Anna Pizzuti - 07-03-2005 |
Maragliano: dalla Sintesi dei lavori della Commissione dei saggi "…far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova cultura del lavoro significa investire su due fronti: l'orientamento e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il superamento della ‘cultura del posto’ a vantaggio di una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la preparazione all'autoimprenditorialità. Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano all'impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme dell'apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell'educazione permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo” Moratti: dall’ Intervento di apertura del Ministro Moratti all'Expo dell'educazione e del lavoro [2/3/2005] ”L' istruzione, la formazione e la ricerca, come dimostrano anche la Finanziaria 2005 e il provvedimento sulla competitività in corso di approvazione, sono divenuti temi centrali dell'azione di Governo nella più ampia questione dello sviluppo economico e della coesione sociale dell'Italia mano a mano che sono state inserite in una concomitanza di azioni coerentemente prese su diversi livelli: politiche del lavoro, politiche del welfare, politiche industriali e, naturalmente, politiche della ricerca. L'Italia si è fatta promotrice di questa linea ed ha improntato su questi principi la propria azione di Governo. Ad esempio, l'aver fatto della formazione - con il Patto per l'Italia prima e con la Legge Biagi successivamente - per la prima volta uno strumento di politica attiva del mercato del lavoro in grado di contrastare la disoccupazione, soprattutto giovanile, e di accrescere la competitività delle imprese, pone oggi l'Italia in linea con le più moderne visioni europee sul futuro dei sistemi educative nazionali. Negli ultimi anni abbiamo fatto grandi passi avanti in questa direzione e vi sono oggi numerosi indizi dell'avvio di un ciclo virtuoso di collaborazioni positive, di visioni coerenti, di crescenti integrazioni tra politiche dell'educazione e politiche del lavoro, tra politiche della ricerca e strategie per l'innovazione. (…) anche se il cammino da compiere è ancora molto lungo perché non possiamo certamente dimenticare in quale stato era questo nostro Paese all'inizio del mio mandato governativo.” Leggo questi due passaggi, li confronto e trovo, nella loro corrispondenza di fondo, l’ultima dimostrazione che sì, è vero, debbo ammetterlo, esiste continuità tra Berlinguer/Moratti. Un cammino lungo, per me. Iniziato con la contrapposizione a chi questa continuità la sosteneva, contrapposizione che nasceva da due ordini di considerazioni: - il modo in cui, da insegnate, ma forse dovrei dire ora, da Alice che credeva di essere nel paese delle meraviglie, avevo vissuto la stagione delle riforme berlingueriane, dalla faciltà con cui le avevo interpretate e piegate alla mia visione della scuola, che, con tutto quello che viene denunciato in questo come in altri interventi, non ha nulla a che fare; - la percezione immediata della totale distruttività della riforma, sia quella disegnata da Bertagna, sia quella attuata dalla Moratti. Un cammino successivamente passato attraverso la scoperta di ciò che diceva veramente il titolo V riformato, a favore del quale avevo votato al momento della consultazione referendaria, alla presa di coscienza che gli obiettivi di Lisbona, che ero andata a consultare sicura che ponessero dei paletti precisi all’obbrobrio della riforma Moratti, per rendermi conto, invece, che in realtà potevano contenerla, assimilarla, non contrastarla. Sono arrivati poi il documento del buonsenso, le posizioni di Rutelli e di D’Alema, il riformismo di “sinistra” e tutto quello che qui viene ricordato. Un autodafé al contrario, il mio, quindi? Un lavacro in pubblico? Se fosse solo così non sarei intervenuta in questo dibattito; non credo che l’evoluzione delle mie posizioni sia determinante o importante, se non per me stessa. Intervengo perché, arrivata alla fine della lettura di quello che Renzetti scrive, più di ogni altra volta, di fronte a posizioni come quella che lui esprime, mi sono chiesta: allora che cosa dobbiamo fare? Noi che, ciascuno nel ruolo che ricopre e secondo le proprie capacità, ci stiamo battendo contro la riforma Moratti? Passo il tempo – lo sto facendo anche ora – ad esaminare punto per punto la riforma, a denunciarne obiettivi e senso, a smascherarla al di là delle parole. Passo il tempo, a scuola, tra colleghi del tutto indifferenti, che mi danno una dimensione del reale che definire acquiescente, vacua, scoraggiante è dire poco. Come le concilio, mi chiedo e chiedo, Renzetti, le critiche che mi sento di condividere e fare, le preoccupazioni (e sto usando un termine che non corrisponde in pieno alla violenza dei miei sentimenti) di fronte al timore che chi dovrebbe difendere la scuola in cui credo sia un gattopardo, con la preoccupazione (idem) di quello che questa riforma, qui ed ora, sta facendo e farà alla scuola? Come e con chi la portiamo avanti, con chi la facciamo camminare l’unica richiesta sensata che c’è da fare alle forze politiche, cioè quella di abrogare la riforma Moratti? Ad ottobre ho partecipato al forum del tavolo “Fermiamo la Moratti” a Firenze. C’erano un po’ tutti, compresa anche Alba Sasso. Molto è stato ricordato e denunciato, molto si è discusso, anche con forza, ma alla fine la consapevolezza che bisogna ripartire dalla scuola, e non da una “riforma”, qualsiasi essa sia, è stata raggiunta. Un momento perso? Spero proprio di no. Perciò torno a porre il problema politico, non di compromesso, del “con chi” E qui e non in un altro luogo del dibattito, perché qui l’esigenza di porre la domanda si è fatta, per me, con forza. Un’ultima cosa, anzi due sull’autonomia, chiudendo, vorrei dirle. Ricordarne l’uso, insieme a quello dei POF, che ne hanno fatto scuole elementari e medie per svuotare di contenuto moltissimi passaggi del decreto che le scompaginava. Una libertà di azione e di difesa di cui, se interpreto bene, nel secondo ciclo sentiremo la mancanza. Considerati anche i tempi della riforma; che secondo il decreto cadono nel settembre del 2006/2007, ma che sono anticipati, perchè le iscrizioni per quell’ anno vengono fatte nel gennaio del 2006, e questo il ministro lo sa bene, e lo si vede chiaramente in qualche passaggio dell’ultima bozza. Richiamare il decreto 112/98, attuativo della legge Bassanini, che chiarisce e sostiene l’Istruzione professionale statale (Art.142.Competenze dello Stato comma 3Permangono immutati i compiti e le funzioni esercitati dallo Stato in ordine agli istituti professionali di cui al regio decreto 29 agosto 1941, n. 1449, e di cui agli articoli da 64 a 66 e da 68 a 71 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297..) . In prima stesura non era così. Anticipava anch’esso anticipare Titolo quinto e riforma Moratti. Ci furono dibattiti e proteste e fu corretto. Sembrerà poco, di fronte a tutto quello che dell’autonomia viene denunciato, ma questi tempi potrebbero finire per farcelo rimpiangere, quel poco. |
Emanuela Cerutti - 08-03-2005 |
