Questione di scelte
Giuseppe Aragno - 05-03-2005
Onorevole Sasso,

credo che abbiamo entrambi anni a sufficienza per poterci confrontare, partendo da un minimo di esperienze comuni ai militanti di questa nostra povera sinistra. Quel minimo che anni fa mi avrebbe consentito di scrivere compagna Sasso e darle del tu, senza dover temere di partire subito col piede sbagliato. Non ci diremo compagni e non ci daremo del tu, ma saremo ugualmente franchi, com’era nostro costume in un tempo che ormai appartiene alla storia. No, non ci nasconderemo dietro un dito: non ho motivo di dubitarne. E non se l’abbia a male, quindi, se intanto sgombro il campo da un ostacolo che lei anticipa ( “so bene che ogni parola che dirò sarà vivisezionata e usata contro di me”) e che io leggo come personalizzazione del dissenso. Io non metto in dubbio – e perché dovrei? – che nella sua vita e nella sua attività lei sia sempre stata disponibile al confronto, al dialogo, all’attenzione verso le ragioni dell’altro. Ma non si discute di questo e non si esigono ammissioni di colpa o pubbliche autocritiche. Né da lei, né dagli altri rappresentanti del centrosinistra, dei sindacati e chi altri voglia associare alle presunte vittime. Nulla di tutto questo e, per quanto mi riguarda, nulla che si chiuda nei confini della scuola. Così fosse, faremmo entrambi veramente torto agli ideali per i quali militiamo.
La questione è molto più complessa e concerne le scelte che “storicamente”, sul piano politico come su quello sindacale, sono alla radice di un dissenso che rischia di farsi insanabile e che non può comporsi – lei ne converrà – solo perché all’ordine del giorno c’è il berlusconismo. Non è lei in quanto persona, militante e parlamentare il problema che si pone. Il dissenso la riguarda in quanto rappresentante di un Partito. I sindacati, dice. No, mi creda, non i sindacati. Uno, la Cgil, che ha storia - e dovrebbe avere anima - ben diversa da quella di Cisl e Uil, uno induce a riflettere e probabilmente ci divide. Che lei poi li metta tutti assieme, non è privo di significato.
Veda, Onorevole, chi ha combattuto Berlusconi nel 1994, mettendo sul piatto della bilancia anche la propria dignità di dirigente sindacale, per condurre i lavoratori a Roma contro la riforma Dini, ha ancora il rosso della vergogna sul viso, per aver dovuto abbassare gli occhi di fronte al dito puntato dai compagni quando Dini è passato dalla parte nostra e le riforme combattute sono diventate le nostre riforme. E’ stata più dura di quanto lei possa immaginare la battaglia sulla “scuola azienda” nella Cgil. Durissima. A me brucia ancora quel “veterocomunista” con cui hanno provato a imbavagliarmi i compagni che da un po’ comunisti non erano più. Erano passati al suo partito. Bruciano ancora la Bicamerale, la scelta di bombardare la Serbia, ignorando la Costituzione, brucia terribilmente sapere che il maggioritario, il sistema elettorale che i D’Alema e i Fassino hanno esaltato, mi costringe a votare per Clemente Mastella, o ad astenermi, come non ho mai fatto in un’intera vita di lotte. Lotte anche contro Mastella. Lei lo ha letto lo Statuto della Regione Campania, voluto da Bassolino, suo compagno di Partito? No? Lo legga e poi mi dica, con la lealtà che le riconosco, cosa c’entrano con la sinistra lo statuto e Bassolino. A me brucia ancora di aver dovuto constatare nei fatti che buona parte delle critiche rivolte ai compagni che guidano il suo partito si siano rivelate puntualmente esatte ed abbiano ottenuto il solo effetto di postume ammissioni; lei lo scrive, non lo nega: errori vi sono stati in passato. Il punto è che la via intrapresa rimane – è di nuovo dovrei dire - quella che ci ha condotti agli “errori” del passato.
