e organizzative, dei servizi e delle attrezzature di cui debbono disporre.
Gli OSA, come è scritto nell’articolo 8 del dpr 275/99, promulgato – si badi bene! –prima della riforma costituzionale, sono gli “obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni” – sottolineo: competenze degli alunni!!! – che le istituzioni scolastiche (solo queste, perché quelle formative non sono previste dal dpr 275) debbono perseguire. Poi che cosa è accaduto? Che gli estensori della legge 53 hanno piegato un dpr scritto prima della riforma costituzionale alle esigenze di un situazione post-riforma. Per cui gli OSA sono diventati il cassetto degli attrezzi di cui ogni scuola dispone, ma non gli obiettivi che gli studenti sono tenuti a perseguire. Ne consegue – come è scritto nelle Indicazioni della scuola media (ma ciò vale per ogni grado ed ordine di scuola, in forza del principio del copio copias) – che “è compito esclusivo di ogni scuola autonoma e dei docenti… assumersi la libertà di mediare, interpretare, ordinare, distribuire ed organizzare gli OSA negli obiettivi formativi, nei contenuti, nei metodi e nelle verifiche delle Unità di Apprendimento”.
Così sono stati inventati gli obiettivi formativi – assolutamente assenti nel dpr 275, in quanto largamente coperti dagli OSA – che ciascuna scuola, in forza del concetto della personalizzazione inteso in un determinato modo, propone agli alunni, a ciascun alunno, secondo le sue potenzialità, attitudini e attese, ed anche in ordine alle prevalenti scelte delle famiglie.
La differenza metodologica rispetto alla strategia della progettazione curricolare, che da circa trent’anni ha ispirato e guidato il nostro sistema di istruzione, è enorme, e lo si evince anche dal mutato orizzonte valutativo. Con la valutazione di criterio i docenti dichiaravano il grado di avvicinamento all’obiettivo raggiunto dall’alunno; i percorsi potevano essere molteplici e diversi, ma gli obiettivi erano gli stessi. Ora, invece, anche gli obiettivi sono diversificati: a ciascun alunno il suo obiettivo! E così l’unità del sistema di istruzione, in termini di traguardi e di obiettivi terminali, va a carte quarantotto! Infatti, che cosa abbiamo già constatato con la nuova scheda di valutazione ispirata ai nuovi criteri personalizzanti? Abbiamo toccato con mano lo scardinamento di ogni criterio unitario nazionale di valutazione, e non credo che la prossima tornata dell’Invalsi – in mancanza di standard e parametri nazionali – potrà fornirci dati validi e attendibili.
Tornando alle Indicazioni del secondo ciclo, si deve comprendere l’estrema gravità della scelta degli OSA come livelli essenziali delle prestazioni dei servizi erogati dalle istituzioni scolastiche e formative. Gli OSA, per loro natura (A come apprendimento!) riguardano gli apprendimenti, non le prestazioni del servizio di insegnamento.
Ed occorre distinguere gli obiettivi di un primo ciclo da quelli di un secondo ciclo. Nel primo ciclo, in considerazione del fatto che ogni soggetto in età evolutiva ha diritto ad esprimersi per tutto l’ampio ventaglio delle sue potenzialità, la scuola ha il dovere di sollecitarlo in questo processo. Nel secondo ciclo, l’attenzione deve essere più mirata e centrata sulla necessità di orientare ciascun soggetto verso scelte culturali, preprofessionali e professionalizzanti che, pur rispettose delle sue attese, lo conducano verso un profilo che ha esigenze precise che derivano dall’organizzazione del lavoro, dall’evoluzione dei processi lavorativi, delle conoscenze e delle applicazioni tecnologiche. All’uscita di un secondo ciclo l’istituzione non può esprimersi genericamente; deve certificare con esattezza le competenze effettivamente raggiunte da un soggetto (e la stessa legge 425/97, con cui sono stati riformati gli esami di maturità, va in questa direzione) e non giocherellare con sottolineature personalizzanti quanto si voglia, ma che non avrebbero alcuna corrispondenza con la realtà occupazionale e finirebbero soltanto certamente con aumentare il numero dei qualificati e dei diplomati a scapito, però, della loro effettiva preparazione.
In conclusione, se le Indicazioni per il secondo ciclo sono quelle che ho lette, non c’è da stare allegri! Le tabelle degli OSA imperversano, e invece mancano assolutamente quegli standard terminali di apprendimento, che, come ho detto più volte, devono essere pochi ma correttamente individuati, definiti e descritti, in modo da costituire riferimenti chiari per le istituzioni e per gli studenti. Senza considerare che occorrerà, nel prosieguo del tempo, una sorta di manutenzione degli standard per un loro continuo adeguamento con l’evoluzione delle conoscenze e delle competenze. Ma anche su questo terreno gli OSA delle Indicazioni difettano. Hanno un carattere di assoluta completezza ed autoreferenzialità che lascia poco margine alla flessibilità delle scelte e dei percorsi. Il vecchio Mpi che detta programmi con lo stigma dell’aere perennius è duro a morire!
Ma ora, al punto in cui si è giunti, sarà possibile imporre una decisa inversione di rotta?

Primavera 2005… è un auspicio!!!

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