Il ragionamento politico lo chiede: siamo in uno Stato democratico e rappresentativo, occorrono le strutture e le infrastrutture necessarie affinché sia garantita una governabilità, ossia una serie di regole da applicare dentro il contesto paese che ci accomuna. E' per naturale conseguenza di ciò che la domanda sul "che fare" quando una legge non va bene per qualcuno deve tenere conto della realtà. Non ci si fa giustizia da sé. La realtà oggi è però un sistema maggioritario che annacqua le differenze. Certo, non più di quanto non lo facciano le maggioranze e le minoranze in un partito, forse, ma la sensazione di essere ancor meno rappresentati o persino isolati dentro una stessa coalizione rimane ed è un fatto per molti. E la scuola è solo uno dei nodi sul filo. "Che fare", dunque? Credo che abbiamo una libertà di fondo, davvero irrinunciabile: la libertà di dire dei sì e dei no. Questa libertà non ci può essere tolta, se non esercitando una violenza fisica. Al di là dei partiti o dei Governi, la scuola pubblica, forse unico esempio, è stata costruita per un esercizio di libertà: dell'insegnante, prima di tutto, ma poi del pensiero, della ricerca, del confronto. Lo capiscono bene i recenti governanti di ogni colore, che vogliano o non vogliano imbavagliarla (dirai quello che voglio), o aziendalizzarla (perché così va il mondo) o autonomizzarla (rendendo la libertà una sirena, per quanto dal dolce canto), o recintandola in proprietà private che alla parola diritto aggiungono un quid inquietante. Ma già prima lo capiva Don Milani che ne faceva un'arma, solo all'apparenza debole, contro i soprusi del potere. A patto di non pensare che il "che fare" possa prescindere da ognuno di noi, dai sì e dai no quotidiani, difficili ma non impossibili, che vengono prima di quelli elettorali. E' sua, bellissima, la speranza finale: "Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto sul suo conto". |
Roberto Renzetti - 11-03-2005 |
Che fare Le cose di grande interesse che dice Anna Pizzuti sono condivisibili. Il problema del cosa facciamo e con chi è centrale, se non si vuole solo giocherellare. Io me le pongo da almeno 5 anni e sono arrivato a qualche piccola conclusione (quanto dirò si può rivedere, anche radicalmente, alla luce dell'esperienza di ciascuno di noi, l'importante è non assistere in silenzio allo scempio che avanza). A me sembra che senza una consapevolezza, il più possibile diffusa, a sinistra non si va lontano. Quando dico sinistra mi riferisco ad un arco parlamentare che va dai DS, a Rifondazione, ai Comunisti Italiani ed ai Verdi. Personalmente conto molto poco su Margherita ed altre forze politiche. Dal punto di vista dei Sindacati vedo piuttosto buio. A parte i Cobas (con le loro rigidità) non vi è altro di certo. Una volta si sarebbe potuto contare con una componente CGIL, che si chiamava Cambiare Rotta, che ha perso la bussola e si è schierata con la maggioranza. Non conosco le posizioni della Gilda ma alcuni suoi iscritti che, a me sembra, siano decisamente contro Moratti ed anche contro Bassanini-Berlinguer. La Uil la scarterei perché, per mia esperienza, quel sindacato è opportunista e la Cisl non può esserci per via della scuola confessionale. Lo Snals lasciamolo pure perdere. La CGIL si potrebbe forse recuperare se si recuperassero le posizioni DS, quel sindacato è attualmente dipendente da quel partito. Ora la forza di gran lunga più importante è quella DS. In questo partito è andata avanti in modo inarrestabile una idea di modernità che coincide con l'accettazione di molte cose, anche orrende, del liberismo. Soffrono molto del loro essere stati comunisti e vogliono fare ora i più realisti del re. Anche Cofferati, prima della sua deludente marcia indietro all'ultimo congresso DS, sosteneva, contrapponendosi all'ala dalemiana del partito, che se essere conservatori vuol dire difendere i Valori (ad esempio: la Costituzione, lo Stato Sociale, ...) egli era un conservatore. Ritengo che se fosse possibile conquistare a queste tematiche quelle forze, che certamente vi sono tra i DS, interessate a difendere i Valori si potrebbe utilmente spostare l'asse del dibattito sulla scuola (e non solo) verso soluzioni avanzate che ripartano dalla scuola (come ben dice Anna Pizzuti). Il problema principale nasce dalla comunicazione che ci è vietata se non in ambiti molto piccoli e in mailing list importanti, come quella di retescuole, come quella dei 500, ... Di scuola non sa nulla nessuno; anche agli stessi addetti ai lavori sfuggono svariati passaggi. Da qui occorre partire. Solo luoghi comuni che, purtroppo hanno permesso a burocrati e carrieristi vari di farla da padrone e di distruggere ogni cosa. Ci aveva provato, con una prosopopea degna di altre imprese, Giovanna Melandri. Chi l'ha vista in TV ha pianto di disperazione per i danni che ha fatto in due ore di trasmissione. L'episodio ha mostrato che non è vero che chiunque può discutere di questo argomento. Esso è da professionisti ma guai a lasciarlo in mano ad essi. Purtroppo a questa constatazione si aggiunge il fatto che il sistema delle deleghe ha costruito nei vari partiti delle nicchie di competenza non condivise in termini di informazione dall'intero partito. E non sono condivise anche perché si viene mandati in tale nicchia quasi al confino: la scuola non sembra entusiasmare molto (se ricordate negli ultimo governi DC, passare alla Pubblica Istruzione per un ministro rappresentava un vero e proprio declassamento). I DS hanno oggi un ufficio scuola che è povero perché in mano a convertiti sulla via della pedagogia a una scuola come quella che hanno fatto Berlinguer e Moratti. Ranieri non può far altro che proseguire distruggendo ciò che resta. Non bisogna quindi partire da Ranieri ma da altre persone che siano sensibili ai problemi in gioco per ribaltare la linea di quel partito e non per cambiarla attraverso una persona. Al di là delle enunciazioni molto belle, Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi, non hanno una politica scolastica visibile. Se fosse possibile mettersi in contatto con i compagni di questi partiti aprendo un dibattito anche duro su queste cose, il terreno lì sarebbe estremamente favorevole. Ma le cose vanno quasi in modo determinato dai professionisti della comunicazione su questioni scolastiche. Ad esempio, ultimamente i comunisti italiani hanno fatto un convegno a Roma sulla scuola. L'idea era quella di ripensare completamente una politica scolastica dietro lo slogan che la riforma Moratti va abrogata (grande novità questa perché quasi nessuno dei big lo dice: le vicende DS le abbiamo discusse qui; alla manifestazione di metà novembre, mentre tra i manifestanti dominavano scritte di abrogazione della Moratti, Panini nel suo comizio a Piazza Navona non ha mai parlato di questo). Poi, al convegno, va a parlare Berlinguer, il CIDI e personaggi che girano in queste aree, sembra che il tutto debba chiudersi con una Moratti molto cattiva ed un Berlinguer, con qualche aggiustamento, funzionante. (Chi ha informazioni migliori le dia). Di Rifondazione si sa di meno. Io ho avuto una brutta esperienza quando da Segretario CGIL Scuola della Spagna chiesi aiuto a margine di un convegno che si tenne a Roma (anno 2000) per alcune questioni relative al precariato nelle scuole statali e negli Istituti di Cultura all'estero. Inviarono una compagna che "sbagliò indirizzo" ed andò a Bruxelles a parlare con i precari. Solo che erano quei personaggi che si aggiravano nel sottobosco dei Coascit, della Fiamma Tricolore e della Dante Alighieri. Credono di sapere tutto e non comprendono che, senza un contatto con i lavoratori, si risolve poco o nulla. (Chi ha informazioni migliori le dia). I Verdi sono un mistero (doloroso). Da una parte sembrano schierati in modo radicale e poi con Legambiente scuola (gestita insieme a Realacci della Margherita) condividono le cose del CIDI e del gruppo di 20 o 30 persone che in Italia costituisce la corte di Berlinguer e De Mauro (controllate i nomi dei conferenzieri ai vari convegni e capirete di cosa parlo; se poi andate