Letizia Moratti alle prese con gli scioperi negli atenei non ha preso in considerazione la mia
modesta richiesta di diramare una circolare per proibire l´uso in classe dei telefonini (vedi ultima «Linea di confine»). Leggendo le due pagine di interviste a insegnanti, genitori e ragazzi, che
«Il Messaggero» ha dedicato alla questione mi rendo, peraltro, ancor più conto delle ragioni della prudenza ministeriale. Il libertinaggio cellulare tocca, infatti, il fulcro del quesito: debbono sussistere o no nell'ambito della scuola un assieme di regole normative, oggettivamente imposte, non certo in nome di una severità accademica ottocentesca, ma almeno tali da garantire il normale corso degli studi, accompagnato da quel tanto di disciplina formativa indispensabile alla convivenza degli studenti fra di loro e ad un rispetto dell'insegnante nei limiti, almeno, della buona educazione? L'ovvietà dell'interrogativo non comporta purtroppo una risposta altrettanto ovvia. Il problema presenta, infatti, una caratteristica ben diversa da episodi che destarono scalpore (ad esempio l'allagamento provocato del liceo Parini di Milano): qui siamo invece di fronte ad una normalità patologica subita come ineluttabile che non dovrebbe neppure destare meraviglia. Il trillo continuo del telefonino è solo l´abituale accompagnamento sonoro di un degrado generale della vita scolastica, naturalmente con eccezioni che appaiono in questo contesto tanto più straordinarie, come di straordinaria qualità e coraggio sono quegli insegnanti che ancora riescono a far fronte al loro compito.
Fornisco qualche brano delle interviste: «In generale i docenti sono soli, non hanno l´appoggio dei dirigenti scolastici, se dai brutti voti vieni accusato di non saper insegnare, alla fine rinunci e dai tutti 6... La scuola è diventata una contrattazione continua: devi contrattare per fare un compito, per fissare in anticipo la data di una interrogazione... Un tempo in caso di insuccesso scolastico i genitori assumevano un atteggiamento correttivo nei riguardi del figlio, adesso vanno dal magistrato.. Nella mia prima media su 18 allievi solo uno non ha il telefonino... il telefonino viene fatto squillare di continuo, anche per scherzo, a ricreazione volano pure bottigliette d´acqua, qualcuno torna a casa con un occhio nero perché non ha voluto dare soldi ai più grandi». Quando si denunciano questi fatti i corifei del pedagogismo imperante, che, in odio al vecchio ordinamento, hanno ispirato le infinite riforme e riformicchie, danno una risposta contrassegnata da un comune denominatore: la necessità di adeguarsi ai nuovi tempi, alle nuove insopprimibili esigenze dei giovani, alla democrazia che non può convivere con l´autoritarismo, alla domanda di partecipazione delle famiglie, all'imperativo di una scuola di massa, per tutti, non più ferita da suddivisioni elitarie.
All'invito a prendere atto dei catastrofici risultati ribattono che «ben altro è il problema». In effetti hanno concorso vari fattori a così sconfortanti esiti. Da un lato l´assunzione della falsa idea che lo studio debba essere «facile», gradito, privo di verifiche che filtrino il grado di apprendimento.
In nome di una balorda interpretazione della democrazia tutti debbono andare, comunque, avanti. Quindi niente brutti voti, esami-burla (quando ancora sussistono), abolizione delle pagelle, del rinvio a settembre, della bocciatura, delle sospensioni e quant'altro. Dall'altro, in nome dell'autonomia, si è battezzata «azienda» la scuola, i presidi sono stati indotti a fare i manager e ad attrarre i clienti (gli studenti) i quali, in quanto tali, «hanno sempre ragione», liberi di comportarsi come credono, titolari di diritti pari a quelli di un lavoratore adulto (di qui telefonini ma anche interrogazioni «contrattate» e abolizione di ogni legame tra valutazione del profitto e della condotta). Come se non bastasse si è inventata l'autonomia individuale del percorso scolastico: accanto a residui pilastri dell'insegnamento eguale per tutti si va affermando la libera scelta delle materie e dei temi che i singoli (col sostegno colpevole delle famiglie) decidono di privilegiare. Pinocchio e Lucignolo godettero di cinque mesi di cuccagna nel Paese dei Balocchi prima di venire trasformati in ciuchi. Quindi, dopo numerose disavventure, il burattino venne gettato in mare dove innumerevoli pesci lo liberarono dall'involucro asinino. Qui da noi, però, la cuccagna si è prolungata molto più a lungo e non si vedono all'orizzonte pesci salvifici capaci di operare il miracolo.
