breve di cronaca
Napoleone e Scaramuccia
La Repubblica - 25-03-2002
Due vecchi luoghi comuni contribuiscono ad alimentare i dissapori italofrancesi di oggi: quello del francese arrogante e quello dell' italiano che teme di essere preso per un buffone. Due stereotipi. Da un lato Napoleone, prodotto della rivoluzione francese universale dell' 89 (che aveva sangue italiano). Dall' altro Scaramuccia, l' eroe (spaccone, che scappa) della Commedia Italiana rimasto nella memoria francese dai tempi di Molière in poi. Si tratta di temi rintracciabili nella grande storia (delle nazioni e del teatro), che nel presente quotidiano diventano riferimenti, discorsi un po' ridicoli, più da bisnonni che da nonni. Nel frattempo i francesi hanno dovuto concludere la loro rivoluzione, e quindi ridimensionare la vocazione universale che l' accompagnava; e gli italiani sono stati promossi da emigranti di un Paese rurale a turisti di un Paese industriale. Da alcune ore queste banali constatazioni sono svanite. Ed è curioso che a cancellarle sia stata una rissa tutta italiana, sia pure in territorio francese. È semplicemente patetico Alain Elkann, collaboratore del sottosegretario Sgarbi, quando accusa la socialista Catherine Tasca di avere strumentalizzato la sua pubblica avversione per Silvio Berlusconi a fini elettorali. Il nome del presidente del Consiglio italiano è totalmente ignorato da quanti sono impegnati nella campagna per le presidenziali che si terranno in Francia il 21 aprile e il 5 maggio prossimi. E il ministro della Cultura francese (anche lei di origini italiane, come Napoleone) dopo la dichiarazione del 17 gennaio, con la quale aveva espresso il suo rifiuto a inaugurare il Salon du Livre con Berlusconi, non è più ritornata sull' argomento. Il consigliere Elkann dovrebbe spostare piuttosto la sua attenzione sui silenzi del presidente Jacques Chirac e del primo ministro Lionel Jospin, i quali non hanno ritenuto opportuno né correggere né appoggiare quanto aveva detto un autorevole membro del governo, e poteva nuocere ai rapporti tra due capitali amiche e alleate. Il doppio silenzio, a destra di Chirac, a sinistra di Jospin, è stato pesante per Berlusconi. E la dice lunga su quel che pensa del governo di Roma la società politica francese nel suo insieme. Ma è difficile polemizzare col silenzio. È tuttavia quel silenzio che aveva probabilmente in testa il sottosegretario Sgarbi atterrando a Parigi, e poi quando si è trovato davanti alla manifestazione di una manciata di italiani. Invece di cinquanta connazionali ha creduto di trovarsi davanti alla Francia ufficiale, altera, anzi arrogante. Ed è allora che è esplosa la sua incontenibile collera. La quale l' ha spinto ad accusare la Tasca di essere il ministro di un paese «non democratico». La Francia ufficiale non l' aveva preso abbastanza sul serio, non gli aveva neppure garantito una protezione sufficiente davanti alla protesta di un pugno di connazionali chiassosi. Indignato, dopo essersi sfogato con l' inviato del governo ospitante, ha battuto in ritirata, come il celebre Scaramuccia, interpretato a Parigi dal grande Tiberio Fiorilli cinque secoli or sono. Certo, qualche gendarme in più i francesi lo potevano schierare per difendere dagli italiani un esponente del governo italiano in visita al padiglione italiano. Si trattava pur sempre di territorio francese e dell' invitato ufficiale di un paese vicino e amico. Insisto sul carattere italiano della rissa al Salon du Livre perché nei dissapori sorti tra Roma e Parigi negli ultimi tempi gli italiani hanno in definitiva occupato l' intero terreno di scontro. I francesi hanno avuto il ruolo di solito riservato al coro nel teatro greco. Un nostro diplomatico rimasto a lungo a Parigi ha