a vedere gli argomenti, capite pure che il pedagogismo imperversa con metastasi mortali). (Chi ha informazioni migliori le dia). Comunque, queste sono le cose che ho ricavato. Sono dispostissimo a mettermi a tavolino con chiunque intenda ripartire dalla scuola, a ripensare il tutto. Non partiamo dall'anno zero. Abbiamo delle esperienze molto importanti e provenienti dalle più disparate aree, realizzate nell'epoca pre-Berlinguer. Si tratta di rivedere varie cose ma la strada è quella di ripartire da lì. Il perché di questa disaspora nasce proprio dai fallimenti di Berlinguer. A fronte di grandi speranze che tutti noi, che avevamo votato Centrosinistra, abbiamo avuto con tensione particolare sul welfare e quindi sulla scuola, ci siamo ritrovati frustrati e confusi. Una scuola smontata giorno dopo giorno con invenzioni assolutamente non comprensibili e mai condivise nella logica di chi aveva dato una delega su ben altre questioni (ad esempio: ma degli insegnanti ridotti a stracci nessuno ne parla, salvo gridare allo scandalo prima di diventare ministri ? Lo ha fatto Lombardi,. Berlinguer e De Mauro ma non è accaduto altro che il peggioramento delle condizioni di lavoro in accordo con i sindacati confederali). Oggi, ognuno per conto suo, non essendoci più un'anima, un qualche movimento o partito che riesca a diventare egemone avendo il coraggio di ammettere errori (anche molto gravi) e di ricominciare non dall'alto dei grandi teorici ma dal basso della scuola. Intanto, mentre noi giriamo intorno al che fare?, tentando di organizzare forze, i burocrati noti continuano con il piccone. Riguardo poi alla preoccupazione che ha mosso la valanga delle riforme per le riforme (la parola Riformismo ha la stessa valenza di Autonomia), il basso numero di diplomati rispetto al resto d'Europa, nell'ipotesi che rispondesse al vero questa preoccupazione, il problema a me sembra, in primissima approssimazione, facilmente risolvibile ( Non parlo di scuola elementare perché l'operazione, tutta morattiana, che si sta facendo su di essa è davvero stupida. Avevamo la scuola elementare più bella del mondo ed ora, anche qui, macerie. La scuola media, a giudizio di molti - ed anche mio - è il vero buco nero della scuola italiana. Ora la scuola superiore la stanno riducendo tutta a scuola media). Non ho mai capito perché, per avere un maggior numero di diplomati, occorra dequalificare la scuola di tutti. Si può, qui si, lavorare all'americana. A fianco ad una scuola con insieme di materie e programmi rigidi e con esami seri, se ne può fare una completamente opzionale con materie gradite agli studenti che saranno famosi: teatro, danza, musica, pallavolo, calcetto, ... con un obbligo minimo di ore per italiano, inglese, informatica e matematica (far di conto). Alla fine del corso, sulla pagella, insieme alle votazioni saranno riportate le discipline seguite da tali studenti. L'alternativa è solo quella di inviare a tutti gli italiani che abbiano compiuto 18 anni un diploma a casa con l'avvertenza che il destinatario dovrà scrivere nell'apposito spazio vuoto, in cosa è diplomato. Vi sono altre considerazioni che si possono poi fare su quest'obbligo a 18 anni. Per me, figuratevi, l'obbligo lo estenderei fino ai 65 (altrimenti vengono fuori i leghisti ed i fascisti)! Ma il problema è cosa accade in certe zone d'Italia dove si VUOLE andare a lavorare (penso soprattutto al Nord Est). I modelli indotti dalla società dei consumi e da questa vergognosa TV prevedono soldi e successo subito. Come si possono costringere i giovani che vogliano ed abbiano un lavoro a non farlo ? A mio giudizio la soluzione potrebbe essere: obbligo a 16 anni (e le imprese che assumono qualcuno al di sotto di questa età devono venire sanzionate duramente) ma impegno dello Stato a finanziare gli studi di chi volesse andare avanti fino ai 18 anni. Tutto da discutere comunque. Il problema della preparazione avanzata dei nostri ragazzi è cruciale per affrontare la soluzione ad altri problemi. Quando si parla di ricerca e sviluppo da una parte e di competitività dall'altro, si dicono due cose: da una parte si vogliono giovani molto preparati e dall'altra li si vogliono ragionevolmente giovani. Oggi, il sistema scuola secondaria ed università triennale crea dei problemi enormi in tal senso. Dalla scuola (particolarmente dai licei) si esce generalmente con preparazioni scadenti. Il primo anno di università è una pena. Occorre recuperare l'irrecuperabile con in più l'aggravante che certe cose o si studiano ad una certa età o poi diventano difficili. Si perde un sacco di tempo per recuperare e, quando poi si arriva alla laurea di primo livello, non si è in grado di inserirsi adeguatamente in progetti di ricerca. In accordo con studi molto seri fatti a partire dal 1970, con il convegno internazionale di Frascati, seguito dalla Commissione Biasini, che concluse i propri lavori nel 1972, per la prima volta nelle sedi ufficiali prende corpo un'ipotesi di "scuola comprensiva", una scuola cioè con struttura unitaria, articolata al suo interno in un sistema di materie comuni, opzionali ed elettive (era il tempo di Scuola e Città e di Riforma della Scuola diretta da Maragliano e Vertecchi, pensate un poco!). A seguito di questi studi, tutti i partiti presentarono progetti di legge di riforma in tal senso (1975 - non si fece poi nulla per le continue crisi di governo, iniziò invece la politica degli aggiustamenti). Ebbene, in accordo con tali studi è possibile recuperare un anno nel biennio che dovrebbe diventare un monoennio. Il successivo triennio dovrebbe avere l'ultimo anno esclusivamente propedeutico alla facoltà scelta. I ragazzi (mi riferisco a quelli che hanno seguito la scuola direttiva) che entrano all'Università sono in questo caso pronti per una laurea triennale ed a 21/22 anni potrebbero essere utilmente dei ricercatori. Ma qui nasce un'altra osservazione. La gestione Berlinguer-Zecchino dell'Università ha portato anche lì a dei disastri notevoli. Una riformetta a costo zero avrebbe potuto essereta la seguente. La gran parte delle facoltà lavorava sui 4 anni, alla fine dei quali era prevista la tesi (se si faceva una tesi seria si necessitava almeno un anno) che dava il titolo di Dottore. Nella gran parte delle università europee funziona in modo diverso. Alla fine degli esami si è licenziati, si ha cioè già un titolo. Se si fa la tesi (uno o due anni) si diventa dottori. Pensateci un momento la cosa non è da poco. Naturalmente la stessa cosa può funzionare per scuole tecniche e professionali, con l'unica avvertenza di ripensare al corso di studi ed alla sua uscita universitaria (quali studi portano a quali facoltà?). Nel 1988 (28 settembre) lo stesso Berlinguer, intervistato da Repubblica, sosteneva: "...Qualche mese fa, in margine all'agitazione degli insegnanti della scuola secondaria per ottenere un adeguato riconoscimento retributivo, si è scatenato un vero e proprio linciaggio della categoria, additata al generale ludibrio solo perché non più rassegnata a tollerare stipendi vergognosi. Si è persino pensato di caricare sul paese intero un'imposta ad hoc per pagare gli aumenti retributivi agli insegnanti, rei in tal modo di aggravare con la loro ingordigia il carico fiscale degli italiani. E poi si è detto che si vuole spedire un po' di professori a fare i bagnini o i guardiani dei fari. Di recente sono ripartite - con più virulenza che mai - le fantasie sulla "privatizzazione", ammantate di modernismo e celate dietro un inaccettabile disfattismo sul presunto sfascio della scuola pubblica. Si confonde autonomia con privato, quasi che