Mario Pirani
Elisabetta R. - 09-03-2005
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COMINCINO GLI ADULTI
Gentilissimo dottor Pirani.
Non so qual'è il mondo in cui vive Lei.
Quello in cui vivo io è il paese dei campanelli.
I telefonini squillano imperterriti sugli autobus, nei negozi, nelle biblioteche, nelle scuole, negli ospedali...I nostri figli crescono per imitazione proprio come noi siamo cresciuti per imitazione dei nostri genitori. Gli insegnanti non si possono esimere dall'accendere il cellulare quando suona la campanella della fine delle lezioni. Per noi parlare di quei pochi che lo tengono acceso anche in classe.
Il telefonino ha incrementato il "famiglismo" italiano: i miei studenti lo usano, quasi sempre per chiamare la mammmmmmma! Quando non sono le mamme a chiamare i loro figli, studenti, durante il tempo scuola.
Ma Lei è così sicuro che la perversione (perchè è di questo che si parla) si combatta con la repressione?
Personalmente affronto il problema stimolando l'ascolto e la comunicazione tra umani.
Non è mai il "mezzo" ad essere il demonio: è sempre ciò che ci sta dietro.
Almeno così penso io.
Con rispetto La saluto.
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angelino - 20-03-2005
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caspita elisabetta! hai dato il ben servito al magnifico professore e a quanti la pensano come Lui.
Complimenti, questi Signori devono sapere che c'è qualcuno/a che sa far il suo mestiere e che quindi c'è chi nota le differenze.
La sua è una voce libera e non condizionata e spero incondizionabile.
Non si scoraggi e non si demorazzi mai, continui così almeno avrò la consolazione che una parte, pur minima, delle tasse e imposte che verso vanno a finire nelle tasche di chi lavora e si merita lo stipendio.
Grazie Elisabetta.
Angelino
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Giuseppe Aragno - 20-03-2005
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Gentilissima collega Elisabetta,
io, lei e Pirani viviamo nello stesso mondo e non è - lo sappiamo tutti purtroppo - il paese dei campanelli. Mi spiace smentirla. In biblioteca ci trascorro moltissimo tempo e se un telefonino per caso squilla in sala lettura è un incidente: se si ripete, il proprietario del cellulare è urbanamente messo alla porta. Non diversamente accade in emeroteche e Archivi dello Stato, di cui pure posso portare testimonianza attualissima e diretta. Un raro trillo, certo, può darsi, ma fa seguito l'immediata uscita del colpevole che, se non spegne, abbandona al galoppo la sala consultazione. Non ricordo concerti cellulari a cinema o a teatro e, benche non frequenti chiese, suppongo che durante le funzioni liturgiche non si registrino baccanali dello squillo. Potrei farle un elenco che non finisce più di luoghi dove pacificamente si tengono spenti i telefonini, che perlatro hanno tra le funzioni anche la sola vibrazione, ma lei li conosce di certo meglio di me.
Io mi complimento con lei per la correttezza metodologica: lei personalmente affronta "il problema stimolando l'ascolto e la comunicazione tra umani". E va bene. Ciò che si chiede Pirani è cosa fare se dopo avere stimolato l'ascolto e la comunicazione tra umani il telefonino trilla ancora. Trilla più forte. Conosco e riconosco i limiti della categoria della quale ho fatto parte per decenni. Concordo sulla necessità che gli insegnanti vadano fino in fondo incontro alle richieste degli alunni, che diano risposte fondate sul dialogo e si assumano la responsabilità dei propri errori e fallimenti. Non credo però ai miracoli e ad una scuola che sciolga da sola, assieme a quelli che ha al suo interno, i nodi che si aggrovigliano al suo esterno tra casa e famiglia, strada e società. Non lo escludo. Un trillo massiccio e reiterato di cellulari entro le aule
potrebbe anche indicare disagio e richiedere discussione tra insegnante e alunni. Ma una discussione si fa dandosi delle regole e rispettandole. Ad ogni costo.
E' questo che Pirani le chiede: dobbiamo continuare a porci ed a porre il problema delle regole? Guardi che è molto lucido: "Debbono sussistere o no - le chiede - nell'ambito della scuola un assieme di regole normative, oggettivamente imposte, non certo in nome di una severità accademica ottocentesca, ma almeno tali da garantire il normale corso degli studi, accompagnato da quel tanto di disciplina formativa indispensabile alla convivenza degli studenti fra di loro e ad un rispetto dell'insegnante nei limiti, almeno, della buona educazione?".
Tutto qui. Non mi pare che questo escluda la necessità di stimolare l'ascolto e la comunicazione tra umani.
Tutt'altro.
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