scritto (sotto lo pseudonimo Carlo Maurizi) che i due paesi hanno rapporti che sottintendono quelli ufficiali e scorrono come fiumi sotterranei «scavalcando gli argini e le chiuse» della politica. Ciascuno dei due occupa nella coscienza dell' altro uno spazio privilegiato, ed è un punto di riferimento indispensabile, una somma di significati e di valori senza i quali l' altro sarebbe mutilato o incompleto. Forse questo intimo vincolo, cosi ben descritto, si è nel frattempo allentato. L' abolizione delle frontiere e il moltiplicarsi degli scambi l' hanno probabilmente banalizzato. Resta tuttavia una costante: il comune lessico politico. A prima vista sui due versanti delle Alpi ci sono infatti società speculari, due scacchiere in cui le pedine si assomigliano. Ma se il lessico per indicarle è lo stesso, la semantica è completamente diversa. I cartelli stradali si assomigliano, anzi sono uguali, ma portano in direzioni diverse. Di fronte alla realtà politica italiana i francesi perdono facilmente la bussola. Questa volta hanno contribuito a fargliela perdere non pochi scrittori italiani. Sono loro che hanno svolto l' ingannevole ruolo delle segnalazioni stradali sbagliate. Mi riferisco a scrittori come Antonio Tabucchi e Vincenzo Consolo che con leggerezza (o foga eccessiva) hanno presentato e presentano l' Italia vittima di un regime fascista. Come tanti nostri antenati hanno scambiato la Francia per una terra d' esilio dove si devono denunciare i soprusi compiuti in patria ai danni della democrazia. Ma questi non sono i tempi di Nenni, di Nitti, di Turati, di Buozzi, dei fratelli Rosselli... L' Italia non è in preda al fascismo, come essi dicono o scrivono con autorità su quotidiani e riviste, influenzando gli intellettuali parigini, sensibili ai discorsi di rispettati scrittori d' oltralpe. L' Italia vive una fase perversa della democrazia, senz' altro inquietante, perché Berlusconi usa la politica a fini personali, ha il quasi monopolio dell' informazione televisiva, e rappresenta in definitiva un pessimo esempio per qualsiasi società che si voglia democratica. È un grave errore denunciarlo sommariamente come un fascista. Il suo fenomeno va analizzato e spiegato agli amici europei. I quali possono essere tratti in inganno da sentenze troppo manichee. Essendo un caso unico in Occidente Berlusconi è diventato il mito negativo, per la sinistra e per gran parte della destra, nelle società politiche del nostro continente. Nel maggio dell' anno scorso, in una delle sue ultime interviste, Indro Montanelli dettò alla giornalista Sophie Gherardi, di Le Monde, l' atteggiamento da adottare nei confronti di Berlusconi. Mancavano pochi giorni al voto italiano del 13 maggio, e dando per scontato il successo del suo editore di un tempo, disse: «Spero che l' Europa adotti nei confronti di Berlusconi la diffidenza e il disprezzo che merita. Ma bisogna che eviti un' ostilità aperta per non suscitare una mentalità da assediato. Gli italiani sono capaci di tutto, anche di reazioni normali». A parte qualche rara eccezione (il liberale Alain Madelin) la Francia politica ha seguito il consiglio del vecchio giornalista italiano. Silvio Berlusconi era conosciuto a Parigi assai prima del suo debutto politico. Nel mezzo degli anni Ottanta tentò la sfortunata avventura della «5», il primo canale televisivo (via etere) privato. Di quell' epoca è rimasto il ricordo del grande esperto di avanspettacolo che non riuscì a sedurre i telespettatori francesi. I quali ora si chiedono come mai sia riuscito a sedurre gli elettori italiani. Con la sua rapida apparizione e il suo stile, il sottosegretario Sgarbi non ha dissipato le perplessità.

Bernardo Valli



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