il concetto autonomia non fosse un concetto anche e corposamente pubblicistico. Si rimette in discussione il patto costituzionale che cattolici e laici democratici hanno stipulato per impegnarsi nella qualificazione e nelle garanzie pluralistiche della scuola pubblica. Si diffonde l'insana illusione che la salvezza educativa del paese sia nelle mani dell'efficienza di novelli managers privati (che tutti sanno abilissimi nell'attingere continuamente ai fondi dello Stato). Ora poi si racconta che le università - sprecone e inconcludenti - devono procacciarsi da sé i mezzi per lavorare, stravolgendo così una grande tradizione e valori radicati nella storia d'Europa, che hanno fatto libera (e per questo grande) la nostra ricerca. Reaganismo e confessionalismo d'accatto. Sono solo alcuni esempi di una martellante campagna demolitrice che penetra insidiosamente nell'opinione pubblica con esiti infausti, di cui mi domando quanti suoi promotori siano consapevoli. Si provocano così sconforto e demotivazione fra i docenti, e se ne piangeranno le conseguenze. Comprendo che tutta questa bagarre fa parte di un gioco tattico di punzecchiamento fra i due maggiori partners rivali di governo, ma non posso fare a meno di notare che questo disinvolto strumentalismo rischia di sconvolgere i valori fondamentali della moderna convivenza sociale e dello Stato. Intollerabile. Il delicato equilibrio su cui si fonda la funzione educativa non può reggere colpi d'ascia né diversivi così rozzi. Esso richiede al contrario che si ponga mano ai molti ed urgenti interventi di cui ha da tempo bisogno. In campo universitario la risposta più urgente è affidata anzitutto ad una rapida definizione legislativa del quadro istituzionale-ministeriale, che sarebbe assai negativo per l'università se tardasse ulteriormente nel suo cammino parlamentare. Ma è affidata anche ad una ben più cospicua disponibilità di risorse pubbliche, e insieme alla corretta disciplina dell'autonomia che responsabilizzi gli amministratori circa i risultati conseguiti, soprattutto di fronte all'opinione pubblica scientifica. In campo scolastico, va ricordato che il nostro livello è complessivamente sulla media europea. Non mancano tuttavia varie urgenze ormai improcrastinabili, tra le quali segnalerei due carenze a mio avviso di particolare rilievo: l'educazione scientifica e le lingue straniere. Credo che su questi due fronti ci si dovrebbe impegnare con particolare decisione e tempestività, specie in vista del traguardo europeo, per superare un difetto tradizionale della nostra scuola. Le nostre istituzioni educative sono gravemente carenti di cultura e pratica sperimentale e con esse di attrezzature, laboratori, di sostegno tecnico, capaci di diffondere adeguatamente la conoscenza scientifica e quella strumentale delle lingue straniere moderne, in un'azione che non si limiti all'insegnamento tradizionale e scolastico, ma coinvolga gli studenti con adeguate metodologie sperimentali e di diretto apprendimento. Ho fatto solo alcuni esempi di contenuto fra i tanti che si potrebbero fare, per affacciare in concreto un terreno costruttivo di azione politica per la scuola, senza diversivi e senza diffondere scoramento e demotivazione". E pensare che solo 8 anni dopo ... Si aggiungano i molti materiali di studio della Commissione Brocca, si mandino a casa questi pedagogisti (la pedagogia ritorni al servizio delle varie discipline) e sarà possibile lavorare proficuamente per una scuola che affronti ogni sfida culturale e professionale. Se sono state raccolte tutte le sperimentazioni (se non è stato fatto è davvero da criminali) da lì occorre partire. Voglio solo dire che la mia esperienza professionale mi ha anche portato ad insegnare all'estero. Ebbene, è esperienza di tutti coloro che hanno lavorato all'estero (ma in Italia vigono i compartimenti stagni, ben mantenuti dal Ministero dell'Istruzione per evitare che si sappiano troppe cose), che i nostri ragazzi che escono (o uscivano) dalla nostra scuola si inseriscono SEMPRE con eccellenza in scuole straniere (soprattutto quelle anglosassoni, meno in quelle francesi). Il viceversa non accade: gli studenti stranieri sono (o erano) molto più indietro dei nostri SEMPRE. Il fatto è (parlo ora dei licei) che la nostra scuola ha sempre puntato ad una preparazione generale che rende poi flessibili (non nel senso di Treu). Questo è il motivo per il quale con PISA non riescono a lavorare (ai docimologi lo abbiamo spiegato centinaia di volte ma lor signori si muovono in ambiti di verifica per gli altri ma non per se stessi). Se non si viene preparati alla subcultura delle crocette, davanti alle crocette si fallisce tutto (vi ricordate il barbiere del Paese che sa fare in modo eccellente ogni parola crociata e rebus ?). Ora, mentre è possibile lavorare un periodo determinato e breve di tempo per addestrare (è il termine!) dei ragazzi ai test del tipo che volete e riuscire a farli bravi, è impossibile mettere in grado chi lavora con crocette ad elaborare prove o testi che richiedano quella preparazione generale e flessibilità di cui dicevo. E non c'è nulla da fare, anche per esperienze tedesche e francesi: la preparazione specialistica è inutile anche ai fini della flessibilità alla Treu. Quando in Baviera si sono realizzate scuole tecniche per preparare degli occhialai, uscivano dei bravissimi occhialai che diventavano obsoleti nell'arco di 5, massimo 10, anni. E non si riciclavano. La stessa Confindustria bavarese ha richiesto alle scuole professionali meno preparazione specialistica e maggiore flessibilità (non alla Treu) negli studi. Queste poche cose che ho detto, anche per punti e senza ulteriori specificazioni, sono un tentativo singolo di rispondere a dei quesiti che comunque esistono sul tappeto. Occorre lavorarci sopra, al limite per buttare tutto questo e rifare altro, ma occorre SEMPRE aver presente la preparazione dei ragazzi. Non ci possiamo permettere di buttare ancora altre generazioni e di regalare i bravi all'estero che poi ci rivenderà i prodotti ed i brevetti con tutte le royalties del caso. E condannando l'Italia al ruolo di Paese fornitore di servizi, come già sta accadendo (illuminante in tal senso è il saggio di Luciano Gallino, La scomparsa dell'Italia industriale, Einaudi 2003). Siamo un Paese fortunato: abbiamo delle belle intelligenze (vi assicuro che non è così dapperutto), perché sprecarle ? Dovunque si legge di ex nostri studenti che hanno fatto cose importantissime in tutto il mondo: in medicina, in ingegneria, in architettura, in fisica, in astronomia, in matematica... Non mi rassegno a continuare a vedere emigrare i nostri migliori cervelli perché non sostenuti dalla nostra scuola e quindi dalla nostra università e quindi da un sistema produttivo vecchio (che va via via a sparire per lasciare il posto alla finanza) ed infine da una società che non sa neppure cosa gli viene richiesto in termini d'investimento per scuola, ricerca e formazione di cittadini (occorre sapere come si spendono i soldi, a cosa sono destinati, per poter richiedere investimenti importanti con scelte condivise). |
Insegnare - 12-03-2005 |
