breve di cronaca
Nel magma
Mario Luzi - 09-03-2005
Presso il Bisenzio

La nebbia ghiacciata affumica la gora della concia
e il viottolo che segue la proda. Ne escono quattro
non so se visti o non mai visti prima,
pigri nell'andatura, pigri anche nel fermarsi fronte a fronte.
Uno, il più lavorato da smanie e il più indolente,
mi si fa incontro, mi dice: «Tu? Non sei dei nostri.
Non ti sei bruciato come noi al fuoco della lotta
quando divampava e ardevano nel rogo bene e male».
Lo fisso senza dar risposta nei suoi occhi vizzi, deboli,
e colgo mentre guizza lungo il labbro di sotto un'inquietudine.
«Ci fu solo un tempo per redimersi» qui il tremito
si torce in tic convulso «o perdersi, e fu quello.»
Gli altri costretti a una sosta impreveduta
dànno segni di fastidio, ma non fiatano,
muovono i piedi in cadenza contro il freddo
e masticano gomma guardando me o nessuno.
«Dunque sei muto?» imprecano le labbra tormentate
mentre lui si fa sotto e retrocede
frenetico, più volte, finché‚ è là
fermo, addossato a un palo, che mi guarda
tra ironico e furente. E aspetta. Il luogo,
quel poco ch'è visibile, è deserto;
la nebbia stringe dappresso le persone
e non lascia apparire che la terra fradicia dell'argine
e il cigaro, la pianta grassa dei fossati che stilla muco.
E io: «E' difficile spiegarti. Ma sappi che il cammino
per me era più lungo che per voi
e passava da altre parti». «Quali parti?»
Come io non vado avanti,
mi fissa a lungo ed aspetta. «Quali parti?»
I compagni, uno si dondola, uno molleggia il corpo sui
garetti
e tutti masticano gomma e mi guardano, me oppure il vuoto.
«E' difficile, difficile spiegarti.»
C'è silenzio a lungo,
mentre tutto è fermo,
mentre l'acqua della gora fruscia.
Poi mi lasciano lì e io li seguo a distanza.

Ma uno d'essi, il più giovane, mi pare, e il più malcerto,
si fa da un lato, s'attarda sul ciglio erboso ad aspettarmi
mentre seguo lento loro inghiottiti dalla nebbia. A un passo
ormai, ma senza ch'io mi fermi, ci guardiamo,
poi abbassando gli occhi lui ha un sorriso da infermo.
«O Mario» dice e mi si mette al fianco
per quella strada che non è una strada
ma una traccia tortuosa che si perde nel fango
«guardati, guardati d'attorno. Mentre pensi
e accordi le sfere d'orologio della mente
sul moto dei pianeti per un presente eterno
che non è il nostro, che non è qui né ora,
volgiti e guarda il mondo come è divenuto,
poni mente a che cosa questo tempo ti richiede,
non la profondità, né l'ardimento,
ma la ripetizione di parole,
la mimesi senza perché né come
dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine
morsa dalla tarantola della vita, e basta.
Tu dici di puntare alto, di là dalle apparenze,
e non senti che è troppo. Troppo, intendo,
per noi che siamo dopo tutto i tuoi compagni,
giovani ma logorati dalla lotta e più che dalla lotta, dalla sua mancanza umiliante.»
Ascolto insieme i passi nella nebbia dei compagni che si eclissano
e questa voce venire a strappi rotta da un ansito.
Rispondo: «Lavoro anche per voi, per amor vostro».
Lui tace per un po' quasi a ricever questa pietra in cambio
del sacco doloroso vuotato ai miei piedi e spanto.
E come io non dico altro, lui di nuovo: «O Mario,
com'è triste essere ostili, dirti che rifiutiamo la salvezza,
né mangiamo del cibo che ci porgi, dirti che ci offende».
Lascio placarsi a poco a poco il suo respiro mozzato dall'affanno
mentre i passi dei compagni si spengono
e solo l'acqua della gora fruscia di quando in quando.
«E' triste, ma è il nostro destino: convivere in uno stesso
tempo e luogo
e farci guerra per amore. Intendo la tua angoscia,
ma sono io che pago tutto il debito. E ho accettato questa sorte.»
E lui, ora smarrito ed indignato: «Tu "tu solamente"».
Ma poi desiste dallo sfogo, mi stringe la mano con le sue
convulse
e agita il capo: «O Mario, ma è terribile, è terribile tu non sia dei nostri».
E piange, e anche io piangerei
se non fosse che devo mostrarmi uomo a lui che pochi ne ha veduti.
Poi corre via succhiato dalla nebbia del viottolo.

Rimango a misurare il poco detto,
il molto udito, mentre l'acqua della gora fruscia,
mentre ronzano fili alti nella nebbia sopra pali e antenne.
«Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro,
mi dico, potranno altri in un tempo diverso.
Prega che la loro anima sia spoglia
e la loro pietà sia più perfetta.»

Mario Luzi

  discussione chiusa  condividi pdf

 Libero Tassella    - 09-03-2005
Per Mario Luzi

Il Fontaniere

Chi
governa
lo
scorrere
dell'acqua
sotto
il cavallo
del ponte?
Il timoniere
del
cambio...
forse
l'illusione,
la venditrice
di fiori
che
stilla
l'elisir
dal cuore?
In uguale
riduce
il tempo,
quando
più
aggruma
all'osso
la differenza.
All'approdo
è
un mosca-cieca,
le fuggitive
vele
dell'apparenza
nella nebbia
si confondono
e si rivelano.
Allora
ci avvolge
il bianco
sudore
dell'acqua
nei canali
dall'obliquo
ponticello
del desistere.

Libero Tassella

 Marilena Menicucci    - 13-03-2005
Grazie per il saluto a Mario Luzi. Muore un poeta, muore un astro più potente del sole per le nostre coscienze. Ne nascerà un altro o altra, ma intanto siamo nel buio e nel lutto, più ciechi di fronte all'oggi. Basta leggere i versi lasciati? Può essere, ma più forte è la paura che il vuoto possa essere preso da chi sa come impossessarsi delle coscienze altrui, divertendole (de-vertere) e allontanandole dal lutto e dal sentimento della ricerca della verità. Abbiamo diritto al lutto, al buio, alle lacrime e al dolore per chi e per quanto ci manca: un poeta e la poesia della conoscenza. Non vogliamo essere intrattenuti, ma svegliati a nuovi giorni, quando e dove la parola sia vita per la mente, il corpo e l'anima. E per questo il lutto è necessario.