E’ qui il dissenso: lei li chiama errori, io scelte. Scelte di fondo. E’ un errore la concezione della scuola che Berlinguer ha ed aveva? No. E’ una filosofia che è tuttora viva nel suo partito, così come rimangono le scelte rispetto alle operazioni di pace, che di fatto sono guerre. In Serbia, come in Irak. Le scelte che sono servite a svuotare di contenuti la Costituzione. E’ Violante che ha posto il problema dei “ragazzi di Salò”, è il suo partito che ha sposato le tesi del revisionismo di sinistra e ci ha condotti a votare con Alleanza Nazionale sulla giornata in memoria delle Foibe, quella che ora consente ai ras di turno, Storace, Gasparri e compagnia di fare un uso pubblico della storia che non sarebbe stato possibile altrimenti.
Vergognandosi di essere stati comunisti, come se davvero il Pci fosse stato responsabile di chissà quali mali, i dirigenti del suo partito hanno buttato via l’acqua sporca e il bambino. Ora mancano storia, radici e cultura politica. Si va per formule. Riformisti è l’ultimo slogan. Ma quale riformismo? Turati - perdoni la citazione – che di riformismo s’intendeva, definì il riformismo un cambiamento conquistato per via della lotta, non fine a se stesso, ma finalizzato alla costruzione di una società socialista. Se non è questo, mi creda, non è riformismo. Occorre avere una concezione della società per essere riformisti. E Prodi, erede di De Gasperi, non ha nulla a che spartire con la tradizione socialista. Quale riformismo, onorevole Sasso? Il solo riformismo possibile è quello che abbia quest’obiettivo finale: modificare gli ordinamenti di una società fondata sulla prepotenza del capitalismo. Se questo manca, onorevole, siamo al riformismo di Berlusconi, che sta davvero facendo una rivoluzione: sta cambiando la Repubblica dalle radici. Perché, non le sembri assurdo, lui ha in mente un disegno politico. Non intende battere D’Alema. No. Intende realizzare una riforma istituzionale. Cosa vuole ottenere il nostro riformismo? Cosa è, per dirla con Turati, questo “trastullarsi in una quantità d’equivoci verbali”, questa “ricerca filantropica della riforma per la riforma, non conquistata attraverso la lotta per la costruzione graduale di una società socialista”? Il suo partito, ahimè, ha buttato a mare non dico Marx, ma Gramsci e persino Croce, che di Gramsci disse: è uno dei nostri. Gaetano Arfè ve lo ha scritto a chiare lettere, ma non l’avete ascoltato, come non ascoltate il dissenso di chi vi ha condotti dove siete per rappresentarli, non per ignorarli, tacere o rispondere preannunciando: vivisezionerete ciò che scriverò. Glielo ricordo, onorevole Sasso, ciò che ha provato ad insegnare ai suoi compagni di partito un socialista riformista vero come Gaetano Arfè, partigiano, storico, senatore: “Fu uno dei nostri, scrisse di Gramsci Benedetto Croce, levandolo all’altezza dei suoi maestri ideali. Possiamo ripeterlo anche noi, ma aggiungendo che egli fu dei nostri per l’esempio di fede e di passione che ci ha lasciato. In una lettera alla madre egli spiega la sua concezione laica della immortalità, dicendo che il paradiso di una mamma è nel cuore dei suoi figli. E’ nostro dovere di suoi compagni di passione e di fede […] fare quanto è in noi perché egli trovi nelle nostre coscienze il suo paradiso, così come noi speriamo di trovarlo nei cuori di quelli che continueranno a battere la nostra stessa strada, con la stessa fede e la stessa passione che noi abbiamo avuto il dono di serbare intatta per una vita”.
Sono queste le ragioni del dissenso. Le dica al suo compagno Fassino, le dica a D’Alema. E se, come temo, non ne sanno molto, glielo ricordi lei chi furono Turati, Gramsci e Croce.

Cordialmente e serenamente.
Giuseppe Aragno


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