Fabbrica per un programma Richiesta di parere e di proposta ai sottoscrittori del Patto per la Scuola, l’Università, la Ricerca Carissimi e carissime che avete sottoscritto il Patto, come sapete sta per iniziare una lunga stagione di "campagna elettorale" per le future elezioni del 2006. Tutti noi abbiamo assistito in questi lunghi anni di Governo Moratti/Berlusconi a un assedio dei/contro principi e valori fondamentali per il libero sviluppo della scuola, della formazione di base, dell'università, della ricerca, della cultura e della conoscenza. Con una serie di provvedimenti legislativi sulla Scuola, l'Università e gli Enti pubblici di Ricerca, sono stati aggrediti i presidi principali dello sviluppo dei saperi. Introdotte forti restrizioni agli spazi di autonomia. È stato gravemente compromesso il principio di libera accessibilità per tutti alla conoscenza. Ciononostante, molti tra noi hanno in questi anni sostenuto e difeso le ragioni di questi principi fondamentali, frutto di lunghi percorsi dell’evoluzione della civiltà di un popolo. Abbiamo protestato, manifestato e resistito! Il Patto, tra gli altri, ha prodotto un documento sottoscritto da oltre 7.000 operatori della conoscenza; sulla base dei principi a fondamento di quel documento abbiamo incontrato, discusso e sensibilizzato i leader del centro-sinistra sui pericoli che le istituzioni di formazione e cultura del Paese stavano correndo, su come chi vi operava percepiva un clima di sconquasso e destrutturazione come mai si era vissuto nell’Italia democratica. È ora però il tempo per una più forte e incisiva iniziativa. C’è un nuovo soggetto che sta preparandosi al confronto politico del 2006 per il Governo del Paese: l’Unione. È in preparazione un Programma di legislatura. Ci dicono che c’è una “Fabbrica del Programma”. Riteniamo che il Patto debba essere parte di questa consultazione. Ma attraverso il Patto devono poter emergere il PARERE e la PROPOSTA di chi lavora e si confronta tutti i giorni con i problemi di questi settori e che è in grado, meglio di chiunque altro, di valutare i danni maggiori prodotti dal clima e dalle leggi della Moratti. Sarebbe quindi molto interessante raccogliere da chi ha sottoscritto il Patto (ma ovviamente un allargamento dell’iniziativa è auspicabile) una serie di punti e spunti che possano rappresentare una forte indicazione programmatica unitaria per il centro-sinistra. Auspichiamo per questo una larga partecipazione e una vostra significativa contribuzione. Ciò che vi chiediamo è di inviarci tre punti ragionati delle questioni che ritenete di massima urgenza che un nuovo Governo dovrebbe mettere immediatamente e prioritariamente nella propria agenda, indirizzandoli a insegnare@cidi.it oppure potete utilizzare il modulo on-line su www.nonunodimeno.it Vi chiediamo di metterle in uno schema di questo tipo: PUNTO 1: …………………………………………………………... Breve descrizione (1–10 righe) delle ragioni per impegnare il Governo sul punto 1: ……………………………………………............................... PUNTO 2: ………………………………………………………....... Breve descrizione (1–10 righe) delle ragioni per impegnare il Governo sul punto 2: ……………………………………………............................... PUNTO 3: ………………………………………………………....... Breve descrizione (1–10 righe) delle ragioni per impegnare il Governo sul punto 3: ……………………………………………............................... Nei passi successivi che ci proponiamo di fare vorremmo presentare i risultati di questa selezione dei punti che voi, che noi tutti riteniamo prioritari. Molto cordialmente Bianca Maria Bosco Tedeschini Lalli, Domenico Chiesa, Tullio De Mauro, Rino Falcone, Silvana Ferreri, Piero Lucisano, Giunio Luzzatto, Clotilde Pontecorvo, Ermanno Testa. (1 marzo 2005) |
Emanuela Cerutti - 12-03-2005 |
Segnalo due proposte per la scuola lombarda in occasione delle prossime regionali DS - Una scuola aperta La Giunta Formigoni per il quarto anno consecutivo ha erogato un buono scuola a favore delle famiglie con redditi medio-alti che mandano i propri figli alle scuole private. Noi invece proponiamo: 1. maggiori risorse per il diritto allo studio; 2. nella scuola e nell’università pubblica rimborsi per libri, mense, trasporti, residenze in base al reddito familiare; 3. politiche che contrastino il precoce abbandono scolastico; 4. sostegno all’autonomia scolastica; 5. investimenti nell’edilizia scolastica per l’accoglienza degli studenti fuori sede; politiche di integrazione degli studenti extra-comunitari; potenziamento dei servizi di integrazione dei disabili; 6. creazione di percorsi integrati tra scuola e formazione professionale. Da Ds milano.it PRC - Il diritto all’istruzione e alla formazione professionale La valutazione generale sulle politiche dell’istruzione e della formazione messe in atto da questo Governo è fortemente negativa. Riteniamo che i provvedimenti del Governo e della Ministra Moratti siano inaccettabili e che su di essi non siano possibili mediazioni. Essi vanno semplicemente abrogati. Gli effetti negativi che ha prodotto la legge 53, anche in questa Regione, sono evidenti e non controbilanciati dal fatto che le responsabilità ed il ruolo della Regione siano fortemente accresciute. Anzi, le scelte compiute in questi anni dalla Regione Lombardia sono totalmente soggiaciute alle logiche di mercato, determinando attraverso i buoni ed i “voucher formativi”, evidenti distorsioni e disuguaglianze. Infatti, le significative ed ingenti risorse che oggi la Regione ha a disposizione sul versante del diritto allo studio, sono, in gran parte, utilizzate per sostenere il buono scuola delle famiglie i cui figli frequentano le scuole private. In questo modo sono stati spesi nel 2003 ben 40 milioni di euro per sostenere le rette di 61.246 studenti delle scuole private (che sono il 6,74 del totale degli studenti lombardi), a fronte di 7 milioni per sostenere il diritto allo studio di tutti gli studenti della Lombardia (compresi gli 899.275 studenti che frequentano la scuola pubblica). Questa scelta è discriminatoria e non garantisce il diritto di cittadino studente. La logica privatistica è stata adottata anche per quanto riguarda le scuole materne autonome che dal 2000 ad oggi usufruiscono di un finanziamento di 10.329.137,28all’anno. Inoltre, non si è tenuto in alcun conto la Legge 196/97, che introduce la necessità di una forte regolamentazione dei sistemi formativi regionali, come condizione affinché l’accesso ai fondi pubblici non avvenga in modo selvaggio e senza trasparenza. In tal senso, infatti, è previsto uno specifico strumento e cioè l’accreditamento delle strutture formative. In Lombardia l’attuazione a maglie larghe delle norme sull’accreditamento ha prodotto un aumento eccessivo di soggetti erogatori di formazione, in molti casi senza requisiti minimi di qualità, che unitamente alla mancanza di una regia e di un governo istituzionale volto a verificare i livelli di qualità dell’offerta formativa pubblica rispetto ad obiettivi e priorità determinati, ha prodotto uno spreco enorme di risorse, con scarsa efficacia per i cittadini ed i lavoratori lombardi. Infatti, mentre il sistema storico di formazione professionale, prima dell’accreditamento, era composto da circa 80 soggetti erogatori, attualmente i soggetti sono circa 1400. Questa frammentazione, insieme alla mancanza di requisiti alti e di qualità per accedere alle risorse e di controlli precisi e diffusi, ha prodotto solo distorsioni, in alcuni casi, anche al limite della legalità. Ecco perché sosteniamo che occorre dare concreto avvio al decentramento territoriale, assegnando a Province e Comuni le competenze gestionali delle politiche formative, come previsto dalla L. R. 1/2000. In questo modo si potrà realizzare sul territorio l’integrazione delle politiche del lavoro, dell’orientamento e della formazione. In sostanza, le nuove competenze della Regione richiederebbero una cabina di regia capace di concorrere a contrastare il crescente abbandono scolastico, di sostenere una formazione continua. e di promuovere il diritto d’accesso al sistema scolastico ( compreso quello universitario) e formativo . Con questo obiettivo, il Gruppo regionale del PRC ha avanzato una proposta di legge, con la quale intende ampliare, aggiornare e riqualificare gli interventi di competenza della Regione Lombardia in materia di diritto allo studio, nel rispetto dei principi sanciti dagli articoli n. 3, 33 e 34 della Costituzione, al fine di rimuovere i vincoli sociali, economici e culturali che impediscono o rendono difficile l’accesso e la permanenza dei soggetti nel sistema scolastico e formativo per un riordino organico delle iniziative regionali in questo campo. Ecco, di seguito, le nostre proposte complessive. Per l’accesso al sistema scolastico e formativo: - riordino delle risorse destinate al diritto allo studio attraverso una revisione della L.R. 31/1980 che metta al centro il sostegno e lo sviluppo di servizi collettivi (mense, trasporti, biblioteche e laboratori); - reale sostegno individuale attraverso il potenziamento delle borse di studio ed il rimborso spese per i libri di testo; - ridefinizione dei criteri, degli obiettivi e delle finalità nell’uso delle risorse regionali, a partire da quelle oggi destinate al buono scuola, con l’obiettivo di garantire un accesso alle risorse pubbliche da parte di tutte le famiglie; - diritto allo studio universitario attraverso il potenziamento della gestione unitaria dell’ISU, l’incremento delle risorse disponibili e l’individuazione di criteri trasparenti per la loro assegnazione; - potenziamento dei servizi a sostegno dell’integrazione dei disabili in ambito scolastico e formativo; - superamento dello squilibrio fra domanda e offerta di asili nido e contestuale contenimento dei costi delle rette; - estensione della scuola pubblica dell’infanzia e potenziamento dei relativi tempi scuola. Per promuovere il successo scolastico e formativo e contrastare la dispersione : - costruzione di una rete territoriale tra i soggetti che operano nel campo dell'orientamento formativo e professionale; - sostegno di progetti promossi dalle scuole e finalizzati a ridurre la dispersione scolastica; - sostegno di percorsi integrati tra scuola e formazione professionale, flessibili e personalizzati, capaci di dare risposte ai bisogni anche dei ragazzi e delle ragazze che più hanno difficoltà nel rapporto con la scuola e nel contempo in grado di contrastare il modello di sperimentazione della Legge 53, che si sta praticando in Lombardia, caratterizzato da una separazione tra istruzione liceale e formazione professionale; - valorizzazione delle iniziative di alternanza scuola-lavoro, nella loro dimensione di specifica modalità didattica volta ad ampliare ed arricchire la formazione dei giovani. Per una formazione continua e permanente. E’ necessario ridefinire le regole di funzionamento del sistema formativo regionale, sia in relazione alle titolarità ed ai rapporti in ambito territoriale, sia attraverso un profondo cambiamento dei meccanismi dell’accreditamento delle strutture formative e dell’orientamento, per determinare un’effettiva qualificazione ed una congrua riduzione dei soggetti accreditati, nonché la definizione di un sistema di certificazione delle competenze. In questo quadro: - vanno rivisti i criteri e le regole dell’accreditamento dei soggetti che operano nella formazione professionale, attraverso l’individuazione di precisi vincoli quantitativi e qualitativi; in particolare: il numero e l’adeguatezza agli obiettivi formativi delle sedi e delle attrezzature necessarie, la presenza di figure professionali specifiche e stabili (formatori, progettisti, coordinatori e tutor) necessarie a garantire percorsi formativi di qualità; - vanno riviste le modalità di utilizzo e di assegnazione delle risorse del Fondo Sociale Europeo ancora disponibili, per garantire trasparenza e correttezza nel loro utilizzo, ed una loro più efficace finalizzazione; - vanno previste forme di finanziamenti specifici del bilancio regionale per tutte quelle attività che rientrano nell’obbligo formativo. Per quanto riguarda l’educazione permanente: - vanno individuate risorse specifiche volte a sostenere una politica regionale per l’educazione e la formazione degli adulti, dei pensionati e degli anziani, oggi inesistente, così come vanno sostenute, attraverso la messa a disposizione di specifici servizi, le iniziative promosse dagli Enti Locali e da associazioni pubbliche e private rivolte ad offrire agli anziani opportunità culturali e formative. L’obiettivo politico di fondo è quello di costruire un sistema di formazione continua in Lombardia all’altezza delle aspettative. A tal fine è necessario un forte raccordo con la programmazione regionale, nel cui ambito occorre individuare una sede di confronto con i Fondi Interprofessionali, per realizzare il raccordo fra le politiche attive del lavoro e le strategie e le priorità di intervento sulla formazione continua. Per quanto riguarda l’apprendistato, che la Legge 53 conferma come un ulteriore canale per l’assolvimento del diritto-dovere alla formazione, vanno previsti percorsi formativi vincolanti, esterni all’azienda, consistenti e significativi sia sul piano quantitativo che qualitativo. Da Prc - Lombardia |
Isa - 12-03-2005 |
Quando si dice scelte e politiche scolastiche vicine alle esigenze della scuole.. Fino a quando non cambierà quella specie di atteggiamento aristocratico di non-confronto e non-considerazione delle richieste di chi nella scuola reale ci lavora, tenuto da politici e sindacalisti , non cambierà nulla. Non cambierà nulla perchè chi non ascolta non comprende, e chi non comprende compie errori a volte impossibili da correggere. Trovato sulla rete : http://www.retescuole.net/contenuto?id=20050311114259 11/03/2005 DDL. CON CHI STANNO I DS? di ANDU - Associazione Nazionale Docenti Universitari Purtroppo ci siamo sbagliati e di grosso. Il 7 marzo 2005, in un nostro documento (v. nota), avevamo scritto: "La pressione accademica da qualche tempo non è più subita dai Parlamentari dell'Opposizione e da alcuni Parlamentari della Maggioranza, che sempre più riconoscono la forza e le richieste di un movimento di protesta espressione di tutte le componenti universitarie." Non avevamo ancora letto gli ultimi emendamenti dei DS al DDL Moratti ritoccato dal Relatore. Ci si aspettava che l'Opposizione e i Parlamentari della Maggioranza che avevano espresso il loro sostegno e avevano condiviso le ragioni della protesta del mondo universitario contro un DDL governativo mortale per l'Università e dannoso per il Paese, presentassero emendamenti in sintonia con le richieste del movimento e delle Organizzazioni unitarie della docenza. Ci si aspettava, quindi, un miglioramento degli emendamenti già presentati il 23 febbraio 2005 alla Camera. Quegli emendamenti, infatti, raccoglievano solo due delle quattro principali richieste avanzate dalle Organizzazioni unitarie della docenza: la TRASFORMAZIONE del ruolo dei ricercatori in terza fascia di professori (emendamento 2.186 presentato da TUTTA l'opposizione ed emendamento 2.263 presentato dall'on. Napoli di AN) e il bando straordinario di posti nella terza fascia di professore (emendamento 2.02 presentato dai DS e da RC). Quegli emendamenti non avevano però recepito le altre due fondamentali richieste: la netta distinzione tra reclutamento (con concorsi) e avanzamento nella carriera docente (con idoneità aperte nazionali) e il contenimento del periodo di precariato in sei anni (COMPRESO i tre dell'eventuale dottorato). In particolare, gli emendamenti presentati il 23 febbraio dai DS relativi a queste due ultime questioni prevedevano, al contrario, il mantenimento degli attuali concorsi anche per il passaggio da una fascia all'altra, con la riduzione da due a uno del numero di idonei (emendamento 2.165) e accettavano (non presentando emendamenti) un periodo di precariato di otto anni, compresi quelli del dottorato, previsto dalla lettera i) del comma 1 dell'art. 2 del testo approvato nel luglio scorso dalla Commissione. Con gli emendamenti elaborati per la seduta dell'Aula della Camera dell'8 marzo (nella quale è stato poi deciso il rinvio del DDL in Commissione), i DS non solo hanno riconfermato la gravissima scelta di mantenere la docenza divisa in TRE DISTINTI RUOLI (con passaggio, quindi, da un ruolo all'altro per concorso e ripetizione dello straordinariato) e hanno elevato a nove anni il complessivo periodo di precariato, ma hanno anche modificato RADICALMENTE la posizione assunta appena qualche giorno prima sulla terza fascia. Infatti, con il nuovo emendamento dei DS il ruolo dei ricercatori non viene più TRASFORMATO in terza fascia, ma si prevede che gli attuali ricercatori possano accedere ad essa solo "previa verifica positiva, con modalità stabilite dagli atenei, dei titoli scientifici e dell'attività didattica svolta e documentata per almeno tre anni, anche non consecutivi." A tal fine sono previste "con cadenza annuale, tre sezioni di verifica". E tutto questo per aumentare notevolmente i propri obblighi didattici, continuando a ricevere la stessa retribuzione. Infatti ai professori di terza fascia può essere attribuita, senza il consenso attualmente previsto per i ricercatori, "la responsabilità didattica di corsi non coperti da professori di prima o di seconda fascia", in una logica gerarchico-corporativa. Insomma, ecco ricomparire il filtro per l'accesso alla terza fascia per consentire la scrematura dei ricercatori, soprattutto dove la presenza di tutti gli attuali ricercatori nei Consigli di Facoltà risulta incompatibile con la salvaguardia degli interessi accademico-professionali da sempre coltivati e protetti, specie in alcune Facoltà giuridiche. E, naturalmente, a chi ha come principale preoccupazione il rispetto dei poteri forti non interessa il fatto che prevedendo "modalità stabilite dagli atenei" per l'ingresso in un nuovo ruolo nazionale, per la prima volta nella normativa universitaria, si consentano meccanismi locali diversi tra di loro. E interessa ancor meno che ad un nuovo maggiore obbligo didattico non corrisponda alcun aumento retributivo. Questi emendamenti mostrano con chiarezza che il gruppo di professori che ha sempre dettato la politica universitaria ai DS ha ripreso il pieno controllo, rimediando alle parziali aperture mostrate recentemente dai Deputati di questo Partito. È del tutto evidente che questo gruppo accademico considera le richieste delle Organizzazioni unitarie della docenza incompatibili con una linea accademico-politica che ha già prodotto disastri, quando l'Università è stata gestita da loro a livello governativo. Va ricordato, infatti, che durante il periodo in cui sono stati ministri Berlinguer e Zecchino - e in cui il sottosegretario Guerzoni ha svolto di fatto la funzione di ministro per l'Università - sono stati varati provvedimenti come quelli dei finti concorsi locali, della controriforma del CUN (che ora l'attuale Maggioranza vuole tradurre in legge) e della rigida e imposta riforma della didattica (il "3 + 2"), che tante difficoltà ha creato agli studenti e agli Atenei. Quegli stessi Responsabili ministeriali si sono sempre rifiutati di difendere con una nuova legge gli Statuti massacrati in alcuni Atenei dai ricorsi amministrativi. Una gestione del Ministero che, nell'ultimo anno di legislatura, è arrivata al rifiuto di incontrare le Associazioni e i Sindacati della docenza, con un'arroganza e una scorrettezza istituzionale senza precedenti. L'abbiamo sempre detto: se non si sconfigge in tempo la lobby accademica trasversale che ha sempre dominato sull'Università, condizionando pesantemente il Parlamento, non si potrà arrestare l'opera di demolizione dell'Università statale in corso da oltre un decennio e ci si potrebbe ritrovare nella prossima legislatura con un Governo che potrebbe danneggiare l'Università e la Ricerca più di quanto non sia stato fatto nella scorsa legislatura. Certo è che, se il Partito dei DS non smentisce gli "emendamenti accademici" fatti presentare ai suoi Deputati e non emargina i baroni che hanno finora deciso la sua politica universitaria, il recente riconoscimento della forza e delle richieste del movimento di protesta universitario contro il DDL governativo non potrà che risultare meramente strumentale, perché, al dunque, le posizioni di merito dei DS sulle questioni universitarie, allo stato attuale, sono, per molti versi, sostanzialmente simili a quelle della Maggioranza, ovvero di quella lobby accademica trasversale che le ha ispirate. 10 marzo 2005 |
Emma - 12-03-2005 |
UNITA’ DELLE LOTTE PER VINCERE CONTRO LE LEGGI MORATTI Contributo ad una scelta consapevole e condivisa del che fare (già pubblicato su retescuole) Penso che sia abbastanza sterile perdersi in inutili polemiche sulle analisi che ognuno soggettivamente può fare sullo stato del movimento (bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto). Importante è invece riuscire a focalizzare quanto va fatto, dosando le forze che abbiamo. Capire che cosa privilegiare. Metto a disposizione quanto penso, ritenendo che tutti debbano esprimere il proprio parere in un momento in cui si operano scelte decisive. Globalità del disegno e modalità di risposta Preliminarmente, mi sembra importante fare un’osservazione. Ci piovono ogni giorno sul capo leggi, decreti, notizie su nuovi disegni, schemi di decreti, circolari, prese di posizioni ministeriali e governative varie, che riguardano la scuola, il nostro stato giuridico, gli spazi sindacali, gli altri servizi sociali, l’assetto della nostra Repubblica, ecc. Ci accorgiamo che si vogliono disintegrare tutte le nostre conquiste democratiche, e non solo nel nostro Paese, ma a livello mondiale. Si tratta di un disegno complessivo, che ci colpisce come un unico proiettile che esploda in tantissime schegge. Non possiamo pensare, senza perdere, di neutralizzare ciascuno ogni singola scheggia che gli compete e basta. Sia ben chiaro, non nego l’importanza della lotta che ognuno può e deve svolgere, a partire dalle specifiche situazioni in cui opera. Ci mancherebbe altro. Credo però che sia importante ricomporre, contemporaneamente, l’intero movimento intorno ad una tematica comune che dia corpo e senso visibile alla comune lotta. Non basta che in tutti i vari gradi di scuola si resista o si lotti avverso la controriforma Moratti, perché la consapevolezza del lottare insieme, in tal modo, non è esplicitata ancora. Novità del movimento in questi giorni Da un po’ di tempo assistiamo ad una ripresa del movimento di lotta nelle università, corrispondente all’approdo in aula del nuovo disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti e il blocco delle assunzioni, misure considerate dai protagonisti come un vero e proprio scippo dell’autonomia universitaria. Perciò l’opposizione ai provvedimenti Moratti si è radicalizzata, come risulta dal documento dell’ANDU, che tutti abbiamo letto. Ci sono state anche forti manifestazioni e scioperi, mentre le dichiarazioni della Conferenza dei rettori (il cosiddetto strappo dei rettori di 77 atenei italiani) ha avuto una certa risonanza sulla stampa. L’ANDU minaccia gesti clamorosi, simili a quelli già attuati in Francia, tipo dimissioni dei Rettori, dei Direttori dei Dipartimenti, dei Presidi, dei Presidenti dei Corsi di laurea. Di grande importanza per noi, è la crescita in questi giorni del movimento nelle scuole superiori, che hanno cominciato a partecipare alle assemblee dei coordinamenti e a produrre documenti e prese di posizioni. Soprattutto hanno iniziato a rendersi visibili all’esterno, organizzando anche forme più radicali di protesta. Con soddisfazione, constato che spontaneamente si sta costituendo la necessaria unità tra insegnanti e studenti e che questa si va rafforzando sempre più. Nelle superiori, infatti, è necessario rinsaldare sempre più i legami tra insegnanti, studenti e personale della scuola, coinvolgendo anche le famiglie e la cittadinanza se possibile. Se infatti alle elementari un formidabile sostegno gli insegnanti lo hanno ricevuto dai genitori, alle superiori credo che debbano essere soprattutto gli studenti ad affiancare i propri insegnanti e i lavoratori in genere, come vittime dirette dello scempio che si sta facendo della scuola. Non va sottovalutata l’osservazione che storicamente gli studenti abbiano sempre costituito una forza fondamentale nella sconfitta dei piani di controriforma della scuola. Un’ultima valutazione. Le superiori possono anche svolgere il ruolo di creazione di legami con il movimento delle università, con le quali esistono già dei collegamenti consolidati, in molte realtà. Purtroppo però la forza del movimento delle superiori è soprattutto concentrata nel milanese. Non si può vincere però una lotta, per quanto larga e combattiva, se questa è limitata solo ad alcune zone del Paese. Ribadisco quindi che, a mio avviso, è necessario trovare i contenuti programmatici e le forme organizzative per estendere la protesta di tutti i gradi dell’Istruzione a tutto il Paese. Lo sciopero del 18 marzo Come tutti sanno lo sciopero, indetto dai sindacati per il 18 marzo, investe tutto il settore della conoscenza (la scuola, l’Università, gli enti di ricerca, l’alta formazione artistica e musicale, tanto i docenti che il personale), mentre la piattaforma (con sfumature diverse tra i vari sindacati) investe tematiche importanti, perché pezzi di quel disegno globale che si vuole attuare contro di noi. Non ritengo giusto il fastidio che alcuni insegnati provano verso questa generalità di obiettivi, quasi come se essi, di per sé, annacquassero i motivi di lotta per l’abrogazione della controriforma. Mi sembra che proprio la generalità degli obiettivi e il coinvolgimento di tutta l’Istruzione e del mondo della ricerca costituiscano il requisito più interessante di questo sciopero. Non voglio neanche pensare al contraccolpo che potremmo ricevere, qualora lo sciopero riuscisse poco. Sta a noi poi, come movimento caratterizzare i cortei o le manifestazioni locali con la radicalità dei temi che ci stanno più a cuore. Un programma comune per unificare le lotte Non basta però un giorno di manifestazioni e di protesta generalizzate. E’ importante che il movimento faccia la sua parte, trovando tematiche unificanti e, magari, anche forme di protesta più eclatanti, che siano in grado di farsi notare per l’immediatezza dell’espressione mediatica e che non richiedano la presenza indispensabile di grandi masse, tipo incatenamenti, digiuni, catene umane, ecc…. Riguardo alle tematiche, sarò forse testarda, ma non riesco a trovare niente di più efficace, per questo momento, della proposta di disegno di legge di iniziativa popolare e, soprattutto, del referendum per l’abrogazione della legge 53/03 e di tutti i decreti che, man mano, sono stati e saranno approvati. Queste due iniziative sono state caldeggiate ripetutamente negli interventi di questi mesi, ma si sono arenate. Si tratta, a mio avviso, di due proposte dal carattere unificante. Potrebbero, in più, anche avere ulteriori ripercussioni positive sulla scuola elementare e sulla media, consentendo uno sbocco positivo a coloro che in queste sono impegnate in una “lotta di trincea” che, se è la sola modalità di espressione della lotta alla controriforma, finisce per sfiancare chi, per altro, non ha alcuna tradizione di pratica di resistenza. Mi sembra che il progetto di legge di iniziativa popolare e il referendum abrogativo non siano proposte antitetiche, ma complementari, rappresentando la parte positiva e negativa dello stesso discorso. Il primo, per essere proposto al movimento nel suo complesso, deve essere steso in maniera compiuta e deve essere poi sottoposto alle firme. Il tema referendario è invece, a mio avviso, immediatamente spendibile e presenta le necessarie caratteristiche di generalità e semplicità nella formulazione (sì/no), che lo rende comprensibile in modo immediato ed è in grado di unificare tutto il movimento sullo stesso tema (si potrebbe, in più, nel dibattito intorno all’iniziativa, coinvolgere anche l’università cercando momenti di coordinamento, costruendo il senso di comune solidarietà contro il disegno di disintegrazione della pubblica istruzione in Italia ). Ma perché la proposta di referendum si è arenata? A me risulta che specialisti del settore referendario, consultati da persone del movimento, abbiano esposto una serie di problemi tecnici: 1) La raccolta di firme non può essere iniziata prima dei sei mesi antecedenti all’anno delle elezioni, per cui dovrebbe slittare all’inizio dell’anno scolastico prossimo. 2) Esistono delle difficoltà tecniche da risolvere nella formulazione dei quesiti. Qualora, come mi auguro, si dovesse ancora considerare valida la prospettiva referendaria (e nessuno ha mai detto che non lo sia), si potrebbe allora fissare da subito la data dell’inizio della raccolta ufficiale di firme per l’inizio del prossimo anno scolastico, mentre il secondo problema potrebbe essere risolto coinvolgendo gli esperti adatti. Pongo a tutti una richiesta: vogliamo utilizzare il tempo di attesa per diffondere questa proposta nelle scuole e per metterla al centro delle iniziative e delle assemblee del movimento? Vogliamo cogliere tale possibilità per far sentire a lavoratori e studenti di tutta la scuola che facciamo tutti la stessa lotta, indipendentemente dalle specifiche circostanze, per cui, fino alla media i decreti sono già passati e alle superiori sono ancora in bozza? Un referendum sulla scuola, inoltre, deve necessariamente essere preparato coinvolgendo prima larghi strati di società, partiti e sindacati. Si potrebbe, per l’occasione, stendere un breve testo che richieda il parere sull’abrogazione e su tutti gli altri provvedimenti che si vogliono far passare sulla scuola, in modo da raccogliere, fin da ora, firme nelle assemblee, ma anche attraverso una raccolta paziente svolta scuola per scuola o anche attraverso il web (organizzando questa però in modo che sia garantita). E’ importante la raccolta di firme, perché queste possano, con il loro numero, diventare prove tangibili del dissenso generalizzato alle riforme Moratti. Un numero elevato di firme accrescerebbe in tutti il senso della fiducia nel valore della resistenza e della lotta e comincerebbe a contare rispetto alle forze politiche. Firme in tutto il Paese, in tutta la scuola e tra tutte le componenti: genitori, insegnanti, studenti, personale non docente, magari anche mondo universitario. Tutte le lotte vittoriose, contro i tentativi di “controriformare” la scuola, in passato, sono stati battuti dalla semplice opposizione generalizzata a tali piani. E’ difficile oggi portare in piazza ogni giorno cortei che si perdono all’orizzonte. E’ allora necessario mettere sul tavolo altre cifre: ad esempio, il numero di firme sotto un comune testo. Perché non cominciare da subito questo lavoro? |